Da Spectre a Spectre: 007, licenza di citarsi

In Cinema

L’impassibile Daniel Craig e l’impagabile Christoph Waltz si fronteggiano alla grande nel Bond film n. 24. In regia, Sam Mendes dispensa azione e nostalgia

Arrivati, 53 anni dopo Licenza di uccidere, al titolo n. 24 della cineserie più fortunata e redditizia dello storia del cinema, Spectre diretto da Sam Mendes con Daniel Craig (al quarto film-Bond), la domanda è: ha ancora senso oggi recensire 007? Voglio dire esaminare le qualità filmiche, narrative, attoriali di un film che nasce e muore per divertire – come tanti altri, in verità, ma forse un po’ di più, visti i costi: 300 milioni di euro solo per realizzarlo, record per gli 007 movies, poi c’è la promozione, la pubblicità, la distribuzione… – per stupire il pubblico, come si diceva una volta, grazie a inseguimenti mozzafiato, anche via aerea, e tanti altri colpi di scena? O è come parlare della qualità del nostro gioco nella finale dei mondiali, dove conta solo vincere e meno male che Zidane dà una gran testata a Materazzi e alla fine, ai rigori, siamo noi i campioni?

Oppure è meglio, perché fa più contatti su internet, fare dei gran elenchi: il più e il meno appassionante 007 (Dalla Russia con amore e Skyfall al top, secondo il mio personale cartellino, direbbe Tommasi), il Bond più sexy (vince ancora Connery, ma lascio la parola alle signore), l’auto più sofisticata, gli effetti più memorabili, la voce più indimenticabile (Shirley Bassey, sentita due anni fa a Cannes, over 75, cantava ancora Goldfinger con una potenza e un effetto choc da far tremare i polsi e i vetri), e ovviamente la bond girl più in grado di risvegliare i sogni erotici dei maschi in platea (per cavalleria non si fa la graduatoria, ma in quest’ultimo, Spectre, Lea Seydoux si difende benissimo).

O ancora, volendo uscire dal canonico e affacciarsi un po’ più sul cinefilo, indicare il regista più talentuoso che si è misurato con la serie, dal “fondatore” Terence Young in poi? Il 50enne Sam Mendes stavolta non ripete appieno l’exploit di Skyfall, vittima anche di qualche lungaggine – siamo sui 150 minuti, il crescente titanismo hollywoodiano contagia anche i servizi segreti di Sua Maestà britannica – ma forse avrà un’altra occasione: la serie continua, vedi titoli di coda, senza Daniel Craig probabilmente, il cui contratto è scaduto (però, se gli incassi…) e quindi toccherà rifare per l’ennesima volta il cast del nuovo Bond, da mettere al centro dell’episodio n. 25°, il settimo dopo Sean Connery, Roger Moore, George Lazenby, Timothy Dalton, Pierce Brosnan e Daniel Craig.

Qualunque sia la scelta, Spectre è citazionista già fin dal titolo, e rimanda per così dire agli archetipi, alle strutture fondative dell’intero serial: prima di tutto la società segreta creata dal malvagio Ernst Stavro Blofeld (cui dà volto l’impagabile Christoph Waltz, già mitico in Django, austriaco come il personaggio), apparsa fin dal primo romanzo di Ian Fleming, Thunderball  (al cinema fu il titolo n. 4) e dal primo Bond-film, Dr. No. E fu la Spectre nel gennaio 1969 a uccidere la moglie di 007, Tracy Di Vicenzo, il giorno delle nozze (vedi biografia di Bond, scritta come le altre storie da Fleming).

Il film di Mendes, al netto dei requisiti spettacolari, si delinea infatti come una delle opere più auto-enciclopediche della storia del cinema, o almeno di quello d’azione. Non c’è quasi sequenza, personaggio o situazione, qui, che non rimandi a spunti, episodi o caratteri degli episodi precedenti, dal candido felino di Blofeld all’Aston Martin “super-accessoriata” (è sempre slang anni 60-70) di 007 – aggiornata all’oggi, è ovvio – dalle scazzottature sul treno alle basi segrete nel nulla, dal giro del mondo della criminalità (Mexico City, Roma, Tangeri) alla centralità del Tamigi, su quale si affacciano, a pochi metri di distanza, la vecchia e la nuova sede dei servizi segreti britannici, con M e Q angeli custodi dell’agente con licenza di uccidere. Che come dice il suo nuovo capo Ralph Fiennes (erede della divina Judy Dench), al passo coi tempi, “è anche licenza di non uccidere”, e par proprio di capire che la frontiera professionale del Bond 2015 sia proprio capire chi va e chi non va eliminato, e perché.

Se 007 è stato per decenni un divertente termometro dei rapporti, più o meno burrascosi, tra le superpotenze mondiali (Usa contro Urss, poi Usa e Urss contro Cina, e poi tutti contro i terroristi cani sciolti, più o meno in possesso di ordigni nucleari), e un sogno ad occhi aperti sul mondo più esotico (dalle Bahamas di Ursula Andress in bikini in poi), destinati a quel 95% del mondo che, in assenza di voli low cost e pacchetti alberghieri, in estate andava al mare sotto casa, Riccione o Brighton che fosse, oggi è diventato un’enciclopedia dell’action movie a beneficio della nostalgia di chi (come chi scrive, purtroppo, per ragione di età) i Bond li ha visti tutti appena uscivano. O della sete di apprendimento dei giovani contemporanei che amano studiare il cinema guardandolo, citato, nei film.

In questo senso Spectre è a metà tra un Greatest Hits di musica pop e una grand’opera di divulgazione popolare: se mi passate il paragone irriverente tra profano e sacro, come la Divina Commedia recitata da Benigni.

007 Spectre, di Sam Mandes, con Daniel Craig, Christoph Waltz, Lèa Seydoux, Monica Bellucci, Ralph Fiennes, Ben Whishaw

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