Teatro, nuova stagione per Elfo e Menotti

In Teatro

Alla scoperta dei cartelloni di Elfo e Menotti: grandi autori e artisti pronti a calcare la scena

Elfo, una stagione nel nome dandy di Oscar Wilde (di Maurizio Porro)

Se c’è un protagonista nella prossima stagione dell’Elfo Puccini, a 8 anni dal fortunato trasloco da via Menotti a c.so Buenos Aires, questo sarà Oscar Wilde, il più famoso dandy vittoriano passato dai fasti mondani dei salotti inglesi ai lavori forzati fino all’ultimo esilio parigino in regime di solitudine (solo Gide, come scrive in un prezioso libretto, lo incontra e andrà alle sue esequie). Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, dopo la Salomè, mettono in scena la novità dell’americano Moisès Kaufman “Atti osceni –i tre processi di Oscar Wilde”, debuttando ora a Spoleto e annunciando le recite milanesi dal 20 ottobre al 2 novembre. Si tratta di un testo e di un autore pluripremiati (anche da Obama) che racconta come Wilde fu travolto da un insolito destino, accusato del reato di sodomia che in Inghilterra resisterà fino a metà anni 50. Al centro dello spettacolo un rito teatrale in cui si parla di arte, libertà, sesso e passione con un gruppo di attori capitanati dal bravo Giovanni Franzoni nel ruolo del titolo.

Ma non c’è solo il Wilde del secondo tempo (del resto De Capitani con Orsini e la Marini aveva già allestito la “Ballata del carcere di Reading”), in quanto dal 17 novembre al 10 dicembre un altro gruppo di attori “elfiani” guidati da lady Ida Marinelli in Bracknell, sempre con Bruni e Frongia directors a quattro mani, reciterà una deliziosa, crudele commedia non certo inedita ma che contiene sempre alcune sorprese, “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, dove Ernesto è cancellato (il gioco di parole inglese è foneticamente la similitudine con onesto) e nel testo diventa Franco e qui siamo nel paradosso, nel gioco delle parole che non sono mai scelte a caso. E infine Bruni riprenderà la lettura del Fantasma di Canterville, una bella storia di fantasmi in cui il geniale e british Oscar vede il castello infestato da una famiglia americana. E mentre lo stesso duo di registi riprenderà il fortunato Puntila brechtiano, Elio de Capitani, l’altra metà del cielo dell’Elfo, oltre a rimettersi in viaggio con Otello, il cui percorso è solo a un bivio, dirige Cristina Crippa con Alessandro Bruni Ocana in L’acrobata di Laura Forti, una storia che la stessa Crippa ha letto, vissuto e amato in un libro e che racconta le vicissitudini di una famiglia ebrea scappata dall’Italia al Cile per ragioni di razzismo, ma ivi raggiunta da calamità naturali (il terremoto) e umane artificiali (Pinochet). Ed è la storia dolorosa di una madre con un figlio che si oppone alla legge della storia così come di madre e figlio parla un monologo di Alan Bennett (History boys indimenticabili…) con cui ci allieterà in regime di sorridente grottesco Luca Torraca.

Per i divi ci vuole Strindberg: lo dimostrano Gabriele Lavia che farà Il padre (un mix, dice, di molti testi dell’autore svedese) e la coppia (vera) Adriana Asti e Giorgio Ferrara in “Danza macabra” (foto di copertina di Luigi Laselva) una delle ultime regie di Luca Ronconi, vista a Spoleto nel ’14, inedita altrove. Sono molte le riprese a furor di box office, anche provenienti da altre sale cittadine come il “Trattato di economia” del teatro della Contraddizione, da Geppetto e Geppetto del premiatissimo Tindaro Granata al Road movie con Angelo di Genio, dalla “Moglie” (di Fermi) con Cinzia Spanò alla bravissima Milva Marigliano di “Ombretta Calco”, da “Qualcuno volò sul nido del cuculo” italianizzato dalla bella regìa di Alessandro Gassmann al kolossal del Filodrammatici Collaborators con Bulgakov e Stalin in scena, da “Viva l’Italia” di Brie a Goli Otok sui campi di concentramento di Tito.

I numeri parlano chiaro, il pubblico dell’Elfo è fidato e si fida, è salito del 10% (160.000 in tutto le presenze, 100.000 milanesi e 6000 abbonati) e la prossima stagione mette in locandina 50 titoli di cui 18 produzioni e coproduzioni e quattro personali per farci conoscere nuove realtà: Oscar De Summa e la sua trilogia della provincia pugliese, Jacopo Gassmann col teatro dell’inglese Chris Thorpe, gli Eco di Fondo di Ferraù e Viana con la Sirenetta ed altri titoli e Michele Sinisi.

La stagione si chiama Respira il teatro (un logo zombie bello e allarmante di Antony Gormley) e contiene anche ritorni di personaggi amati e lanciati dall’Elfo, da Giuliana Musso che racconta delle mamme dei soldati italiani morti in Afghanistan, da Elena Russo Arman che spiega ai piccini chi era Leonardo a Loris Fabiani che mescola cinema e teatro, fino a Ricci e Forte che tornano all’ovile con uno spettacolo dedicato a Pasolini in cui si spogliano di meno e parlano di più. Infine le Nuove storie, una rassegna di giovani, è stata concentrata in aprile maggio. Di particolare interesse la nuova produzione della Carrozzeria Orfeo di Gabriele de Luca, Cous cous klan, visione di una umanità al termine della corsa, psicologicamente instabile, socialmente umiliata e priva di futuro. Insomma all’Elfo ci saranno la Storia (si conclude a Napoli anche il dittico sull’Afghanistan che poi arriverà in regime di maratona) e le storie, gli umili e i potenti: il teatro rimane, come ha detto Lavia, la più grande invenzione dell’uomo.

 

Menotti, tutte le novità per la prossima stagione (di Andrea Meroni)

È nel patrimonio genetico del Teatro Menotti la vocazione a offrirsi come arca dell’alleanza tra Teatro e Musica. Nella stagione 2017-2018 su quest’arca si imbarcheranno infatti Molière e i Beatles, ma anche Modugno e Melville, per dar vita a una sorta di Top of the Pops culturale intersecolare.

Ciononostante, sarà la musa Tersicore a spadroneggiare nelle prime settimane di programmazione: la stagione verrà inaugurata da un lungo (dal 14 settembre al 1° ottobre) e denso festeggiamento dedicato al ventennale della nascita di Artemis Danza, compagnia parmigiana diretta da Monica Casadei che peraltro ha già una certa familiarità col pubblico del Menotti. Alla celebrazione “frontale” – che si dipanerà tra spettacoli collaudati (I bislacchi. Omaggio a Fellini) e inediti (Soli d’opera) – si affiancheranno incontri e workshop nei quali lo spettatore avrà modo di guadagnarsi la centralità nelle danze.

Dopodiché sarà la riproposizione dello spettacolo (nella foto, di Virginia Bettoja) di Emilio Russo Un salto in cielo-Brechtsuite – battezzato proprio in questi giorni – a dare inizio (precisamente il 5 ottobre) a un andirivieni spazio-temporale e teatral-musicale. Come il titolo suggerisce, Brechtsuite è un crocevia dove sei personaggi tratti dalla produzione del notorio drammaturgo tedesco vengono messi a confronto per sviluppare la tematica – di prepotente attualità, ça va sans dire – della condizione dei profughi.

La stessa dialettica passato-presente la ritroveremo dal 19 al 29 ottobre in Le Bal – L’Italia balla dal 1940-2001, adattamento dello spettacolo di Jean-Claude Penchenat curato da Giancarlo Fares. Qui i vocalizzi del Trio Lescano, le sincopi di Celentano e i mantra nasali di Battiato scandiranno sessant’anni e passa di storia italiana, visualizzata sull’affollato e sgommato parquet di una balera. Altri slittamenti temporali in un’ennesima Locandiera di Goldoni (dal 7 al 12 novembre), stavolta però contrassegnata da un’estetica neorealista e da una Mirandolina (interpretata da Silvia Gallerano) più avanguardista che mai.

Subito dopo, dal 14 al 19 novembre, un altro spettacolo ingombrante e inscindibile dalla sua componente musicale: il Moby Dick di Michele Losi, che – come Il deserto dei tartari di Paolo Valerio, andato in scena nella stagione 2016-2017 – avrà come protagonista assoluta… l’attesa. Tutto ciò in previsione di una commedia “pugilistica” che – al contrario – non avrà momenti di tregua, Play Strindberg di Dürrenmatt, interpretata da un trio di attori finemente bellicosi: Maria Paiato, Franco Castellano e Maurizio Donadoni.

Dopo Brecht, saranno i Beatles a passare per le mani di Emilio Russo, che in Ticket to Ride (proposto dal Menotti in prima assoluta dal 12 al 31 dicembre) omaggerà la generazione che aveva trovato nei testi e nella musica dei Fab Four la sua koinè, la sua lingua franca.

Il 2018 verrà inaugurato nel migliore dei modi con un nuovo spettacolo di e con Arturo Cirillo, abile cesellatore di personaggi che stavolta troverà nella nebbiosa Lunga giornata verso la notte di Eugene O’ Neill la materia prima per delineare nuovi intensi ritratti. Seguirà – dal 6 all’11 febbraio – una produzione del Teatro Stabile del Veneto, Toni Sartana e le streghe di Bagdad, vale a dire il secondo (autosufficiente) capitolo della trilogia La Cativissima, concepita dal lucidamente stranito Natalino Balasso. Ed è da un altro teatro stabile, quello di Catania, che proverrà uno spettacolo che si preannuncia sfiziosamente impegnato: Il giuramento (in scena dal 20 al 25 febbraio), scritto dal politico e scrittore Claudio Fava, interpretato da Ninni Bruschetta e incentrato su una delle tante figure di eroi privi di physique du rôle di cui pullula la storia nazionale italiana, e cioè il Professor Mario Carrara, uno dei quindici docenti universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo.

Dal 1931 verremo rispediti al 1879, anno di nascita del classico scandaloso Casa di bambola di Ibsen, riadattato e diretto da Roberto Valerio e in scena al Menotti tra l’1 e l’11 marzo. La tappa successiva (13-18 marzo) di questo frastagliato zigzagare tra epoche, luoghi e umori diversi sarà L’allegra vedova, in cui Maddalena Crippa – appoggiandosi su un quartetto composto da una chitarra, una fisarmonica, un flauto traverso e un contrabbasso – smonterà e rimonterà con modalità da cafè chantant l’immarcescibile operetta di Franz Lehar, La vedova allegra.

A riassumere tutte le tendenze fin qui elencate, provvederà una produzione autoctona: il redivivo Emilio Russo proporrà infatti – tra il 14 e il 24 giugno – un altro classico, Il borghese gentiluomo di Molière, che consentirà al Menotti di continuare a recitar ballando e ballar recitando fino a fine stagione.

(foto in evidenza di Luigi Laselva, foto in corpo testo di Virginia Bettoja) 

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