Wurmkos: artisti tra gli artisti, oltre il disagio psichico

In Arte

Wurmkos, laboratorio di arti visive fondato nel 1987 a Sesto San Giovanni, è un luogo aperto che mette in relazione arte e disagio psichico senza porsi obiettivi di “salvezza”, a cui partecipano artisti con o senza disagio psichico, critici e chiunque abbia voglia di abbattere i confini precostituiti e frutto di preconcetti tra ciò che è considerato artistico e ciò che non lo è, tra ciò che si ritiene la normalità e ciò che è considerato pazzia. In questa intervista il fondatore Pasquale Campanella ce ne racconta la genesi e le modalità.

 

 

Senza insistere sul carattere perfettamente geniale delle manifestazioni di certi folli, nella misura in cui siamo in grado di apprezzarle, affermiamo l’assoluta legittimità della loro concezione della realtà, e di tutte le azioni che da essa derivano.

Antonin Artaud, Lettera ai direttori dei manicomi.

 

Questa citazione da Artaud riassume bene un certo modo di intendere la creatività dei “folli”, per usare lo stesso termine che usa lui.

Artaud chiede disperatamente che chi come lui si trova in una condizione di “malato” venga accettato e legittimato nella sua libertà, nel suo diritto ad avere una condizione di vita “normale”. Il pericolo, però, è che dare una legittimità di questo tipo vuol dire in qualche modo dichiarare, ribadire una diversità. Certo, quella del disagio mentale è innegabilmente una condizione “diversa”, di dolore, con problemi contingenti, reali, prosaici, quotidiani, che frenano e non ti permettono di stare al passo con i ritmi di una società come quella che noi oggi viviamo, così complessa e articolata.

Ma sarebbe molto più utile, anziché dare certificazioni di valore in positivo o in negativo – cioè di accettazione o rifiuto – condividere, fin dove è possibile, un rapporto con queste persone. Per questo, ad esempio, Wurmkos ha messo da parte la questione dell’arteterapia, perché in realtà è una modalità che si mette “al servizio di”. Al servizio della società, dello psicologo, del medico che in qualche modo, attraverso la produzione di gesti disarticolati, deliberati, di creatività, possano ricondurre tutto alla malattia e trovare delle soluzioni, senza però dare effettivamente all’altro la possibilità di dimostrare quello che è. Io credo che in realtà il ragionamento corretto sia proprio all’opposto, ed è quello che si è sempre cercato di fare con Wurmkos: accettare le diversità ma arrivando a scavare più in profondità, perché altrimenti stai facendo “un’opera di bene” e punto.

 

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Wurmkos, Animale, Laboratorio, 5 marzo 2016. Farmacia Wurmkos, Sesto San Giovanni

L’accettazione superficiale è quindi in realtà discriminante perché consolida la diagnosi e, con essa, lo stigma e la separazione sociale che ne deriva.

Nella relazione con le persone che soffrono di disagio psichico non ci sono filtri, non c’è nessuna maschera, è un tipo di rapporto diretto. Siamo noi che abbiamo molti filtri che rendono complicata la comunicazione, altrimenti sarebbe tutto molto più semplice, molto più pulito e non ci meraviglieremmo di tante situazioni che possono sembrare, di primo acchito, un po’ assurde, fuori da una logica. Abbiamo sempre avuto bisogno di pensare all’artista come a un lunatico, un pazzo, un esaltato, una persona ai limiti, come se una persona “normale” non potesse essere un artista.

Questo fa parte di una concezione romantica che ci portiamo dietro e che ci serve per tutelarci da situazioni che riteniamo lontanissime da noi e che ci possono sconvolgere. Questo però non ci permette di avere un confronto reale, faccia a faccia, dove ognuno fa fin dove può. È su questa reale conoscenza che può avvenire un incontro vero, che può aprire strade interessanti da un punto di vista dello scambio, non solo umano ma anche delle idee culturali e della creatività.

Ronald Laing, pioniere dell’antipsichiatria, sosteneva che “Un folle, un matto è uno che si fa un viaggio. Da questo viaggio possiamo anche tornare, e se riusciamo a tornare abbiamo fatto un’ esperienza in più rispetto agli altri”. Questo vuol dire che chi passa per questa vita così dura può comunque riuscire a portarsi dietro anche delle situazioni e delle esperienze più forti, più interessanti e utili.

Wurmkos, Nel mezzo/12 linee, Intervento pubblico, 3 dicembre 2016. Sesto San Giovanni
Wurmkos, Nel mezzo/12 linee, Intervento pubblico, 3 dicembre 2016. Sesto San Giovanni

Come si colloca Wurmkos rispetto al mondo dell’Outsider art?

 Wurmkos ha sempre evitato il circuito dell’outsider-art o dell’art-brut. Parlare delle dimensioni artistiche non canoniche non vuol dire parlare di outsider-art. Questo va specificato, perché sennò cadiamo nell’errore di passare dal buonismo all’enfatizzazione della follia. Dobbiamo tenerci su un piano che sia quello di un rapporto più vero, che non si fermi solo all’apparenza, stando attenti a non sbilanciarsi né da una parte né al suo opposto. Certo, è molto difficile rimanere in equilibrio, ma è solo qui che può esserci un momento di incontro vero con la malattia mentale, con le dimensioni artistiche non canoniche che ci riguardano.

Il tipo di visibilità che offre l’Outsider Art, invece, è all’interno di un circuito chiuso, rispetto al mondo dell’ arte contemporanea ha un canale di vendita diverso, una nicchia di mercato, dei critici e delle gallerie specializzate che si interessano solo di quello e non vedono altro. Questo riporta all’idea di voler chiudere, di non voler effettivamente aprire la dimensione a un’arte che è Arte e che quindi si misura e si consuma con l’oggi a tutti i livelli, non solo in una ricercata e piccola nicchia di mercato.

 

Quanto è necessario fare un lavoro continuo di verifica e di revisione, ragionando soprattutto sulle modalità di relazione, per riuscire a mantenere questo equilibrio così delicato e complesso?

Ti sembrerà strano, ma io non ho mai fatto questo tipo di ragionamento, perché se ogni volta mi fossi messo a bilanciare esattamente il rapporto con uno, l’idea dell’altro, sarebbe diventato uno sviluppo di idee e di progetti guidati da un’estrema analisi… e invece no, è proprio l’opposto: non si è mai pensato a niente di preciso, il lavoro è sempre andato così, come veniva, non c’è stata mai un’imposizione che in qualche modo condizionasse per arrivare allo scopo… non c’era scopo!

Ma nel lungo tempo ciò che non ha scopo assume un senso, e assumendo un senso può – dico può – dare la possibilità di sviluppare qualcosa. Il che non vuol dire che in questa relazione si stia in modo incondizionato: ci stai come te stesso, comunque ti porti qualcosa quando vai a casa, porti via comunque qualcosa che ti fa ragionare, ti vengono in mente delle suggestioni.

Ma non fai mai un ragionamento chiuso, concluso. Sono appunto delle suggestioni che col tempo possono arrivare a determinare degli atti più precisi, più voluti, i quali sono sempre e comunque – anche nel momento in cui questi atti voluti si determinano – dei momenti di passaggio, sono sempre degli elementi processuali, non sono mai delle cose che si chiudono, anche se ho degli oggetti davanti.

Wurmkos, Cénte, 2013. Evento/festa in località Malboschetto, Latronico, Potenza
Wurmkos, Cénte, 2013. Evento/festa in località Malboschetto, Latronico, Potenza

Come siete arrivati ad attivare questo processo di progettualità continua?

All’inizio dell’esperienza di Wurmkos ho lasciato che chiunque potesse venire a lavorare con me, senza nessuna selezione, e per i primi tre mesi ho lavorato con la gente più incredibile. Alcuni si sono appassionati e hanno continuato a tornare, diventando il gruppo iniziale dei Wurmkos. Per una decina di anni ho portato avanti il mio lavoro artistico e il lavoro di Wurmkos in parallelo, perché avevo ancora bisogno di centrarmi, di capire.

In quei dieci anni mi sono messo al loro “servizio”, capivo quali erano le necessità più importanti per loro, gli procuravo tutto ciò di cui avevano bisogno. In pratica il mio ruolo era quello di metterli nella condizione più agiata per fare quello che loro effettivamente volevano fare, mettendo da parte quello che era il mio aspetto più creativo, che consumavo ancora, ma in privato, finché ho realizzato che le due cose erano un’unica entità.

È stato un po’ come fare una lunga analisi, ma alla fine è diventato tutto molto più semplice, perché ho capito che anch’io avevo gli stessi loro diritti, anch’io potevo essere creativo come loro e non solo uno strumento per il loro essere creativi fino in fondo, sempre con il rischio di essere additato come uno che strumentalizza la malattia mentale a suo vantaggio.

Quello che soprattutto volevo evitare era il rischio di fare come tante operazioni che si fanno ancora oggi e che sono veramente deplorevoli, con l’artista che va a dipingere con i matti e gli fa vedere come si fanno le cose belle…

Ma perché questo non accada ci vuole un lungo tempo di crescita, fino a quando si capisce qual è il proprio posto dentro al gruppo, ce lo si guadagna e a quel punto non c’è nessuna paura di fare anche il tuo lavoro, perché sai che è in una dimensione che gioca in modo giusto e che l’altro ti restituirà un altro punto di vista, un altro modo di ragionare con il quale puoi fare i conti con tranquillità.

Wurmkos, Belli dentro, 2016. Casa AMA, Trento
Wurmkos, Belli dentro, 2016. Casa AMA, Trento

Quindi un percorso di crescita e di emancipazione comune e reciproca.

Certamente tutto questo lavoro è servito non solo a me a sistemare il rapporto nel gruppo, ma anche agli altri. Perché anche gli altri hanno lavorato per sentirsi liberi di fare quello che vogliono, consapevolmente rispetto all’altro, anche nello scambio e nel lavoro comune. È chiaro che ci vogliono anni, ci vuole una convinzione enorme, ci vuole il tempo che ti fa crescere in modo giusto.

Per me, quando ho capito che le cose potevano stare insieme, è stata una grande conquista, una grande liberazione. E poi tutti hanno capito, l’accusa di “strumentalizzazione” che mi facevano agli inizi è caduta perché non avevano più appigli…

Subito dopo la prima mostra ero stato attaccato dai critici, che dicevano che ero il solito artista che stava strumentalizzando i matti, che loro erano un mio ready-made, e perché? Perché abbiamo sempre bisogno di catalogare, di installare, di capire, e invece sarebbe più interessante farlo, il lavoro, invece di capire, perché se lo fai capisci molto di più, e questo diventa una forza, una bella energia.

La forza di Wurmkos è quella di essere una dimensione in cui ci sono tanti soggetti, con e senza disagio psichico, artisti e non artisti, ma dove il soggetto, l’individualità non è annientata. Non ci si deve omologare a una comunità: questo è un concetto cardine.

 

In questo modo ti sei liberato dal tuo ruolo di “servizio” e sei diventato parte del gruppo.

E son tornato a fare l’artista libero tra artisti liberi, che è una bella conquista.

 

Immagine di copertina: Wurmkos, Vestimi # 2, Performance, 25 aprile 2015. Parco dei Paduli, Lecce.