La politica della natura secondo Pollan

In Letteratura

Anche la natura ha una sua storia politica, economica, estetica e culturale. Ce la racconta Michael Pollan in “Una seconda natura” che passa, con estrema facilità, dal giardinaggio alla sessualità, dalla moda alla politica, fino all’ideologia, l’economia e la filosofia.

Una seconda natura di Michael Pollan è senz’altro un libro per amanti della natura, per appassionati di giardinaggio, anche se li disorienta un po’, perché partendo dalla terra, dal giardino, dalle erbacce, dal bosco, ci racconta la vita dell’autore, quella della sua famiglia e insieme la storia, l’economia, l’ideologia, la filosofia, la cultura, l’arte, la moda e anche la sessualità.

Ogni umile arbusto, ogni nobile albero, ogni fragile fiore, ogni sontuosa rosa, ogni giardino ha una sua storia politica – pensiamo alla lotta di classe tra le erbacce e i fiori coltivati; una sua storia culturale –pensiamo alla concezione del giardino rinascimentale disegnato all’italiana e a quella romantica del giardino ’naturale’ inglese, ai prati aperti davanti alle villette americane; una sua storia economica – pensiamo alla scomparsa dei campi coltivati per colpa dell’espansione assai più redditizia dei suburbi che li divorano; una sua storia estetica – la selezione dei fiori in base alla loro grandezza, al loro colore, oppure alla difficoltà di curarli.

Quest’ultimo è un vero paradosso: perché mai disprezziamo una pianta che cresce rigogliosa senza bisogno di alcuna cura e ci affanniamo a coltivarne amorosamente altre solo perché sono considerate rare, difficili da coltivare? questo atteggiamento tradisce una malcelata gerarchia razzista nel considerarle?

‘Ralph Waldo Emerson, che essendosi dedicato per tutta la vita al giardinaggio, doveva saperla lunga, una volta disse che un’infestante è una semplice pianta di cui non abbiamo ancora scoperto le virtù: quella di “infestante” non è una categoria della natura ma un costrutto umano, un difetto della percezione. Questo tipo di atteggiamento, che scaturisce da un antico filone americano di pensiero romantico sulla natura selvaggia, può metterci nei pasticci’.

Il fil rouge del romanzo è la storica contrapposizione tra natura e cultura, cui Pollan non crede e lo dimostra con una documentazione scientifica e con deliziosi racconti.

Il primo è un ricordo d’infanzia, quello del suo primo giardino, un luogo di cui nessun adulto seppe mai nulla, anche se si trovava in una proprietà suburbana a Long Island, ‘nel terreno dietro la nostra casa, dove per nascondere la palizzata di legno del vicino era stata piantata una siepe irregolare di lillà e forsizie. Il mio giardino, che condividevo con mia sorella e i nostri amici, consisteva nella striscia di terreno non piantumato tra la siepe e la palizzata. Dico che nessun adulto ne seppe mai nulla perché, nell’immagine che un adulto si fa di questo paesaggio, la siepe corre proprio a ridosso della recinzione. Per un bambino di quattro anni, invece, lo spazio creato dai rami a volta della forsizia è vasto come l’interno di una cattedrale, e tra un lillà e una parete c’è posto sufficiente per un intero mondo’.

È un’immagine incantevole, una visione piena di semplicità e di sorpresa.

Di stampo più socio-economico è una figura centrale nella formazione di Pollan, quella del nonno, sorprendentemente eccentrica rispetto ai soliti parametri.

Il nonno era arrivato a Long Island dalla Russia poco prima della Grande Guerra; partito da zero, vendendo ortaggi su un carretto, a poco a poco, compra un campo, comprane un altro, coltiva e vendi, s’era costruito una fortuna, prima nel settore ortofrutticolo poi in quello immobiliare. Il nonno amava la terra non di quell’amore astratto che prova ogni amante della natura, per lui la terra era fonte sicura, benché un po’ misteriosa, di ricchezza privata. Non importava che cosa succedesse nel mondo, né quale assurdità escogitasse il governo: si poteva sempre contare sulla terra, che avrebbe conservato e moltiplicato il suo valore. Nel caso peggiore, un terreno poteva dare un raccolto vendibile e quasi sicuramente essere rivenduto traendone profitto. Nella sua mente il contadino del vecchio mondo e l’immobiliarista coesistevano e lui li incarnava entrambi senza provare nessuna contraddizione. Con serenità, la mattina vangava amorosamente il suo splendido orto, il pomeriggio costruiva distese di quartieri suburbani distruggendo i campi fino al giorno prima coltivati amorosamente.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando cominciò il boom dei sobborghi, lui ci vide la sua opportunità. Speculava sui terreni agricoli che aveva acquistato al ribasso durante la Depressione e ci costruiva centri commerciali e distese di villette unifamiliari.

Oltre all’interesse economico, c’era anche un motivo più nobile: costruire un’utopia per la classe media, sotto la spinta di una fame jeffersoniana di indipendenza e dell’impulso a creare un mondo ideale per i propri figli. Vivere nei sobborghi, dove si poteva tenere un piede in città e uno in campagna, era il migliore dei mondi possibili.

Un altro sogno americano è quello del prato coltivato, senza recinzioni né siepi, che unifica villette e famiglie in un’utopia di trasparenza e ugualitarismo. La cura del prato è considerata una responsabilità civica e chi trascura il taglio scrupoloso dell’erba viene considerato un dissidente, un paria.

‘In poco più di un secolo abbiamo disteso un manto verde su tutto il continente, senza prestare attenzione alle condizioni locali o ai costi.
L’America vanta qualcosa come 130.000 chilometri quadrati di prato coltivato, per il quale spendiamo 30 miliardi di dollari all’anno…Come il sistema di autostrade interstatali, le catene di fast-food e la televisione, anche il prato coltivato è servito a unificare il paesaggio americano’.

È lui che rende simili tutte le periferie da nord a sud, da est a ovest. Secondo Ann Leighton, la compianta storica dei giardini, il tappeto erboso che unisce ininterrottamente le case è l’unico importante contributo che l’America ha dato alla progettazione degli spazi verdi. La Francia ha i suoi giardini geometrici formali, l’Inghilterra i suoi parchi pittoreschi e l’America questo fiume verde di prato curatissimo, democratico e senza delimitazioni, lungo il quale si allineano le case.

 

(Visited 1 times, 1 visits today)