Medtner, chi era costui? Storia russa di musica e di misteri

In Musica

Pianista eccelso? Concertista riottoso? Musicista appartato? Nikolay Medtner, realmente vissuto nel secolo scorso, e protagonista del romanzo “Triade minore” di Luigi Ferrari, è stato un po’ tutte e tre le cose. Ecco perché vale la pena di riscoprire quello che Rachmaninov considerava il massimo compositore del nostro tempo

Mentre mi accingevo a leggere Triade minore di Luigi Ferrari (Ponte alle Grazie, 288 pagine, 16 euro) ho cercato Nikolai Medtner tra i miei dischi, qualcosa ricordavo di avere. L’ho trovato in due cofanetti della splendida serie “Historic Russian archives” pubblicati a suo tempo dalla Brilliant. Una Sonata in sol minore op. 21 eseguita nel 1954 dal grande pianista odessita Emil Gilels e collocata nel quinto album del cofanetto subito dopo il ben più noto Skrjabin. E un Notturno n.1 op. 16 eseguito da David Oistrakh. Tutto lì.

Le mie brevi storie della musica, i due volumi Einaudi firmati da Massimo Mila e da vari autori – non sono uno specialista, si sarà capito – condannavano il suo nome alla damnatio memoriae, né trovavo appigli nelle mie guide alla classica su cd. Un compositore russo minore, insomma. Uno dei tanti. Qualche dato mi forniva la mia vecchia Garzantina della musica: «Medtner Nikolaj Karlovic (Mosca 1880-Londra 1951), compositore e pianista russo. Lasciò l’Unione Sovietica nel 1921, stabilendosi prima a Berlino e dal 1936 a Londra. Svolse un’intensa attività concertistica. Nella sua produzione – improntata a un certo accademismo – spiccano le composizioni pianistiche e le liriche».

Un lemma breve – persino al tedesco Jacob Meiland, il cui unico merito consiste nell’avere acclimatato nel ‘500 la villanella napoletana presso i crucchi, è dedicato uno spazio maggiore – e fuorviante, se si legge il fascinoso libro di Ferrari e si ascolta Medtner. Perché il nostro russo fu pianista eccelso ma concertista riottoso per un breve periodo, e per quasi tutta la vita soltanto compositore appartato. E autore “anacronistico” se si vuole, proverò a dirne meglio fra poco, ma tutt’altro che accademico. Insomma, un cold case del nostro ‘900 musicale, che Luigi Ferrari ha tratto dagli archivi e indagato in forma romanzesca, cavandone una ghost story di sottile ma persistente fascino.

La trama, per quel che è lecito rivelarne senza fare spoiler, è presto riassunta: Brynmor Davies, direttore dei programmi musicali di Bbc Galles, nel 2015 riceve dalla polizia una borsa che appartiene all’emittente. Dentro ci sono un registratore Sony Pro e diciotto audiocassette. Davies trasale: è la borsa del suo giovane e brillante collaboratore Iwan Pryce, che vent’anni prima aveva mandato in una casa di riposo a Manchester, perché intervistasse la pianista Edna Iles alla vigilia del suo novantesimo compleanno. E che al ritorno da quell’intervista era morto tra le fiamme, in incidente d’auto le cui dinamiche non sono mai state chiarite.

La borsa non avrebbe dovuto salvarsi: perché è arrivata nelle mani della polizia? Davies, che si considera responsabile di quella morte, comincia ad ascoltare le cassette assieme alla moglie Jeanne, e… Stop, può bastare.

Tralasciando i sorprendenti sviluppi del plot, Triade minore riporta alla luce un periodo fervido della cultura russa prima della rivoluzione: gli scrittori Andrej Belyj e Aleksandr Blok; i musicisti Aleksandr Skrjabin, Sergej Rachmaninov (che del nostro Medtner fu grande amico ed estimatore, al punto da considerarlo “il massimo compositore del nostro tempo”) e il forse ancor più dimenticato Alexei Stanchinskij, morto annegato in giovane età nel 1914 e forse suicida; la cerchia dei simbolisti e delle prime avanguardie; gli influssi su Medtner della grande letteratura russa (Lermontov, Puskin, Tjutcev) e tedesca, Goethe in primis.

E rievoca il triangolo – amoroso e intellettuale – tra Nikolai, il fratello maggiore Emilii e la violinista Anna Bratenshi, moglie di Emilii e amante di Nikolai e, dopo il divorzio da Emilii nel 1918, moglie per tutta la vita di Nikolai. Un triangolo che ha momenti di aspra tensione ma che non minerà mai il rapporto quasi simbiotico fra i due fratelli. Divisi dall’amore, dalla patria che sceglieranno (l’Inghilterra per Nikolai, la Germania per Emilii che, nietzschiano in gioventù, morirà nazista a Berlino negli anni ’30), dai diversi destini. Appartato ma fecondo Nikolai, che negli ultimi anni della sua vita troverà un mecenate entusiasta quanto generoso nel mahrajah di Mysore. Di superiore intelligenza Emilii, che sublimerà la sua assoluta aridità creativa facendo il pigmalione di Nikolai e di Belyj, e più tardi collaborando con Carl Gustav Jung.

Soprattutto, Triade minore rivaluta un musicista “inattuale” di classico nitore e di più che notevole spessore, portandoci a sospettare che il celebre imperativo di Rimbaud “Il faut être absolument moderne” non abbia poi così ragione. Un compositore a volte di assoluta, deliziosa cantabilità (i bellissimi Skakzi, liberamente ispirati alle fiabe russe) e a volte impervio ma capace sempre di emozionare, di crescere e catturare ascolto dopo ascolto, con le sue autocitazioni, le sue invenzioni melodiche, le sue “cifrature” alla Schumann – in cui le note rimandano a lettere dell’alfabeto, le lettere a persone –, il suo rigore formale che fonde nella scrittura cuore e mente. «Dove pensiero e sentimento confluiscono uno nell’altro, lì troviamo la coscienza dell’arte. L’ispirazione viene quando il pensiero è saturo di emozione, e l’emozione permeata di senso» lascerà scritto lui.

Questo “autore per autori”, questo pianista per pianisti che in Inghilterra continua a godere di un piccolo ma tenace culto (affascinato dal libro di Ferrari, dopo i primi ascolti su YouTube che consiglio, mi sono andato a cercare Medtner dal mio fornitore di fiducia di classica, la meravigliosa Bottega Discantica di via Nirone, trovandovi i sei cd delle opere pianistiche eseguite per Chandos negli anni ’90 dal pianista australiano Geoffrey Tozer, nonché i tre cd che propongono Medtner come esecutore di se stesso – e dell’Appassionata di Beethoven – pubblicati nel 1998 dalla Appian), in Russia non è mai stato dimenticato.

Oggi lo hanno in repertorio pianisti acclamati come Boris Berezovsky, Evgenij Kissin e Daniil Trifonov, ma già nel 1927, quando torna in patria per eseguire il Concerto n. 2 op. 50 per pianoforte e orchestra dedicato a Rachmaninov – io quel concerto l’ho ritrovato, inciso dal grande Evgenij Svetlanov direttore e pianista per la sovietica Melodyia nel 1959 – si vede consegnare un encomio scritto firmato da centoundici colleghi compositori, compreso Shostakhovic. Vi si legge: «Caro Nikolai Karlovic, il tuo austero e magnifico talento ti ha procurato un posto privilegiato tra i favoriti delle Muse. Nella tua arte c’è grandezza e severità, saggezza e bellezza, amore e tenerezza. La tua musica è come la natura stessa, di cui Tjutcev, poeta tra i tuoi più amati, dice: “Ha un’anima, e ha libertà, e amore, e potenza d’eloquio”».

Luigi Ferrari, nato a Milano nel 1952, manager nel mondo dell’opera e della musica classica (è stato sovrintendente e direttore artistico del Teatro Comunale di Bologna, direttore artistico del Rossini Opera Festival, del Wexford Festival Opera e del Teatro de la Maestranza di Siviglia, e da ultimo sovrintendente della Fondazione Arturo Toscanini di Parma), ha scritto un romanzo di sorvegliata tessitura narrativa, colmo di notazioni musicali sottili, di aneddoti e divagazioni affascinanti (i grandi virtuosi del pianoforte: andatevi a scoprire l’inglese di origine parsi Kaikhosru Shapurji Sorabji e il suo vertiginoso Opus clavimcembalisticum, oppure la singolare fortuna postuma dei Concerti brandemburghesi). Un libro scintillante e piacevolissimo, per chi ama la musica un regalo prezioso.

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