Scoprendo Milano: il vecchio e il nuovo alla Fondazione Prada

In Arte

Settimo appuntamento con la rubrica “Scoprendo Milano”: ogni mese, la storia di un luogo, della sua evoluzione architettonica, del suo ruolo nelle trasformazioni della città. Alla Fondazione Prada le vecchie strutture industriali di una distilleria convivono armoniosamente con i nuovi edifici: merito di Rem Koolhaas e del suo studio OMA

Per gli appassionati di arte e architettura, il 2015 a Milano non significò solo EXPO: a distanza di pochi mesi vennero infatti inaugurati Mudec e Fondazione Prada, due grandi complessi museali che, nonostante le differenze dal punto di vista espositivo e progettuale, condividono l’origine industriale delle strutture che li ospitano. Tale scelta sottolinea l’attualità del riuso architettonico, modus operandi dalle innumerevoli potenzialità.

Una distilleria dei primi del Novecento, collocata in Largo Isarco, ha fornito il fertile terreno su cui innestare la nuova sede della Fondazione Prada, grazie all’ambizioso intervento dello studio di architettura OMA, guidato da Rem Koolhaas. All’interno di un’articolata configurazione architettonica, in cui nuovo e vecchio interagiscono dialetticamente, trovano posto spazi espositivi, una biblioteca, un cinema e un bar arredato dal regista Wes Anderson.

 

Iniziato nel 2008 come studio di fattibilità, il progetto, insieme alla ristrutturazione e alla riconversione di magazzini, laboratori e silos di fermentazione, comprende tre nuovi edifici: il Podium, spazio per le mostre temporanee; il Cinema, auditorium multimediale; la Torre, area espositiva permanente di dieci piani dedicato alla collezione e alle attività della Fondazione.

Tali aggiunte vanno a consolidare le preesistenze, modellandole secondo le necessità espositive della committenza, intenzionata ad ampliare il repertorio delle tipologie spaziali in cui l’arte può essere mostrata e condivisa col pubblico. Questo ambizioso progetto infatti, data la volontà di diffondere e approfondire svariate discipline, mira alla predisposizione di spazi ideali per le opere più disparate, provenienti sia dalla collezione della Fondazione che da mostre temporanee.

Il progetto di OMA preserva la conformazione volumetrica preesistente, rendendo però il perimetro più permeabile, in modo tale da adeguare l’edificio al flusso di visitatori e gli spazi interni più compositi e variati. Questa intenzione ha portato alla demolizione del grande edificio al centro dell’area, la cui traccia è stata in parte ripresa nel perimetro del nuovo Cinema.

In giallo gli edifici demoliti, in rosso gli edifici aggiunti

 

Il volume originario è stato concettualmente spostato e ricostruito come area espositiva, il Podium, andando ad avvolgere l’edificio verticale preesistente, la Haunted House, ora ricoperta di fogli d’oro. Il processo di sostituzione delle parti costruite all’interno della corte si rifà ad una configurazione urbana rimpicciolita, in cui si possono individuare assi principali e vie secondarie, vicoli, arcate e spazi pubblici. La riproposizione di un insediamento che richiama l’impostazione propria della città è sottolineata dalla miscela di edifici preesistenti e nuovi volumi, ognuno con il proprio linguaggio e la propria storia.

Gli intenti inclusivi promossi dalle attività della Fondazione trovano un riscontro in questa nuova configurazione: il cluster post-industriale che ne deriva, in cui corti aperte si alternano ad aree più appartate, riesce a configurare uno spazio pubblico comune, la cui varietà invita e incoraggia i visitatori a interagire con le sollecitazioni culturali proposte dalla struttura museale. I nuovi edifici sono concepiti come blocchi autonomi, che esprimono la loro individualità attraverso diverse tipologie di aperture e di superfici di rivestimento.

Queste ultime hanno svolto un ruolo decisivo nell’interazione con l’esistente, grazie alla scelta di materiali inediti e innovativi, in grado di caratterizzare iconicamente il nuovo intervento. È il caso della schiuma di alluminio che avvolge il Podium, materiale d’uso militare utilizzato qui per la prima volta come rivestimento edile, o dei sottili fogli d’oro 10×10 cm che ammantano il volume centrale della Haunted House, che accoglie un’installazione permanente concepita da Rober Gober e due lavori di Louise Bourgeois.

Un asse visuale, attraversando le aggiunte e gli edifici preesistenti, unisce vecchio e nuovo, giocando con le trasparenze e stabilendo un collegamento tra loro. Gli spazi interni tendono a estendersi all’esterno, e allo stesso tempo la distanza tra i blocchi tende a sottolineare i loro limiti fisici. In tal modo, nuovo e vecchio si trovano a condividere un vocabolario comune, rafforzandosi vicendevolmente e costruendo un senso di unità costituito da linguaggi compositi.

Al fine di poter soddisfare i requisiti tecnici e normativi necessari per il passaggio da impianto industriale a polo culturale di pubblico utilizzo sono stati necessari numerosi accorgimenti, quali l’incremento della resistenza statica di tutti i muri in laterizio, le misure antincendio e l’accessibilità per i disabili.

Al fine di non compromettere il carattere e l’atmosfera originaria del complesso industriale, le risposte a tali necessità non si limitarono a mere misure tecniche, ma a soluzioni studiate caso per caso. Le piattaforme di carico ad esempio, collocate a 1.2 metri di altezza, avrebbero richiesto per essere a norma l’istallazione di un parapetto. Per evitare di ricorrere a quest’elemento – visivamente invasivo – sono state istallate delle sedute ai piedi della piattaforma di carico, riducendo in questo modo l’altezza di caduta.

Nel progetto di OMA la conservazione delle preesistenze convive con l’ideazione di nuovi spazi architettonici, che nonostante le differenze si confrontano in un processo di continua interazione. Come sostiene Rem Koolhaas: “Vecchio e nuovo, orizzontale e verticale, ampio e stretto, bianco e nero, aperto e chiuso: questi contrasti stabiliscono la varietà di opposizioni che descrive la natura della nuova Fondazione. Introducendo numerose variabili spaziali, la complessità del progetto architettonico contribuisce allo sviluppo di una programmazione culturale aperta e in costante evoluzione, nella quale sia l’arte che l’architettura trarranno beneficio dalle loro reciproche sfide”.

Il progetto della Fondazione Prada dimostra che, grazie ad un intervento calibrato e attento, è possibile accostare all’esistente il nuovo senza cercare di mimetizzarlo o di snaturarne l’atmosfera originaria. La coesistenza di due dimensioni chiaramente distinte instaura una continua interazione retta su un sottile ma stabile equilibrio, in cui nessuna voce prevale sull’altra.

 

Fonti iconografiche:

https://www.archdaily.com/628472/fondazione-prada-oma

http://oma.eu/projects/fondazione-prada

Yellowred: on reused architecture, a cura di Martin Boesch, Laura Lupini and João F. Machado, Mendrisio, Academy Press, 2017.

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