Riecco la scelta delle novelle di Boccaccio con la regìa di Marco Balliani ma l’operazione di recupero della grande letteratura non trova una sua ragione di vita teatrale
Stefano Accorsi e Marco Baliani portano in scena un altro classico della letteratura e della lingua italiana. Dopo l’Orlando Furioso di Ariosto, questa è la volta del Decameron, raccolta di novelle trecentesca di Giovanni Boccaccio. Non tutti i cento racconti originali sono portati in scena, ma una selezione di quelli che secondo Baliani sono i più adatti a distrarre, a divertire lo spettatore, senza però evitare una lettura di denuncia sociale e ponderatamente politica.
In questa revisione e selezione delle novelle boccaccesche emergono temi che paiono stare a cuore non solo al maestro della compagnia di attori recitanti (Stefano Accorsi), ma più universalmente ai maestri della nostra società, a quelle voci bianche che nella quotidianità ancora provano a indicare quale sia l’atteggiamento più virtuoso, nei confronti di se stessi e soprattutto della vita, quella terrena. È uno spettacolo terreno, il Decamerone che portano in scena Accorsi e Silvia Ajelli, Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu. Ha radici ben salde nella realtà, che l’opera di Boccaccio riproduce molto vividamente.
La scena in cui sono ambientate le vicende è ricreata intorno a un furgoncino in stile Volkswagen anni 70, come a rappresentare il viaggio di una compagnia di giro, pronta a trasformarsi in qualsiasi personaggio letterario o popolare che le capiti sott’occhio. L’occhio è infatti il tramite sensibile grazie al quale gli attori catturano la realtà e la trasformano in materia da narrazione, pronta a generare una morale molto più vicina ai finali esopici che non a un’etica filosofica. Tutto, in questo spettacolo, ruota intorno alla vita materiale, non ideale, dell’uomo. Gli attori sono maschere non tanto di tipi, quanto di veri soggetti. Sono caratteri evidentemente letterari: aspetto che non sempre aiuta un facile confronto con la dimensione del palcoscenico, del pubblico teatrale.
Gli interpreti mettono molta energia nella rappresentazione, a tratti eccessiva, tendente a una resa caricaturale che non si addice a Boccaccio, sì volgare ma non barocco. La regia riesce a veicolare messaggi semplici, senza però volerli approfondire. Si adagia sulle sicurezze dell’opera letteraria per non enfatizzare i contenuti contemporanei, che ci sono ma restano in potenza. Il testo (Maria Maglietta) è ben redatto, efficace nell’arrivare ad ascoltatori come quelli che potevano essere i giovani compagni di viaggio del Decameron. Ma rimane la problematica dell’attuale e dell’atto teatrale. Non è sufficiente qui il testo a sostenere una messa in scena che manca di forza fisica, di quella chimica che c’è tra gli amanti del Decameron e che invece non c’è stata tra il teatro di oggi e la letteratura di allora.
(foto di Andrea Pirrello, per il video si ringrazia Firenze Fuori)
Decamerone al Teatro Elfo Puccini fino al 17 gennaio