Andare a votare, pensando alle suffragette

In Letteratura, Weekend

Dove si racconta, mentre ci si prepara a votare con molta preoccupazione, cosa fu e cosa ha da dirci la vera, poderosa e dolorosa storia delle suffragette inglesi narrate da Paola Bono in un libro appena uscito da Iacobelli

E adesso siamo qui, addì 24 settembre 2022, scheda elettorale in mano alla vigilia delle elezioni, a chiederci cosa ce ne facciamo del nostro voto, che ci sembra misera cosa – giusto poi un paio di crocette ‘grazie’ alla legge elettorale in vigore – mentre avremmo bisogno di forti leve per poter mettere mano a tutto ciò che ci sta intorno, a cominciare dal pianeta che ogni due per tre ci manda a dire che così non si va avanti, che il debito contratto prima o poi si paga e si paga duramente, tra morti, alluvioni, le nostre cose e le nostre case nel fango… E poi la pandemia e la guerra e la minaccia nucleare e i nostri tanti guai, qui ed ora, e ci chiediamo chissà come ci sveglieremo lunedì. Anzi, già lo sappiamo e già lo temiamo e già facciamo i debiti scongiuri, e molti quasi non ne parlano per scaramanzia come se non ci fosse solo una manciata di ore tra questa vigilia ansiosa e il prevedibile esito delle elezioni, un governo di centrodestra a trazione Meloni con la sua idea di società ‘Italy first’, la sua ingombrante eredità, il suo conservatorismo retrivo e patriarcale condito da pericolose ricette economiche e ambiguità sul fronte delle alleanze internazionali.

Ma se sarà, sarà lei la prima a diventare presidente del consiglio, e questo comunque rappresenta una rottura dello schema: l’infrangersi persino qui – paese delle diseguaglianze, delle caste, delle gerontocrazie maschili e dei gap di genere – del soffitto di cristallo. Toccherà almeno chiedersi come mai, sul fronte che si vuole attento ai diritti e alle questioni di genere, si arrivi sempre e soltanto a registrare un ritardo e a interrogarsi sui motivi per i quali, in Italia e non solo, sono le donne di destra a farsi largo. 

Tocca chiedersi molte cose: come siamo arrivati fin qui, perché Meloni godrà della fiducia di tanti e di tante che ignoreranno le nostre preoccupazioni, nell’arco che va dall’archiviazione dell’antifascismo, ai pericoli per la Costituzione, ai diritti civili, sociali e delle donne passando per le politiche migratorie e la flat tax e la sceglieranno perché è ‘nuova’, perché pensa agli italiani, non vuole gli immigrati e ci ‘protegge’. Toccherà chiedersi perché, a dispetto del pericolo incombente di un’Italia avamposto in Europa di una deriva sovranista e conservatrice, in tanti e più ancora tante (già adesso il gap è intorno ai cinque punti tra uomini e donne) non andranno a votare, probabilmente ancora di più dell’ultima volta e con un moltiplicarsi di ragioni: alcune persino tutte politiche, nel segno della protesta e di un addio all’idea che quella scheda qualcosa di noi sappia rappresentare o, almeno, qualcosa per noi possa arginare. 

Che paradosso leggere proprio in questi giorni una frase del genere: “È insopportabile che ancora un’altra generazione di donne sprechi la vita a pregare inutilmente perché ci venga concesso il voto. Basta perder tempo, bisogna agire”.  E ancora: «Se vogliamo raggiungere lo scopo, dobbiamo gettare al vento tutte le idee convenzionali di quel che è ‘perbene’, di quel che ‘una signora’ può o non può fare».

Avrete capito: siamo in Inghilterra, è cominciato da poco il ‘900, siamo tra quelle donne che non hanno fatto le ‘brave’  – “Erano diverse dalle donne delle altre associazioni, che invece le chiamavano suffragiste e facevano le brave, continuando a rispettare leggi su cui non avevano potuto dire la loro e a mandare petizioni e a chiedere il voto a chi tanto non glielo voleva dare“. Loro, le suffragette, per quel diritto hanno marciato, fatto comizi e petizioni, lanciato sassi, preparato e fatto esplodere bombe che non uccidessero, si sono lanciate sotto il cavallo del re, si sono divise, hanno litigato con i ‘compagni’ laburisti che pensavano che quel diritto dovesse aspettare, sono finite in galera più e più volte e fatto lo sciopero della fame, non poche punite con un tubo cacciato in gola, alimentazione forzata o meglio tortura chiamasi. Questa interessantissima storia, contenuta ne Le mie suffragette edito da Iacobelli, l’autrice Paola Bono la fa raccontare, con i giusti toni e una lingua non educata e per questo vivida e immediata, da Nellie Kelly, figlia di Jack Kelly e Marion Taylor Kelly, trovatella – il padre con i fratelli partito destinazione America, la madre morta di polmonite all’Albergo dei poveri  – che va a servizio dalla famiglia Pankhurst a Manchester nel 1895, a soli dieci anni. Capito bene, ‘quelle’ Pankhurst, Emmeline e le figlie Christabel e Sylvia  che diedero vita al movimento che, tra pesanti traversie, continua la sua azione fino allo scoppio della prima guerra mondiale quando, racconta Nellie, “la storia delle suffragette si è conclusa con quella scelta di patriottismo di Mrs Emmeline”. Il diritto di voto arrivò anni dopo, nel 1928.

C’è molto da scoprire in questo testo, si ripensa al bel film di Gavron di qualche anno fa, e non troppo qui si vuole anticipare: c’è una sorta di Metoo ante litteram, ovvero la denuncia di una suffragetta di ciò che doveva subire nel mondo dello spettacolo londinese, ci sono personagge forti e si va dalle operaie dell’East end alle aristocratiche come lady Constance Lytton che si fa arrestare travestita da operaia, per evitare che il privilegio della sua nascita riverberi anche sulle condizioni di carcerazione. E non si dimentica la descrizione di ciò che significava l’alimentazione forzata: “Mentre io gridavo e lottavo due di loro mi tenevano ferme le braccia alla poltrona e altre due mi tenevano indietro le spalle e altre due mi tenevano giù le gambe. In sei ci si erano messe, e io non sapevo come ci dessero da mangiare a forza e pensavo fosse per bocca, così ho stretto forte i denti – ma ecco che d’improvviso ho sentito qualcosa entrarmi in una narice e mi è sembrato che la testa mi scoppiasse e mi schizzassero fuori gli occhi… Soffocavo scossa dai conati, mentre il tubo mi veniva spinto giù fino allo stomaco e il cibo liquido scendeva, ma l’ho quasi tutto rivomitato quando hanno tolto la cannula. È stata una sensazione orrenda, e a quel punto credo di essere svenuta, perché mi sono risvegliata stesa sul pavimento senza ricordare come ci ero arrivata”. 

E se a qualcuno questa storia dal basso fa giustamente venire in mente la Gimenez Bartlett di Una stanza tutta per altri sappia che anche tra le suffragette di Bono fa ad un certo punto capolino la nostra Virginia, lì raccontata dalla cuoca Nelly Boxall.

Si chiude il libro tra molti pensieri, al cospetto di una radicalità e di una perseveranza così forte. Si torna all’oggi, a domani, a passioni tristi, al nostro scontento.  “…È nostro dovere rendere questo mondo un posto migliore per le donne di quel che è oggi. Se aveste il potere di mandarci in prigione non per sei mesi, ma per sei anni, per sedici anni, o per tutta la vita, il governo non deve credere di poter fermare questa agitazione. Proseguirà. Siamo qui non perché abbiamo infranto la legge, siamo qui perché ci adoperiamo per poter fare le leggi», dice Emmeline Pankhurst in un’aula di giustizia. Oggi le donne possono fare le leggi. Anche quelle ingiuste o sbagliate, però.

In apertura foto di Cyrus Crossan/ unsplash