Stampa, sostantivo femminile. Oggi, e domani?

In Weekend

Una bella, importante storia dal punto di vista del cammino delle donne e gli interrogativi pesanti che riguardano tutto il giornalismo nell’era digitale.
‘e-voluzione donna. I periodici femminili dalla carta al web’ è un libro a più voci e più mani. Ed è pure scaricabile

Ho dato anch’io il mio contributo al libro, e-voluzione donna. I periodici femminili dalla carta al web nato per un’idea di Gegia Celotti e con il sostegno dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Un libro collettivo, un libro di tanti autori, di colleghi giornalisti e di studiosi e di esperti che operano in vario modo nel sistema dei media. Non li citerò qui di fila, troppi nomi. L’importante è che ci siano tanti nomi a testimonianza non solo di una disponibilità e di un interesse, ma anche dell’esistenza di una “comunità” disposta a confrontarsi a proposito di un universo che tiene assieme questioni che riguardano politica, economia, cultura, società, e di fronte a una crisi che rimanda a quelle stesse questioni.

 

Una “questione” in particolare sembra stare nei nostri cuori e nelle nostre menti al di sopra di tutte le altre: l’innovazione tecnologica. Innovazione che si traduce nella concretezza del quotidiano in usi e strumenti che si chiamano web, rete, on line, app, Instagram, Facebook, iPhone, più modestamente cellulare o telefonino, secondo un catalogo che un ragazzino in età scolare conosce assai meglio di me.

Mi è capitato di dire più volte che il bello di questo libro è che lo si può leggere come si vuole: partendo dalla fine (dove si scrive di social media, con alcune autentiche sorprese), soffermandosi su qualche pagina a metà (dove direttrici e direttori – un solo direttore in realtà: Paolo Pietroni – raccontano le loro esperienze a capo di settimanali o mensili per donne, spesso forti di un ottimismo promozionale, non sempre giustificato), incontrando saggi di validi studiosi e analisti (con uno sguardo rivolto giustamente al futuro, incrociando suggerimenti prospettici con il recupero di buone pratiche del passato), verificando le tendenze del mercato pubblicitario, risalendo infine alla prima pagina, cioè all’editoriale di Alessandro Galimberti, che cito per rispetto istituzionale, essendo lui il presidente dell’Ordine, ma anche perché marca in sintesi alcuni punti vitali per il giornalismo in genere (alcuni dei quali torneranno costantemente lungo il percorso del libro), sotto forma di esortazione e di obiettivo: produrre contenuti e prima ancora idee ben radicate nella realtà, tenere separata la “mercatizzazione” del messaggio dalla notizia, far valere la tutela del copyright (perchè a pagare per lo sfruttamento di un’opera collettiva come il giornale, di cui il web si ciba impunito, sia l’intermediario digitale). Con il copyright siamo all’attualità legislativa (vedi la recente approvazione della direttiva da parte del parlamento europeo e politica (vedi l’opposizione in Italia di una componente della maggioranza di governo con motivazioni che trasudano ben scarsa consapevolezza del ruolo e dei problemi dell’informazione e persino della carta costituzionale), un’attualità di cui sembra non si voglia tener conto, malgrado la miseria delle nostre tasche.

A me è toccata la storia. Mi sono affidato infatti il compito di raccontare qualcosa del passato, un passato “modaiolo” che comincia qualche millennio fa (considerando l’arte figurativa come forma di comunicazione), due secoli fa se si pensa solo alla “stampa femminile”, che in Italia compare e cresce tra Sette e Ottocento. Di questi due secoli colpisce la ricchezza delle imprese editoriali dedicate alle donne: moda, in primo luogo, ma anche politica e cultura, gentilmente “concesse” dagli uomini a nutrimento spirituale delle loro compagne. Cioè in quei tempi, tra rivoluzione francese, Napoleone, aspirazioni patriottiche risorgimentali, nascono e si moltiplicano riviste femminili con una fortissima vocazione pedagogica: con i modelli (e i cartamodelli, che aiutano le sarte a confezionare abiti alla maniera francese), compaiono racconti, poesie, testimonianze e molti “servizi utili” (tra galateo e cucina). Il pubblico si allarga: dalle dame dell’alta società alle signore della media borghesia che via via si afferma con l’unità del paese, fino appunto alle sarte o alle modiste che di qualche insegnamento hanno pur bisogno per stare al passo con la concorrenza. Poi verrà il fascismo che cercherà di imporre la sua autarchia e un modello femminile adeguato al suo progetto, donne robuste e buone madri per dare figli alla Patria: incontrando certo ovvio entusiasmo, ma nella sostanza senza grandi risultati. Il dopoguerra riapre le finestre: l’aria pulita rilancia l’editoria al femminile, crea i presupposti per il grande sviluppo degli anni Settanta e Ottanta.

Il declino è di queste ultime stagioni e vale per tutti i tradizionali media: il web divora informazioni e la tv somministra notizie in tempo reale. “L’ho letto su Facebook, l’ho visto in rete”… una volta si sarebbe detto “lo scrive il Corriere”. In compenso quanti a digiuno di qualsiasi regola giornalistica, spesso con una familiarità con la lingua scritta appena accettabile, a digiuno peraltro di una cultura che consenta di capire la complessità degli argomenti, invadono con i loro post la rete, creando presunta informazione?

Che fare? Questa alla fine è la domanda che attraversa tutto il libro e leggendo le possibili risposte si trovano, talvolta inquietanti (là dove ad esempio mi pare di scoprire una sorta di ulteriore cedimento all’invadenza della pubblicità, già nei femminili ossessiva, a volte totalizzante, cedimento che sarebbe in qualche modo “governato” dalla disseminazione di bollini verdi e bollini rossi, a segnalare la presenza o meno dell’inserzionista, in una riesumazione delle televendite), talvolta stimolanti sul terreno proprio della pratica giornalistica (vedi il caso di Freedamedia, che non è una testata giornalistica, ma produce contenuti giornalistici, video, foto, articoli). Quasi sempre si fa riferimento ad un futuro “social”, destinando la carta a un progressivo macero (non scontato: la carta vanta ancora virtù e sostenitori). Sempre si rimanda alla “qualità” dell’informazione, di qualunque genere, che dovrebbe essere “alta”, proprio per giustificare la “necessità” del giornale (qualsiasi giornale).

Qui si entra mi pare in un campo che potrebbe essere vastissimo e complicatissimo (con implicazioni che potrebbero risultare poco incoraggianti): di mezzo ci sono la crisi della politica (nel segno della partecipazione reale alla politica e quindi dell’impegno individuale) e il degrado della cultura, l’incessante moltiplicarsi di miti consumistici, la stessa perdita di senso di ogni valore comunitario. Ma a proposito di qualità di mezzo c’è anche qualcosa che ci riguarda molto da vicino: qualcosa che si riassume in condizioni di lavoro più difficili, più incerte, più vessatorie. Sempre più spesso si è dovuto scrivere di sfruttamento, di ricatti, oltre che di licenziamenti, di cassa integrazione, di solidarietà, di cessazione di testate o di cessioni a presunti editori che nei loro progetti non prendono neppure in considerazione l’esistenza di una redazione (e neppure di una sede), di un mercato del lavoro sempre più chiuso e più povero. Se un articolo viene retribuito in centesimi di euro, la qualità è l’araba fenice. Con buona pace di chi (e parliamo ancora di personaggi che stanno al governo) vorrebbe mettere sotto tiro la “casta” dei giornalisti.

Momenti duri, dunque, come racconta  e-voluzione Donna, momenti in cui dovrebbero contare intelligenza, cultura, fantasia, per battaglie comuni.

p.s. A questo punto non posso non citare, in ordine di apparizione, quanti hanno contribuito con me e con Gegia Celotti alla fattura di questo libro: Alessandro Galimberti, Dina Bara, Luca De Biase, Luca Testoni, Marina Calloni, Laura Incardona, Enrico Finzi, Gabriele Porro, Federica Bosco, Nicoletta Morabito, Ilaria Li Vigni, Rosanna Massarenti, Lucia Bocchi, Daniela Stigliano, Paolo Pozzi, Liviana Nemes,Paola Rizzi, Marialuisa Pezzali. Gli intervistati sono: Giovanna Calvenzi, Marisa Deimichei, Daniela Hamaui, Annalisa Monfreda, Valeria Palermi, Danda Santini, Angelina Spinoni, Maria Elena Viola, Carla Vanni, Paolo Pietroni, Sandra Gotelli, Daniela Sola, Anna Ditaranto, Raffaele Pastore, Daria Bernardoni, Niccolò Vecchiotti.

Il libro è scaricabile dal sito dell’Ordine e, tra poco, sarà disponibile la versione cartacea.