Cos’è oggi la paura, l’orrore per immagini? Lo dirà l’autopsia di una bella sconosciuta

In Cinema

Il regista norvegese André Øvredal debutta a Hollywood con un piccolo, perfetto film di genere: che non elude i principali must della categoria (la gelida cantina, il temporale con black-out elettrico, l’ascensore che si blocca) e anzi li gioca con sorprendenti effetti emotivi nella claustrofobica location di un obitorio a gestione famigliare. Dove padre e figlio appaiono a loro agio fra cadaveri e bisturi, finche non troveranno nel corpo della ragazza tracce di un male sovrumano, indecifrabile

Il titolo originale è The autopsy of Jane Doe (che è la versione femminile di John Doe, lo sconosciuto per antonomasia nell’universo anglosassone). E il soggetto (l’idea) di questo piccolo/grande horror diretto dal norvegese André Øvredal (al suo esordio a Hollywood, dopo il bizzarro mockumentary Troll Hunter) è contenuto tutto nel titolo: l’autopsia di una sconosciuta. Una sconosciuta giovane e bella, comunque, certamente morta ma in apparenza priva di qualunque ferita. La vediamo stesa sul tavolo dell’obitorio, perfettamente candida e intonsa, senza nemmeno un livido. È stata trovata semisepolta nella cantina di una casa piena di cadaveri, teatro di un’orribile e inspiegabile carneficina, e solo la sua dissezione permetterà forse di trovare una plausibile risposta ai tanti dubbi suscitati dalla sua nuda e testarda presenza: è come una natura morta che ci interpella, e non sappiamo perché.

Proprio nel tentativo di trovare risposte, possibilmente immediate, lo sceriffo della cittadina scarica il corpo di Jane Doe nell’obitorio/crematorio a conduzione famigliare gestito dal dottor Tilden (Brian Cox) e dal figlio Austin (Emile Hirsch), due che sembrano perfettamente a loro agio fra deceduti e bisturi, ma che si troveranno ben presto a confronto con una sfida insormontabile, capace di risvegliare i loro terrori più profondi. Padre e figlio iniziano infatti a condurre l’autopsia seguendo le procedure standard e indagando come si conviene sulle possibili cause di morte della ragazza (Olwen Catherine Kelly). Ma dentro quel cadavere tutto bianco e immobile, troppo perfetto per essere umano, troveranno le tracce di un male sovrumano, difficile da decifrare, impossibile da dominare.

Siamo nell’ambito dell’horror, e molto di quello che si vedrà prima della fine del film fa tranquillamente parte dell’armamentario solito del genere: sangue e insetti, presenze e assenze, rumori stridenti e silenzi assordanti, minacciose sensazioni di pericolo e puri e semplici presagi di morte, e in più la dimensione claustrofobica di un’infinita serie di stanze e corridoi disposti come in un labirinto e drasticamente separati dal resto del mondo. L’obitorio è infatti sepolto nello scantinato di una vecchia casa, e come di prammatica, proprio sul più bello, scoppia un temporale che manda in tilt il generatore di corrente, impedendo al vetusto ascensore di funzionare e condannando di conseguenza i protagonisti all’isolamento e (magari) alla morte.

 

Quello che è sicuro è che lo spettatore si ritroverà altrettanto condannato: non a morte, naturalmente, ma a provare una gran paura, che si insinua sotto pelle fin dalle prime scene e scava, scava fino a terrorizzarti, man mano che il film procede verso il finale. Certo, trattandosi di un horror non sembra un grande risultato: però è bene ricordare che in questi tempi infelici (non solo per il cinema, è vero) nessuna impresa è davvero facile. Basti pensare a quanti ne abbiamo visti negli ultimi anni, di film comici che non fanno ridere, e di film horror che non fanno paura, neanche un po’!

Quello che rende davvero interessante The Autopsy è proprio il tentativo di dare una risposta a una domanda solo apparentemente banale: di cosa parliamo, quando parliamo di horror? Di paura, direbbe qualcuno. Certo! Ma qual è la sostanza (vera) della paura? Questo è molto più difficile, da decidere. Insomma, un piccolo film inquietante che non tenta di offrire risposte assolute ma esplora il terreno con elegante intelligenza corteggiando il sovrannaturale, e s’interroga sul reale mantenendo alta la tensione e facendoci sentire il dolore e lo spavento. E persino la sensazione dell’orribile freddo del marmo dentro il gelido obitorio.

The Autopsy, di André Øvredal, con Emile Hirsch, Brian Cox, Olwen Catherine Kelly