Scatto, quindi esisto. Il selfie contro l’angoscia della morte (parola di Ferdinando Scianna)

In Arte

Per bookcity, Ferdinando Scianna e Roberto Cotroneo discutono di fotografia digitale e selfie-mania, tra Borges e social network distopici. Ecco il nostro resoconto

Ferdinando Scianna torna a Milano a parlare di fotografia, ospite di Bookcity a fianco di Roberto Cotroneo, che presenta al pubblico il suo recente Lo sguardo rovesciato, pubblicato da Utet. Il luogo è quello dei Frigoriferi Milanesi, che Bookcity ha adibito a polo fotografico, ospitando, tra gli altri, una mostra sulle spose bambine di Neige De Benedetti (e commentata da Adriano Sofri) e Dove gli dei si parlano, emozionante fotoreportage intorno al sacro a cura di Monika Bulaj.

Ma torniamo a Scianna e Cotroneo. Il dibattito si concentra attorno al tema della fotografia e del suo rapporto con la realtà e all’eterna dicotomia tra analogico e digitale. Come la fotografia sta cambiando le nostre vite? O piuttosto: la fotografia sta davvero cambiando le nostre vite o si adegua a una società che cambia? La fotografia si fa sempre più digitale, sovrabbondante, immediata, pubblica, condivisibile e globale. Si scatta sempre di più e siamo tutti fotografi; si scatta non più solo per suggellare un momento importante – una laurea, il matrimonio, l’album di famiglia. Si scatta sempre, incessantemente e disperatamente: l’insalata russa gustata a pranzo, un tramonto ritoccato, il treno in ritardo, e una mitragliata di selfie. Si scatta per condividere, affermare la propria esistenza, comunicare un’emozione, che è quella del momento, svanita da qui a un’ora. Si scatta per ribadire la vita e per sfuggire alla morte, alla vecchiaia, al dolore. Scatto, dunque esisto.

Piazza San Pietro in occasione dell'elezione di Papa Francesco. AP Photo/Michael Sohn
Piazza San Pietro in occasione dell’elezione di Papa Francesco. AP Photo/Michael Sohn

E il selfie? Che rapporto ha con la fotografia? È forse un ritratto a perenne memoria? È un lascito a beneficio delle generazioni future? Scianna non ha dubbi: il selfie non è che l’immagine di sé riflessa in uno specchio. Uno specchio ormai pubblico, sì, ma pur sempre uno specchio. Il selfie non è un ritratto, perché l’occhio del fotografo coincide con l’oggetto fotografato e lo muta a suo esclusivo piacimento. Sceglie la posa migliore, la ritocca grazie ai filtri “artistici”, che altro non fanno se non alterare la realtà, renderla diversa da com’è, e simile a come noi vorremmo che fosse. Nel ritratto è il fotografo, un soggetto altro, a dare un’interpretazione dell’oggetto fotografato. Il selfie è un semplice specchiarsi, a costante affermazione della propria identità.

Ennio Flaiano diceva: “Si fotografano per essere sicuri di essere vissuti”. Scianna afferma che “ora ci si fotografa per rispondere all’inquietudine sulla nostra impermanenza. Per essere certi che stiamo vivendo. È questo il selfie: la condivisione permanente della tua immagine”. L’essenza del selfie viene dimostrata da applicazioni come Snapchat, che permette di condividere fotografie che si autodistruggono automaticamente dopo la ricezione. È questo lo scopo: produrre un’immagine vuota, quella di uno specchio, che scompare dopo essere stata fruita. “Lo specchio per sua natura riempie qualcosa di effimero. Non guarda nessuno. Borges si chiedeva: che fa lo specchio quando io non sono lì davanti? Torno e mi vedo riflesso. Ma quando me ne vado che è successo della mia immagine che lo specchio rifletteva?”.

Ferdinando Scianna. Courtesy Ferdinando Scianna
Ferdinando Scianna. Per gentile concessione di Ferdinando Scianna

Il selfie non minaccia dunque il fotografo ed esiste senza di lui e solo per sé. Scianna ipotizza una futura versione di Facebook dove l’utente condivide i propri selfie solo con sé stesso. D’altronde “nessuno può guardare con interesse qualcuno che sta perennemente in posa, soprattutto se è a sua volta occupato a stare in posa davanti a sé stesso”.

Immagine di copertina: Selfie di gruppo alla cerimonia degli Oscar 2014.