Le “voci” della Signora di James

In Teatro

Dal famoso “Ritratto” del romanzo americano al Teatro Libero una versione che viene dall’inconscio con Silvia Giulia Mendola e la regìa di Antonio Mingarelli

Era il 1881 quando veniva pubblicato Ritratto di Signora – uno di più bei capolavori di Henry James – e per questo inizio d’anno nuovo la stagione del Teatro Libero di Milano si riapre con una trasposizione teatrale di questo romanzo.

Questa volta a scrivere le parole di Isabel Archer non è James bensì lo stesso regista Antonio Mingarelli, diplomato alla scuola del Piccolo nel 2008, egli ha inoltre lavorato come attore con personaggi di spicco del teatro da Ronconi a Barberio Corsetti a De Bosio.

Isabel Archer è interpretata da Silvia Giulia Mendola in modo realmente notevole. Il testo sembra volerci raccontare l’intimità della protagonista. Un tentativo di descrizione di una donna molto moderno per l’epoca di James, un’eroina che tenta di discostarsi dal mondo prettamente maschilista che la circonda, cercando di essere autonoma per quanto le sia possibile. Un ruolo fondamentale per tutto il racconto è svolto dai personaggi che la accompagnano durante la sua esistenza, in questa rappresentazione tutti i personaggi che la arricchiscono di sofferenze e gioie, in realtà sembrano essere nient’altro più che voci nella sua testa. La zia, lo zio e il cugino sono tutte voci registrate che arrivano dall’alto o dall’altro ma sicuramente non da uno spazio fisico vero e proprio, solo il marito è rappresentato fisicamente sulla scena, non da un attore ma da un danzatore.

La prima domanda che viene in automatico da porsi è perché proprio un danzatore? Il linguaggio della danza è un linguaggio fortemente corporeo, legato ad una componente strettamente visuale, le parole di lei possiedono un registro ancora ottocentesco nonostante il riadattamento del regista, il danzatore, per quanto si muova talvolta su dei passi di danza classica, sembra stonare con gli eventi e con il linguaggio adottato anche dal punto di vista scenico. La scena, per quanto povera, risulta fortemente legata ad un filone filologico. Ci si chiede, ad un certo punto, se questo marito sia vero, e allora perché non parla? O nella sua testa, allora perché non è una voce?

Usciti dal Teatro si rimane con un ottima impressione di lei, delle sue parole e del registro ma rimane qualche dubbio sulla scelta del linguaggio che hanno utilizzato, che in alcuni momenti non sembra, non solo non arricchire la rappresentazione, ma neppure esserle utile.

In scena al Teatro Libero fino al 10 gennaio 2016

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