Slavoj Zizek superstar

In Letteratura, Weekend

Anatomia, attraverso i suoi scritti, del filosofo pop che auspica il ritorno ad una seria lotta di classe. Ed è così che, in ‘Che cos’è l’immaginario?’ appena rieditato dal Saggiatore, Hegel e Kant, Marx e Lacan passeggiano amabilmente con Hitchcock e Spielberg e Marilyn si trova accanto a Platone…

Se credete che l’humour inglese sia poco divertente o non si capisca, provate con i lacanian jokes of the day pubblicati sulla pagina Facebook Zlazloj Zlizlek. Ma guai a dire che Lacan è difficile, Žižek vi risponderebbe che è class propaganda by the enemy.

Non so quanti filosofi viventi abbiano pagine fan-made, ma di sicuro Slavoj Žižek, l’Elvis della teoria culturale, ne vanta più d’una, tant’è che i suoi tic linguistici stanno iniziando a essere riusati in formato pseudo-citazionale da più di un giornalista (ogni volta che leggete un and so on and so on in realtà è Žižek che parla).

Ma da dove viene tutto questo successo? Žižek è riuscito a far di sé un filosofo pop, una superstar. Fine indagatore dell’ideologia e della cultura pop, ha creato il personaggio Žižek, consapevole che un’apparenza non è mai una mera apparenza, essa tocca profondamente la posizione sociosimbolica concreta di ciò che riguarda (detto altrimenti e parafrasando Oscar Wilde: solo gli sciocchi non giudicano dalle apparenze). E proprio per questo Žižek costruisce interi discorsi sull’analisi di queste “apparenze”: dall’acconciatura del pelo pubico femminile al cameratismo militare e alla ritualità della Chiesa. Fino ad arrivare a parlare dell’ideologia nascosta dietro i WC:

“Nella tradizionale tazza tedesca il buco in cui la merda sparisce dopo aver tirato lo sciacquone è di fronte, così che la merda prima galleggia affinché la si possa annusare e ispezionare per trovarvi le tracce di un’eventuale malattia; nella tazza tipicamente francese, invece, il buco è dietro – cioè la merda è supposta sparire il più presto possibile; infine, nei paesi angloamericani la tazza presenta una sorta di sintesi, una mediazione fra i due poli opposti – la tazza è piena d’acqua, così che la merda vi galleggi visibile, ma non ispezionabile. Non c’è da meravigliarsi allora che Erica Jong […] scherzosamente affermi: «le toilettes tedesche sono veramente la chiave degli orrori del Terzo Reich. Gente che può costruire toilettes come queste è capace di tutto». […]
Così, sarebbe facile per uno studioso affermare, durante una tavola rotonda, che viviamo in un universo postideologico – ma nel momento in cui, dopo l’incandescente discussione, va al gabinetto, ecco che si ritrova di nuovo immerso fino al collo nell’ideologia”. (da Che cos’è l’immaginario, Il Saggiatore, p. 21).

Al di là della boutade, il procedimento è tipico di Žižek e lo dimostrano i suoi continui riferimenti alla cultura popolare e al cinema (cui ha dedicato due documentari nei quali spiega come funziona l’ideologia nei film: The Pervert’s Guide to Cinema e The Pervert’s Guide to Ideology). Questa volontà di voler spiegare – utilizzando ampiamente il marxismo e Lacan – tutti i fenomeni della vita quotidiana, che ci riguardano più da vicino è sicuramente una delle chiavi del successo di Žižek. E di questo tipo di esempi è pieno Che cos’è l’immaginario, un testo del 1997 riedito da poche settimane da Il Saggiatore. Come avverte Marco Senaldi, il curatore dell’opera, gli esempi sono i momenti teorici stessi: incarnazioni di motivi culturali che impersonano, e così risolvono, la tensione latente nella dialettica all’opera fra universale e singolare. L’altra grande caratteristica dell’appeal di Žižek è il suo sforzo a offrire nuovi approcci e chiare soluzioni. E lo afferma senza dubbi in una conferenza tenuta a Vienna nel 2004 insieme ad Alain Badiou (trascritta in La filosofia al presente): per Žižek il momento affermativo è fondamentale, non basta la critica.

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Che fare
Oltre a essere il titolo del famoso scritto di Lenin, Che fare è anche l’ultimo capitolo de La nuova lotta di classe (Ponte alle grazie), l’ultimo pamphlet di Žižek su rifugiati, immigrazione, terrorismo, ISIS e tutti i problemi che ne derivano. Proprio in chiusura, dopo aver analizzato ampiamente la situazione, Žižek offre le sue soluzioni, iniziando col superare la tolleranza: non limitatevi a rispettare gli altri – dice Žižek – ma offritegli una lotta comune, perché oggi i nostri problemi sono comuni. Il nostro assioma dovrebbe essere che la lotta contro il neocolonialismo occidentale e contro il fondamentalismo, la lotta di Wikileaks e di Snowden come la lotta delle Pussy Riot, fanno parte della stessa lotta universale. Žižek invoca il ritorno alla lotta di classe: e l’unico modo di farla tornare è insistere sulla solidarietà globale degli sfruttati e degli oppressi. Senza questa visione globale, la patetica solidarietà con le vittime di Parigi è un’oscenità pseudoetica. È anche l’unico modo per superare le nuove forme di apartheid e schiavitù che si stanno diffondendo nel mondo. E non serve guardare lontano (all’uso del lavoro forzato nello sfruttamento delle risorse naturali in Congo; al controllo totale esercitato su milioni di operai nelle officine asiatiche; ai milioni di lavoratori immigrati nella penisola saudita, privi dei più elementari diritti civili e libertà). Basta pensare al lavoro nero dei cinesi a Prato o ai migranti raccoglitori di pomodori.

Contro i tabù
Uno dei meriti di Žižek è sicuramente quello di indagare in fondo i tabù della società e non fermarsi mai alla percezione più immediata delle cose. Un intero capitolo de La nuova lotta di classe è dedicato alla distruzione di alcune idee di base della sinistra europea sulla questione rifugiati: è arrivato il momento (per la sinistra progressista) di disfarsi del mantra secondo cui il nostro compito principale dovrebbe essere la critica all’eurocentrismo: i critici dell’eurocentrismo – secondo Žižek – rifiutano i valori culturali dell’Occidente proprio nel momento in cui, se reinterpretati criticamente, molti di essi potrebbero servire da arma contro la globalizzazione capitalista.
Altro tabù contro cui Žižek si scaglia è quello secondo il quale la protezione del proprio modo di vita sia in sé una categoria protofascista o razzista. Per Žižek è possibile rispondere alle preoccupazioni che la gente comune nutre al riguardo del proprio specifico modo di vita anche da un punto di vista di sinistra e Bernie Sanders ne rappresenterebbe la prova (e andrebbe aggiunto che negli USA alla distruzione della vita comunitaria nelle piccole città hanno contribuito più i mutamenti economici introdotti dalla Reaganomics che tutti gli immigrati messi insieme…).
Last but not least: la proibizione di ogni critica dell’islam in quanto caso di “islamofobia”, tabù perfettamente speculare alla demonizzazione dell’islam promossa dai populisti anti-immigrazione.

La vita non è un film di Frank Capra
La vena da polemista non risparmia nulla e nessuno e arriva a colpire anche personaggi come Madre Teresa di Calcutta (e non si ferma alle apparenze, ma indaga cosa c’è dietro). Ne L’anima dell’uomo sotto il socialismo Oscar Wilde si prodiga in un’appassionata invettiva contro la carità, un mezzuccio per pulirsi la coscienza e conservare lo status quo (come nella famosa vignetta di Mafalda in cui per risolvere il problema della povertà si suggerisce semplicemente di nascondere i poveri). A queste riflessioni Žižek, come suo solito, aggiunge quella trash can che chiama ideologia. In Che cos’è l’immaginario scrive, a proposito di Madre Teresa, che il profilo ideologico della sua operazione è doppio: in quanto suggerisce al povero e al malato terminale che dovrebbero cercare la salvezza nella loro stessa sofferenza, Madre Teresa impedisce loro di trovare la cause della loro stessa condizione – impedisce loro di politicizzare la propria situazione; allo stesso tempo, essa offre ai ricchi occidentali la possibilità di una specie di «surrogato di redenzione» donando contributi finanziari alla sua attività caritatevole. Il messaggio di Madre Teresa ai derelitti è che la povertà deve essere accolta come via alla redenzione. Ma la vita non è un film di Frank Capra e la povertà non ha nulla di redentivo.

Marx e Lacan a braccetto
Accanto all’analisi ideologica, c’è un altro grande metodo che Žižek utilizza per interpretare il mondo: la psicoanalisi (e soprattutto quella di Lacan). Tanto i fatti politici (la categoria lacaniana della jouissance è utilizzata nel nono capitolo de La nuova lotta di classe) che quelli privati sono guardati con l’ausilio di questa lente. Così in Che cos’è l’immaginario, attraverso Lacan, Žižek contesta l’idea della banalità del male di Hannah Arendt: l’esecuzione dell’Olocausto fu trattata dallo stesso apparato nazista come una sorta di sporco segreto osceno, ammesso non facilmente, che non è facile tradurre nel semplice e diretto linguaggio dell’anonima macchina burocratica. La burocratizzazione del crimine, anzi – per Žižek – era ambigua nel suo impatto libidinale: da un verso permetteva di neutralizzare l’orrore, dall’altro era una forma di jouissance aggiuntiva (Non è forse più appagante torturare dei prigionieri come parte di un qualche processo ben ordinato? Abu Grahib testimonierebbe di sì). E dai fatti della storia si passa con estrema facilità ai rapporti di coppia, di amicizia, ai rapporti interpersonali, al sesso (che secondo Žižek contiene sempre in sé una relazione di potere).

Che cos’è l’immaginario?
Per rispondere a questa domanda Žižek ha impiegato 352 pagine, più una cinquantina fra note e bibliografia, un certo importante aiuto da Lacan e non pochi riferimenti alla cultura popolare (condita in salsa ideologica). Iniziamo con un’immagine: immaginario non vuol dire che, quando desidero una torta di fragole e non posso averla nella realtà, fantastico di mangiarla; piuttosto, il problema è: come faccio sapere che desidero proprio una torta di fragole? L’immaginario mette in scena quello che desidero e non posso avere. L’immaginario mi dice cosa sono per gli altri, è un tentativo di rispondere alla domanda “cosa vuole la società da me?”. Torniamo alla nostra torta di fragole: una bambina mentre mangia una torta di fragole nota come i genitori siano profondamente soddisfatti da quello spettacolo, vedendola godere appieno, allora la sua fantasia di mangiare la torta sarebbe il tentativo di formare una sorta di identità che dovrebbe soddisfare i suoi genitori, che la renderebbe l’oggetto dei loro desideri…

L’immaginario è anche la forma primordiale di racconto, che serve per nascondere alcuni punti morti originari; l’immaginario stesso è una bugia primordiale, uno schermo che maschera l’impossibilità fondamentale.

L’immaginario è anche indagato nel suo funzionamento nel cyberspazio. Il titolo originale del saggio è una citazione petrarchesca, The plague of Fantasies e il posto dove questa piaga è portata ai suoi estremi sono i nuovi media audiovisivi (e Žižek arriva fino a suggerire di adottare, nei confronti del cyberspazio, un atteggiamento conservatore, come quello di Chaplin nei confronti dell’audio al cinema).

In Che cos’è l’immaginario Hegel e Kant, Marx e Lacan passeggiano amabilmente con Hitchcock e Spielberg, Star Wars incontra Hannah Arendt, Marilyn si trova accanto a Platone e l’atteggiamento di Žižek è da materialista storico quale lo descriveva Edoardo Sanguineti: un atteggiamento in tutto e per tutto antidogmatico, che mette in questione tutto, rovescia le categorie e tenta di mostrare, spiegare (e a volte far inceppare) le rotelle del meccanismo del nostro mondo.

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