Il canto struggente di Charlotte Salomon a Palazzo Reale

In Arte

È un intreccio coinvolgente ed emozionante quello che avvolge e cattura lo spettatore che si addentra nella vita, o nel teatro, di Charlotte Salomon a Palazzo Reale di Milano. Un’opera complessa e articolata che racconta con maestria la storia familiare, sociale e interiore di una giovane donna che, prima di morire ad Auschwitz, ci ha voluto donare un racconto tragico di impressionante forza e poesia.

Confesso di essere arrivato prevenuto. Non conoscevo l’artista e le premesse mi preoccupavano, timoroso di trovarmi in una mostra che si reggesse soltanto sulla drammatica storia dell’autore a discapito dell’opera. Non sopporto e non ho mai sopportato la retorica, tanto meno quella sulla morte, sulla tragedia o sull’Olocausto, e non tollero la celebrazione dell’opera attraverso il contesto quando l’opera è mediocre.

Ma stavolta ero ben lontano dalla realtà. Vita? o Teatro? di Charlotte Salomon, giovane artista ebrea morta ad Auschwitz, è veramente, come scrive il curatore Bruno Pedretti, un’opera d’arte totale, un autentico poema, un altissimo canto tragico.

Charlotte Salomon era una ragazza berlinese di buona famiglia con la passione dell’arte, passione che la portò, unica ebrea ammessa, a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Berlino. La sua sarebbe potuta essere una vita serena e spensierata, ma il destino del mondo e una maledizione familiare – la parola sfortuna scritta in caratteri misteriosi nelle pieghe sinuose della fronte, come scrisse Baudelaire di Poe – incombevano su di lei fin dall’inizio della sua vita.

Il mondo si avviava verso il suo periodo forse più buio e feroce, mentre lo stesso buio e la stessa ferocia devastavano il suo vissuto familiare. Hitler si avviava a incendiare l’Europa e a distruggere la vita di ebrei, zingari, malati di mente e oppositori politici, quando una storia familiare di depressione profondissima privò Charlotte della madre, che le dissero essere morta di influenza ma che in realtà si era tolta la vita sulla scia di una serie impressionante di suicidi entro il primo grado di parentela.

Il secondo matrimonio del padre, medico universitario, con una famosa cantante lirica, le leggi razziali, l’isolamento, la fuga in Francia, la scoperta del male oscuro che anche lei si portava dentro quando il nonno, divenuto vedovo come lei diventò orfana, le svelò la terribile verità familiare. Immagino la morte che appare a Charlotte come nello specchio del barbiere: riflessa davanti e dietro, con i riflessi che si riflettono l’uno nell’altro a formare un tunnel infinito di riflessi, dentro il quale Charlotte rischia, è certa di precipitare. Con l’unica alternativa di fare “qualcosa di completamente folle” che le permettesse di riacquistare familiarità con la vita.

Charlotte combatte la follia della vita con la follia dell’immaginazione e dell’arte. Un antidoto frenetico, una pulsione devastante e struggente. Alle porte di Nizza, nella casa dei nonni dove ha appena scoperto la verità sulla fine della madre, della giovane zia e ora della nonna, nei due anni che mancano alla deportazione e alla raccapricciante morte da bestia marchiata ad Auschwitz, nasce Leben? oder Theater?, Vita? o Teatro?.

Centinaia di fogli dipinti a tempera con i soli colori primari si susseguono come in uno storyboard a raccontare l’intreccio delle vicende sociali, familiari e interiori dei personaggi della sua vita. Cambiando di poco i nomi, Charlotte rovescia tutta la sua storia sulla carta dividendo il racconto in tre sezioni: l’infanzia, la gioventù e l’epilogo dopo la fuga in Francia.

Temevo, come dicevo, pittura mediocre per contenuti importanti. Ho trovato pittura importante per contenuti straordinari. Lo stile di Charlotte Salomon è perfettamente nello spirito del suo tempo, espressionista, Fauve, molto Matisse, un po’ di leggerezza Déco, un accenno di naïves. Ma riesce ad andare oltre. Quello in cui ci si trova immersi è un intreccio indissolubile di livelli di lettura, intersecati con una maestria quasi fatale grazie alla quale nessuno dei livelli sovrasta gli altri, formando un arazzo narrativo splendente e terrificante assieme.

Il racconto è pittorico ma anche musicale, con indicazioni precise sulle musiche da immaginare scena per scena; è letterario, con scritte e proclami vergati sui fogli; è teatrale, per il ritmo e la progressione che catturano, trascinano dall’inizio alla fine del percorso, fanno dimenticare il luogo e il tempo presenti e catapultano nel tempo ridotto e dilatato di Charlotte.

Il crescendo è incalzante. All’inizio lo stile è descrittivo in modo quasi maniacale, con le architetture spaccate a mostrare gli interni e le figure bordate da un segno continuo rosso cupo che sembra cucito (mi sono venuti in mente i segni drammatici di Carol Rama nei disegni manicomiali e certi ricami di Maria Lai).

Poi si prosegue da un disegno all’altro e il registro cambia, diventando sempre più concitato e urgente. Il segno si scioglie, la materia si liquefa, la figura si astrae. Non c’è più tempo per i fronzoli, c’è tanto da dire e poco tempo per farlo. Un abbraccio di commiato emozionante fino alle lacrime si risolve in pochi segni di pennello, cosi come le incredibili tavole dove i corpi distesi formano pattern da tessuto nordico, elegantissimi e drammatici.

Si viene così trascinati lungo la progressione del racconto, che sembra nascere dall’incalzare degli eventi, dalla libertà del segno che viene dalla pratica frenetica e, non ultima, da una precisa scelta stilistica e narrativa. Ma quello che più affascina e destabilizza, quando ci si immerge in questa esperienza sinestesica, è proprio l’impossibilità di capirne fino in fondo la struttura e soprattutto di separare i livelli di lettura.

Con un’eccellente proprietà di mezzi espressivi, la giovane Charlotte parla della sua vita di ragazza, del mare, dell’amore, del dramma della sua famiglia, dell’orrore del nazismo, della condizione di esule, della paura, dell’addio, della fine. Ma la storia di depressione e morte, incrociandosi a trama fitta con la devastante storia sociale del suo tempo, ci racconta qualcosa d’altro ancora. Racconta una condizione dello spirito che va al di là delle contingenze ed è quindi sovrapponibile a qualunque altro contesto. È generalizzabile ed è universale, perché non racconta solo i fatti ma la loro anima, la loro essenza, usando per farlo ogni mezzo a sua disposizione.

 

Il resto è storia. Pochi mesi dopo la fine del lavoro Charlotte viene arrestata dalla Gestapo col marito e deportata ad Auschwitz dove, incinta di alcuni mesi, verrà uccisa il giorno stesso del suo arrivo. Ma il gesto completamente folle che ha compiuto le sopravviverà, arrivando inaspettatamente dopo la guerra nelle mani del padre e della moglie, miracolosamente scampati all’Olocausto fuggendo in Olanda.

Un faldone – contenente 1325 documenti tra tempere, veline, annotazioni, varianti pittoriche e altre prove, con 800 tempere scelte da Charlotte come immagini del racconto definitivo – si aprì tra le mani dell’anziano medico, rovesciando addosso al suo e al nostro dolore un balsamo terribile e dolcissimo. Il racconto della vita, la carezza del ricordo, la salvezza dell’anima nell’Arte.

 

Charlotte Salomon, Vita? o Teatro?, a cura di Bruno Pedretti, Palazzo Reale, Milano, fino al 25 giugno 2017.

Tutte le immagini: Collection Jewish Historical Museum, Amsterdam, © Charlotte Salomon Foundation. Charlotte Salomon®

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