Vecchi e nuovi Orrori nell’Italia del disincanto

In Interviste, Musica

Il rock del Teatro degli Orrori torna in scena più furioso che mai: nuovo album e tournée nazionale con una lineup più robusta. Ne abbiamo parlato con il chitarrista Gionata Mirai

Dopo una lunga pausa dalla scena live, Il Teatro degli Orrori è tornato, più carico e furioso che mai. L’entrata stabile di due nuovi membri e cinque mesi passati in sala di registrazione: il risultato è l’album omonimo Il Teatro degli Orrori, come a voler segnare l’inizio di un nuovo corso. Dodici tracce di denuncia politica e sociale che suonano come uno schiaffo in pieno volto, da ascoltare tutte d’un fiato.

La poetica dei testi rimane in linea con gli album precedenti: I testi prendono di mira un mondo corrotto, in cui nessuno può dichiararsi senza colpa. Al centro, l’orrore delle guerre, l’ambiguità della politica, l’emarginazione e gli strumenti di controllo sociale, la futilità dell’arte-intrattenimento, ma soprattutto la paura e l’indifferenza, che logorano silenziosamente i legami umani. Emerge il ritratto impietoso di un’Italia Bellissima e inospitale, molto diversa dal Bel Paese dell’Expo e della ripresa economica a cui certa stampa ci ha abituato.

È il naufragio di un paese
Che mi ruba i giorni, i mesi, gli anni
La vita è un buco
Scavato a sacrifici, imprecazioni, e turni di notte

La lineup viene radicalmente ripensata nella direzione di un sound più essenziale e allo stesso tempo più strutturato, in cui il noise più crudo si fonde con un potente tappeto sonoro elettronico. L’organico si amplia con l’entrata stabile di Kole Laca alle tastiere e Marcello Batelli alla chitarra elettrica, che vanno a completare il nucleo storico: Giulio Ragno Favero al basso, Francesco Valente alla batteria e alle percussioni, Pierpaolo Capovilla, autore e interprete dei testi, e Gionata Mirai, chitarra elettrica.

Con Gionata abbiamo parlato della recente fatica discografica e di questo secondo “debutto”.
Abbiamo ampliato la scrittura a sei. È come avere sei cervelli in movimento. Il risultato è stato qualcosa di estremamente coerente con il passato ma anche estremamente nuovo. È stato come rinascere, abbiamo ritrovato l’entusiasmo che abbiamo avuto all’inizio.

Sono passati tre anni da Il Mondo Nuovo...
Abbiamo volutamente fatto passare un sacco di tempo: dopo anni senza mai fermarci, ci siamo fermati per fare esperienze diverse e prenderci un po’ di calma. Tra l’altro l’Italia del 2013-2014 non è che sia stata così entusiasmante. Abbiamo interpretato i tempi e abbiamo cercato di muoverci di conseguenza. Adesso abbiamo voglia di tornare a dire la nostra.

Sono accadute tante cose ma non è successo niente…

Dal vostro primo album in che direzione è andando il mondo?
Questo mondo evidentemente non sta migliorando, altrimenti forse il Teatro degli Orrori non avrebbe neanche senso di esistere. Ci piace pensare che nella vita bisogna cercare di lasciare un segno positivo sulla Terra, che siamo qui per renderla migliore di come l’abbiamo trovata. Tutti fanno musica per distrarti dalla realtà, invece la musica dovrebbe essere dentro la realtà. L’arte deve narrare il proprio tempo, la realtà in cui nasce. Il Teatro degli Orrori è costretto a raccontare un’Italia che è un postaccio. Siamo ancora qua a guardare le classifiche di X-Factor, mentre il mondo va a rotoli. Il Teatro degli Orrori è qui a sbatterti in faccia il fatto che siamo diventate persone di merda. Finché non decidiamo di diventare persone migliori, il mondo farà sempre schifo.

Come dire che la realtà pubblica e quella privata degli individui sono in fondo la stessa cosa?
Le stiamo volutamente confondendo. Ci siamo abituati a pensare che la realtà vera sia quella di Facebook, dove la visione pubblica di se stessi è falsata. Le rivoluzioni digitali sono un’illusione, il mondo si cambia partendo dai propri atteggiamenti nei confronti delle cose. Nei nostri testi andiamo a toccare temi enormi che riguardano non solo la società e la politica, ma anche e soprattutto il nostro punto di vista sulle cose. Finché non ce ne frega niente, non cambierà nulla.

Amica mia, scappiamo via
Da un paese che non cambia
Perché non vuole cambiare
Non cambia, perché non vuole

Il Lungo Sonno è una lettera sarcastica al Partito Democratico e alla sua deriva ideologica. Riponete un minimo di fiducia nella politica istituzionale?
Ieri parlavamo di Berlusconi, oggi di Renzi… Ma in fondo questo modo di fare politica non è molto diverso da quello degli antichi romani. I meccanismi del potere di oggi ci fanno paura perché li stiamo vivendo. Il punto è che quando fai politica se ti astrai da te stesso finisci solo a fare grandi chiacchiere. E non è un caso che ci facciamo distrarre da un sacco di cazzate. Bisognerebbe fermarsi e guardarsi intorno, invece abbiamo gli occhi sempre sul telefonino!

Aspettando che cambiasse il mondo
O che cambiassi tu, sono cambiato io
E senza accorgermene, adesso sono di destra

I temi che affrontate sono davvero numerosi, dalla dipendenza dagli psicofarmaci all’esclusione sociale. Nella seconda traccia, La Paura, denunciate la condizione umana di “prigioniero della strada”: cosa intendete?
Pierpaolo sta provocando, sta dicendo che il mondo là fuori è incasinato, c’è meno solidarietà tra le persone di quella che forse puoi trovare in galera. Spesso in galera ci finiscono i poveracci e nella miseria trovi la sincerità, quando non ci sono sovrastrutture economiche a regolare i rapporti. Il problema è che fuori funziona tutto in un altro modo. Per cui si stava meglio in galera…

Si stava meglio in galera, che prigionieri della strada
A testa in giù, senza nessuna nostalgia
Senza nessun rimorso, senza nessuna gioia
Nessun dolore, nessun passato
Nessun presente, nessun futuro

L’ultimo brano, una canzone d’amore, chiude una raccolta complessivamente molto cupa. In un mondo sull’orlo del precipizio è rimasto almeno lo spazio per l’amore?
L’amore c’è, è dappertutto, c’è persino nell’odio che porti verso un’altra persona. Se il mondo fosse migliore, anche i rapporti d’amore sarebbero migliori, saremmo più felici. L’amore è contaminato dalla vita difficile che fai. Ma l’amore che cantiamo non è quello che canta Laura Pausini – quel tipo di amore lo racconto alla mia donna, non a voi! Il nostro vuole essere più alto, vuole avere una dimensione pubblica.

La rabbia se nʼè rimasta in fabbrica
E le fatiche non mi pesano più

Per concludere, una canzone a cui ti senti particolarmente legato?
Personalmente adoro Lavorare Stanca perché a livello musicale è un intreccio perfetto tra chitarre, ritmica e tastiere che mi sembrava difficilissimo da raggiungere. Il testo mi fa impazzire, la linea ha un ritornello meraviglioso. Sono contento di ascoltarmela in macchina ad altissimo volume! Anche Slint (sul sistema del TSO in Italia, ndr.) mi piace molto: è una sintesi di temi sia musicali che sociali che mi coinvolgono molto. Genova è un pezzo divertentissimo da suonare live. Sul palco le canzoni cambiano veste, assumono carattere.

A Genova
Sono venuti a prenderti
A Genova
E ti hanno fatta piangere

Staremo dunque a vedere come la band si comporterà alla prova dei fatti. La tournée del 2015 è iniziata due settimane fa a Padova e si concluderà il 18 dicembre a Verona. In mezzo una carrellata serratissima di date su e giù per l’amata/odiata penisola. È un ritorno che molti non si aspettavano, qualcuno non ci sperava più. Di sicuro non passerà inosservato, che vi piaccia o no.

Foto di Edward Smith

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