Violenza contro le donne: parola al teatro, in carcere

In Teatro, Weekend

Una donna uccisa ogni tre giorni in Italia: mentre si va in piazza a Roma per ‘Non una di meno’, a Opera, in carcere, si vive l’esperienza forte dello spettacolo ‘Undicesimo comandamento: uccidi chi non ti ama’

Difficile stabilire un punto di partenza, teatro in carcere, violenza maschile contro le donne, integrazione e reinserimento, tutto questo in una sola sera, in una manciata di ore.

In occasione del 25 novembre, data che è stata scelta come giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a Milano, anzi ad Opera in carcere, con il patrocinio del municipio 5 del comune di Milano, la parola è stata data al teatro. La compagnia di detenuti ed ex detenuti del carcere di Opera, Opera Liquida, ha messo in scena un testo dal romanzo di Elena Mearini, Undicesimo comandamento: uccidi chi non ti ama: in scena 12 attori, tutti uomini che interpretano il maschio, la femmina, la madre, il padre, il figlio, la figlia, nel mondo, tra la gente, nella folla indifferente, apatica, chiusa.

Lo spettacolo andato in scena nel teatro dell’istituto fa parte di un festival ‘Prova a sollevarti dal suolo’  che, a partire da settembre, ha visto succedersi sul palco diverse compagnie e artisti, e che ha come focus la donna. Questo festival, dicono gli organizzatori, vuole essere una sorta di finestra aperta sul profondo sentire dell’uomo, nelle sue debolezze e più grandi fragilità, attraverso l’arte teatrale che spazia dall’ironia alla più intima corrispondenza. Opera Liquida, che incontra ogni giorno gli uomini reclusi e agisce, attraverso la prassi teatrale, in assenza di giudizio, vuole con questo Festival ‘affermare un manifesto che ha a che fare con il profondo valore dell’essere umano, anche se ristretto‘.

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Poche parole, ma chiare, ricorrono durante Undicesimo comandamentochiedi aiuto, aiutati. L’idea che i “panni sporchi che si lavano in famiglia”  fa sì che che le donne spesso subiscano in silenzio abusi, soprusi, violenze:  é la tipica scusa “sono scivolata e ho sbattuto”, sono i lividi nascosti,  fino a che, nei casi peggiori, si scopre dalle cronache che sono state uccise. Se a molti può sembrare che tutto succeda da un’altra parte, quasi fosse un’altra dimensione, un altrove ipotetico e lontano, sappiamo di avere davanti un problema di proporzioni enormi:  uno studio dell‘Oms, Organizzazione Mondiale della Salute ci dice che la violenza maschile colpisce un terzo delle donne nel mondo. In Italia, la rete Non Una di Meno, che organizza oggi a Roma la manifestazione nazionale e si propone la stesura di un piano femminista contro la violenza maschile sulle donne, riferisce che il numero delle donne uccise è di una ogni tre giorni.

Opera liquida vuole lanciare anche un altro input, ed è l’invito ad utilizzare gli strumenti della legge: importante sottolinearlo, perché, se bisogna ancora lavorare  per prevenire e non solo per curare, per creare  le condizioni e i luoghi adatti per poter portare aiuto prima che accadano le tragedie, esistono già degli strumenti dei quali le donne possono servirsi e per questo non vanno lasciate sole. L’aspetto molto interessante che, a portare alla luce questa realtà, siano persone che vivono fuori dal mondo reale e con questo hanno pochi contatti: eppure chiusi dentro, tra celle e stanze e corridoi, nei quali le testimonianze di violenza sono tante, sono riusciti a sentire forte l’esigenza di parlarne.

È un’atmosfera surreale quella del carcere: per vedere lo spettacolo ci siamo messi in fila alle 20.15 e siamo usciti che era quasi mezzanotte, ma il tempo dentro non è trascorso, l’impressione era che si fosse come fermato, che non avesse nessuna fretta di scorrere. Usciti, invece, ci si è resi conto che era passato eccome, che eravamo più ricchi e che quel tempo ci aveva segnato profondamente. Il tema  della violenza maschile contro le donne – più spesso domestica, ma non solo – raccontato da detenuti che si considerano, a volte, diversi da noi ha un impatto molto forte:  le persone recluse sono in grado di spingerci a fare della loro urgenza, la nostra urgenza, e appaiono più umani di quelli che, fuori, continuano a perpetrare violenza, ma anche di coloro che fanno finta che questo problema non esista o che esista ma non li riguardi.

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Alla fine dello spettacolo, con il pubblico dei civili tranquillamente mescolato ai detenuti, uno di loro, che scrive per il giornale del penitenziario,  ha chiesto alla compagnia se la violenza è una questione culturale. Uno degli attori ha risposto che certo lo è, che da dove viene lui, nel suo paese, la violenza è dello stato, con le dittature, nelle strade, tra la gente, ma ha anche aggiunto che l’esperienza del teatro nel carcere di Opera lo ha cambiato profondamente, che ora ha capito cos’è la violenza e che è possibile non usarla e che se lo hanno capito loro che sono considerati ‘il rifiuto della società’ possiamo capirlo anche noi, quelli fuori da quelle mura, quelli che possono scegliere di agirla o di non agirla. C’è poi un messaggio più generale , che va oltre la giornata del 25 novembre,  ed è una richiesta di attenzione al problema e alle richieste di aiuto da parte di tutti, dal legislatore alle forze dell’ordine a tutta la società, protraendo questo impegno e questa sensibilizzazione nel quotidiano.

L’importante, ci dicono gli attori e ci dice Undicesimo comandamento, è stare attenti  non dividere l’umanità in maschi e femmine, visione che considerano obsoleta dal momento che eventi e sentimenti ci attraversano allo stesso modo, e trovare un nocciolo comune, ovvero lo stesso strenuo tentativo di restare umani.

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