Shining: immagini capaci di trafiggere lo sguardo

In Cinema

Torna nelle sale per soli tre giorni (31 ottobre, 1 e 2 novembre), in versione restaurata e leggermente più lunga (119 minuti) uno dei massimi capolavori nella carriera del regista americano, e uno dei massimi esempi di cinema “dello spavento”. Con un Jack Nicholson davvero grandissimo, oltre ogni limite, nel ruolo dello scrittore in crisi che finisce per impazzire nelle sale enormi del lugubre, deserto, sterminato Overlook Hotel, da allora diventato luogo d’elezione per eccellenza degl’incubi della mente umana. Kubrick inventa lui, l’atterrita scheletrica moglie Shelley Duvall, il bimbo sul triciclo, le gemelle insanguinate e tante altre ossessioni che da 35 anni ci portiamo dietro, pubblico spaventato e felice, “drogato” da un autore che è il cinema in persona. E grato anche a Stephen King, da cui tutto è nato

La lunga sequenza iniziale, con la macchina da presa che vola sulle montagne rocciose, all’inseguimento di quella piccola automobile che arranca insignificante, già spaventata in mezzo a una natura magnifica e crudele, sovrana e indifferente? Oppure il piccolo Danny che corre con il suo triciclo azzurro negli infiniti corridoi dell’Overlook Hotel? O forse le due gemelle vestite anche loro di azzurro e sommerse di sangue vermiglio? O Jack Torrance che cerca di comunicare con sua moglie a colpi d’ascia? O la scena finale dell’inseguimento estenuante e fatale nel labirinto di siepi e neve? Qual è la vostra scena preferita di Shining? Partiamo naturalmente dal presupposto che se state leggendo questo articolo è perché il capolavoro di Stanley Kubrick l’avete già visto e vi state però domandando se valga o no la pena di rivederlo, visto che ritorna al cinema in versione restaurata e leggermente più lunga (119 minuti) nei giorni di Halloween, come evento speciale soltanto per tre giorni, dal 31 ottobre al 2 novembre.

L’occasione è il quarantesimo anniversario dell’uscita del libro di Stephen King, da cui Kubrick nel 1980 ha tratto uno dei suoi film più famosi, leggendario a dir poco, anche se lo scrittore non ha mai fatto mistero di non amarlo affatto perché il regista, secondo lui, si era preso troppe libertà. Ma verrebbe da dire che quello fra King e Kubrick è proprio uno scontro di titani, e oggi vorremmo evitare di prendere in qualunque modo posizione. Quindi non tenteremo neppure un confronto fra film e libro: parleremo del film e basta, limitandoci a elencare qualche buon motivo per andarlo a vedere (o meglio, rivedere) su grande schermo.

La prima ragione resta comunque lui, Stephen King. Qualcuno di recente ha parlato di un grande ritorno dell’autore americano, ma lui in realtà non è mai andato via, quindi non può nemmeno tornare. King fa parte del nostro paesaggio da talmente tanti anni, e in un modo così sostanziale, che non se ne può fare a meno. Poi magari lo si ama, non lo si ama, lo si adora, lo si sopporta a malapena, il ventaglio di possibili sentimenti è piuttosto ampio, ma quel che è certo è che non lo si può ignorare. Ogni tanto qualcuno si azzarda persino a dire che, insomma, non ha mica inventato tutto lui… Assolutamente vero! Però intanto lui sta sempre lì. E non si riesce a prescindere.

L’altro motivo è naturalmente Kubrick, che se n’è andato ma anche no: è morto, certo, ma in realtà ci sembra ancora qui, e rimarrà per sempre fra i grandi, anzi i grandissimi della storia del cinema. C’è da dire che all’interno di una carriera esemplare, Shining è un film particolarmente esemplare: così geometrico, preciso, sfolgorante, semplicemente privo di smagliature. La parola “capolavoro” bisognerebbe usarla con parsimonia, per non consumarla. Ma per questo film sembra perfino troppo poco. Perché Kubrick entra nel genere, lo perlustra, lo rigira, lo mastica e lo sputa, lo rimodella come solo lui sa fare, e alla fine sforna un film fuori da ogni regola eppure capace di farsi modello: impeccabile, spaventoso, elegante. Il cinema come dovrebbe essere: poche parole, a tratti persino inessenziali, e tante immagini capaci di trafiggere lo sguardo e reinventare il mondo. Davanti ai nostri occhi. Per sempre.

C’è un terzo motivo per correre a rivedere questo film: Jack Nicholson. Pensate di conoscerlo, forse vi annoia persino quel ghigno sardonico e assassino che è diventato il suo marchio di fabbrica. Però Shining è l’inizio di tutto, un punto di non ritorno, in qualche modo un destino. Se Jack Nicholson è stato quello che è stato, lo deve all’incontro fatale con Stanley Kubrick, regista ossessivo e magistrale, capace di un maniacale controllo su ogni dettaglio del set ma anche di una straordinaria capacità creativa e immaginativa. Perché Stephen King per primo ha immaginato l’incubo infinito e claustrofobico dell’Overlook Hotel, è vero, ma è stato Stanley Kubrick a tradurlo in immagini, fissando i dettagli, registrando suoni, fragori e sibili, inventando sequenze di immagini semplicemente indimenticabili. Perché l’Overlook Hotel non è un luogo di demoni infernali da sconfiggere e cancellare, ma piuttosto un inferno domestico fin troppo noto, che sta tutto dentro la mente umana e per essere sconfitto deve prima di tutto essere compreso.

Un film ambiguo e indimenticabile proprio come il suo protagonista: un concentrato di violenza repressa ed egocentrismo, paura dell’altro e inesorabile fascinazione. Di Jack Nicholson nei panni folli di Jack Torrance, scrittore fallito alla ricerca di un senso e di una direzione (o forse solo di un capro espiatorio) si è spesso sottolineata l’interpretazione eccessiva, fin troppo sopra le righe, incapace di sfumature e finezze. Però proprio quell’essere smisurato (nel senso di “fuori misura”) dell’attore protagonista si combina perfettamente con la geometrica precisione del regista, che costruisce ogni scena con amorevole cura e spietato rigore. Con grande misura e nemmeno un pizzico di pietà.

Shining di Stanley Kubrick, con Jack Nicholson, Shelley Duval, Danny Loyd, Philip Stone, Scatman Crothers, Barry Nelson

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