Ai Weiwei, artista cinese da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani, si presenta fino al 4 maggio a Palazzo Fava di Bologna con la sua personale “Ai Weiwei. Who am I?”, a cura di Arturo Galansino, promossa da Fondazione Carisbo nell’ambito del progetto culturale Genus Bononiae e prodotta da Opera Laboratori con la collaborazione di Galleria Continua. la mostra bolognese presenta l’artista e il suo universo creativo in una tensione continua tra tradizione e sperimentazione, conservazione e distruzione, con oltre 50 opere tra grandi installazioni, sculture, video e fotografie.
L’arte possiede intrinsecamente il potere di raccontare, criticare e soprattutto influenzare la politica e la società del proprio tempo, di cui spesso si fa specchio e giudice? Guardando Ai Weiwei, al primo posto tra gli artisti più influenti secondo la rivista ArtReview nel 2011, pare di si, e fino al prossimo 4 maggio la mostra a Palazzo Fava di Bologna permette di constatarlo. Lungo il percorso espositivo le opere di Ai Weiwei sono accompagnate dagli splendidi affreschi dei fratelli Carracci, generando un interessante accostamento tra la moderna critica sociale dell’artista dissidente cinese e il tuffo nel passato dei tre fratelli, che anticiparono l’emergere della complessa stagione Barocca. Lo stesso Ai Weiwei omaggia la città con opere come la riproduzione di una Natura Morta di Giorgio Morandi o Estasi di Santa Cecilia (After Raffaello), 2024, il cui originale è conservato nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, mentre lungo il resto dell’esposizione racconta, attraverso diversi medium artistici, la storia della sua vita, i suoi ideali e la densa tradizione cinese, passando dalle antiche tecniche di ceramica e di artigianato, fino alla realizzazione in seta e bambù di creature mitologiche presenti in libri risalenti a più di duemila anni fa.

Ma questa stessa tradizione, sicuramente molto rispettata dall’artista, viene spesso deturpata e dissacrata in vari modi, e per fare alcuni esempi si possono citare la serie di foto con valenza performativa come Dropping a Han dynasty urn del 1995 (letteralmente: “Facendo cadere un’urna della dinastia Han”) tre foto che immortalano i momenti della caduta e della frantumazione di un’urna cerimoniale risalente al periodo Han (circa duemila anni fa). L’intenzione è chiaramente provocatoria: la dinastia Han, uno dei periodi più importanti nella storia cinese, è rappresentata dall’urna che viene distrutta, smitizzata. L’obiettivo ultimo è di indignare lo spettatore, portarlo a ragionare sul valore della cultura nella nostra società. Oltre ad essere un gesto molto forte, potrebbe anche essere l’opera più adatta a esemplificare ciò che Ai Weiwei vuole esprimere con la propria arte: una missione di divulgazione e attivismo, che fa appello alle tradizioni e volge lo sguardo ad una società migliore. Un messaggio che diventa sempre più chiaro con l’avanzare della mostra e delle opere.

Ma la sua voce non si ferma qui, il suo lavoro si evolve attraverso diversi temi e altrettanti medium, come il suo autoritratto al posto di giuda nella riproduzione Lego dell’Ultima Cena di Leonardo (come spiega lo stesso artista, si raffigura come qualcuno che vende informazioni quindi, secondo alcuni regimi, un “traditore”). Oppure Two cups, che sfrutta ancora una volta i mattoncini Lego come fossero elementi di un quadro puntinista per rappresentare un’immagine immediatamente successiva al momento nel quale, il 22 ottobre 2022, il capo del partito comunista cinese è stato scortato fuori dalla sala durante il 20° congresso nazionale del partito. Le opere di Ai Weiwei raccontano della cultura popolare cinese; per questo senza un’adeguata conoscenza a riguardo possono risultano vuote, mancanti di qualcosa. Ma, come ho già accennato, è proprio in questo che si trova la forza dell’artista, nella divulgazione di una realtà a noi contemporanea ma comunque ignota, attraverso opere d’arte di diverso genere che in aggiunta posseggono di per sé un’estetica molto accativante.

Ad esprimerlo a pieno è Forever, opera del 2013 presentata più volte in diverse versioni durante gli anni, che vuole raccontare il tema della viabilità in Cina (“Forever” era la marca più popolare di biciclette durante la giovinezza di Ai Weiwei), ma non solo. La scultura è intricata e complessa, lo sguardo naviga in qualcosa che ricorda un ready-made Dada, le biciclette sono decostruite, la loro funzione originale è annullata a favore di un’estetica simmetrica e regolare. Un’altra opera d’impatto è Left right studio material del 2018, che si differenzia dalle precedenti in quanto racconta di un’esperienza diretta dell’artista. Parte del pavimento è occupata da macerie e fin dal primo sguardo l’argomento è chiaro: la distruzione. Queste sono i resti delle sculture in porcellana una volta presenti nello studio di Ai weiwei, che è stato distrutto dal governo cinese nel 2018. L’opera diventa quindi denuncia delle repressioni che l’artista ha subito dal suo stesso governo, un grido che prende forma quasi letteralmente dalle ceneri del suo passato.

L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, ognuna delle opere di Ai Weiwei è densa di significato e ragionamenti. Palazzo Fava offre una visita breve ma intensa che spazia dal nostalgico amore per la tradizione cinese alla violenta critica politica nei confronti del suo attuale governo. La realtà di cui parlano le opere sembra a prima vista lontana, ma se guardata con attenzione racconta di noi molto più di quanto immaginiamo. Oggi tendiamo a dare sempre più per scontati una serie di valori e diritti per i quali a tutt’oggi molte persone continuano a combattere. La lotta alla quale Ai Weiwei invita, perciò, non è riferita solo alla sua gente. Non deve essere per noi (occidentali) un mero promemoria che invita a essere grati per i diritti di cui godiamo. Credo, piuttosto, sia un invito a guardarsi attorno, farsi un’opinione, far sentire la propria voce e combattere per mantenere le proprie libertà.
Ai Weiwei. Who am I?, Palazzo Fava, Bologna, fino al 4 maggio 2025
In copertina: “Ai Weiwei. Who am I?”, Palazzo Fava, Bologna, installation view, foto di Roberto Serra