Goran Trbuljak, la lucida poesia del dubbio

In Arte

Fino al 24 marzo è possibile visitare alla Villa delle Rose di Bologna la mostra “Goran Trbuljak. Before and After Retrospective” a cura di Lorenzo Balbi e Andrea Bellini, la sorprendente riscoperta di un geniale artista concettuale del movimento yugoslavo della New Art Practice, brillante, ironico e profondo interprete dello spirito del suo tempo.

Nelle giornate di Artefiera a Bologna si discuteva, con alcuni giornalisti e critici d’arte, ancora sul dilemma se il feticcio sia arte oppure no, come cantava Sergio Caputo nell’ormai lontano 1985.  O meglio si argomentava, dopo tanta tela dipinta vista tra gli stand, l’affermazione di Marcel Duchamp il quale sosteneva, nell’ormai lontanissimo 1966, che tutte le tele del mondo sono dei readymade aiutati e dei lavori di assemblaggio.

La discussione, tra accorati slanci prevalentemente orientati sull’assenza della “vera” pittura, ci ha portati, quasi esotericamente, ai piedi della scalinata di Villa delle Rose – propagine del MAMbo ubicata lungo il celebre portico che va a San Luca – dove è in corso la mostra Goran Trbuljak. Before and After Retrospective.

Goran Trbuljak, I do not wish to show anything new and original, 1971

Un nome a noi tutti sconosciuto preannunciato da un poster la cui immagine, la foto in bianco e nero di un piccolo assemblaggio composto da una pompetta, due biglie iridate e una dentiera che stringe in bocca un pennello, non dava a sperare niente di particolarmente originale. Ma, come ci disse sorridendo un visitatore in uscita, la mostra è una sorpresa, e di colpo i nostri dubbi esistenziali sull’infezione da virus del readymade della più alta e nobile tra le arti ha trovato, se non una risposta, un faro di luce chiarissima e una boccata di aria fresca e salubre.

Artista concettuale croato (ma meglio sarebbe dire yugoslavo), del movimento della New Art Practice – che negli anni Sessanta e Settanta spostava la pratica artistica  in spazi esterni allo studio tradizionale – Goran Trbuljak accoglie il pubblico da una fotografia giovanile in cui somiglia fraternamente ad Alighiero Boetti, una somiglianza che permane nell’approccio al lavoro, un concettuale puro che racchiude sfere energetiche e drammatiche di pura poesia.

Goran Trbuljak, Untitled, 2006_2008

Attorno a lui riproduzioni di poster di mostre di altri artisti ricordano, come aperitivo al percorso, che è il nome a far l’artista. Non tanto o non solo per la fama del medesimo, ma perché l’Arte è un fatto sociale e identitario, e la prima affermazione di identità sociale sta appunto nel nome. Se dico Klee, Dubuffet o Man Ray è già Arte, a prescindere. Ma non si tratta di un’affermazione: Trbuljak è più interessato a demolire certezze che a lanciare proclami, perché quella tabula rasa che ne segue è il terreno più fertile al racconto di sé e della propria visione del mondo.

I piatti forti si offrono infatti all’interno di questa premessa metodologica, e trasportano lo spettatore in luoghi sgranati, trasformati in metafore potentissime e chiare senza essere però mai didascaliche. Fotocopie di fotografie di danni stradali esposte nel luogo stesso in cui sono state scattate, monumentalizzando per difetto la trama del quotidiano. Tele dal raffinato astrattismo geometrico che in realtà raccontano la casualità del fisiologico assorbimento di pigmnenti versati da pertugi sul retro della tela. Una frase articolata e ironica che si trasforma, in successive cancellature, in brevi calembour poetici degni dei migliori Aiku giapponesi.

Goran Trbuljak, Untitled (Trbuljak – Artist) I_II, 1973

Ma sono soprattutto il nome e il ruolo, l’identità che appare e scompare negandosi ad ogni affermazione, ad aleggiare su tutto il corpo di lavori presenti. Come quando proclama un referendum per la strada chiedendo ai passanti un voto sul suo essere o meno un artista. O come quando nella metropolitana di parigi, nel lungo cunicolo che contiene le scale mobili, fissa in un punto del percorso un’etichetta con la scritta “ARTIST” a pennarello mentre, sul corrimano mobile, un’analoga etichetta riporta il nome “TRBULJAK”..

L’uomo e il suo status vivono in luoghi paralleli e separati, l’artista fermo al suo posto e l’uomo nel suo continuo rotolamento esistenziale. Ma ecco che per un attimo combaciano e, davanti agli occhi di pochi passeggeri, l’uomo Trbuljac è anche l’artista Trbuljak. Come in Rua dos Douradores, la strada in cui viveva e lavorava il grande poeta portoghese Fernando Pessoa, che in quel distanziarsi di pochi numeri civici tra casa e ufficio vedeva la metafora del rapporto stesso tra arte e vita.

Goran Trbuljak, Sunday Painting, 1974

Ma ecco che ci ritroviamo di fronte all’incognita iniziale, al grande dubbio sulla natura dell’arte. Una serie di fotografie racconta di un Trbuljak che, nel 1974, si reca di domenica di fronte alla vetrina di un negozio di belle arti dove è esposta una tela su un cavalletto. Una volta delimitato il riquadro di vetrina corrispondente alla tela, un giro di pennello dipinge questa “pittura della domenica” che il negoziante cancellerà il giorno dopo, salvo ritrovarsi una nuova “opera” la domenica successiva. Esilarante e acutissima riflessione sul ruolo dell’artista, sullo status dell’opera e sull’identità stessa di chi compie quel gesto. Un’azione laica e razionale che non dà e non cerca risposte ma solo squarci di luce intellettuale. Per rinfrancar lo spirito tra un enigma e l’altro.

 

Goran Trbuljak. Before and After Retrospective, a cura di Lorenzo Balbi e Andrea Bellini. Villa delle Rose, Bologna, fino al 24 marzo 2019.

Immagine di copertina: Goran Trbuljak, Self portrait, 1996

 

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