Rimini Protokoll – un aldilà laico e concreto

In Teatro

Al Teatro Studio i Rimini Protokoll allestiscono otto stanze per un percorso interattivo e filosofico su quello che resta di noi dopo la morte

Al Piccolo, in una saletta di forma ellittica e contenuto metafisico montata al centro del Teatro Studio, si aspetta il proprio turno per ascoltare l’ultimo nastro di otto anime che fanno il punto sulla loro vita. Fantasmi, presenze, o meglio assenze rimaste bloccate subito prima o subito dopo il confine tra questo mondo e quell’altro, testimoni dalla voce gentile e poliglotta che risuona in piccole stanze piene di memorie e segreti.

Nachlass dei Rimini Protokoll sta un po’ più che a metà strada tra il teatro e l’installazione. Il titolo significa lascito, eredità, con il “dopo” di nach e il “lasciare” di lassen a comporre il tema filosofico scelto dal gruppo tedesco per debuttare al Piccolo – ma la prima volta a Milano è stata con Zona K. Perché non è vero che ogni cosa finisce: qualcosa resta dopo la morte, almeno secondo gli svizzeri Stefan Kaegi e Dominic Huber che guidano il collettivo, a patto però che chi rimane sappia leggere le tracce di una vita che non c’è più.

Un aldilà laico e concreto, fatto di oggetti, fotografie, scatole, collezioni di mosche che accompagnano questi otto atti unici con molte parole, ma senza persone, senza attori fisicamente presenti. Solo voci registrate che accolgono il pubblico stanza dopo stanza per circa otto minuti, che invitano con gentilezza a mettersi a proprio agio, guardarsi intorno, bere un bicchier d’acqua, magari frugare nei cassetti. E col passare dei minuti ci si addentra sempre di più nelle vite degli altri, prendendo confidenza con dettagli che, anche quando sono insignificanti, rendono il contatto meno invisibile.

Vite come tante, tutte preziose, che compongono le puntate di una vera e propria serie teatrale. La segretaria, cantante mancata, che ricorda le speranze di gioventù; la diplomatica che crea una fondazione perché il suo lavoro prosegua dopo di lei; la vecchia orologiaia con le fotografie di una vita intera; la coppia di anziani con oscuri trascorsi nazisti; il giovane padre malato che spera di lasciare un bel ricordo alla figlia; il base jumper che con la morte scherza molto seriamente; il pensionato turco che vive a Zurigo ma vuole essere sepolto a Istanbul; il neurologo che teme le stesse degenerazioni del cervello che ha studiato per tutta la vita.

Lo sguardo indiscreto degli spettatori si posa su queste cronache di morti annunciate e le sovrappone in una somma interiore: non tanto per suggerire un’immagine della morte, quanto per descrivere che cosa è cambiato in chi ha dovuto iniziare a pensarci. Nachlass diventa quindi una rassegna di storie su come si decide di affrontarla, la morte, che in questa esperienza è molto più un discorso che un fatto. Ma questa nuova Antologia di Spoon River ha anche il merito di puntare all’attualità senza che ce ne si accorga, senza mai diventare un manifesto di propaganda. In settimane di dibattito che seguono la legge sul testamento biologico, sentiamo la voce pacata di chi ha scelto di andare a morire a Basilea dopo una diagnosi orribile, o ci appropriamo delle considerazioni di un dottore del cervello che sa che non potrebbe mai sopportare di rinunciare alla sua memoria e alle sue emozioni.

E alla fine del giro sembra che a nessuno importi più capire se i Rimini Protokoll abbiano allestito una performance teatrale o un’installazione artistica: importa piuttosto la verità che questo tour nell’aldilà è capace di trasmettere. Teatro-non teatro capace di fare giornalismo con le sue otto testimonianze. Certo ci sono stanze più riuscite e altre meno riuscite, ma quello che funziona sempre nella drammaturgia di Katja Hagedorn è l’equilibrio di tutti i racconti, anche dei più strazianti, che non cadono mai nel melodramma né tentano ricatti emotivi.

Ma Nachlass può diventare anche un interessante esperimento antropologico, per le imprevedibili reazioni degli spettatori: nelle stanze c’è chi resta indifferente e chiacchiera e chi invece sente l’urgenza di aprire la porta scorrevole e precipitarsi fuori. Eppure questo non dice nulla sulla riuscita del percorso, perché le risposte di ciascuno dipendono esclusivamente dalla disponibilità a lasciarsi coinvolgere, commuovere, spaventare, offuscare dalla promessa di un finale di partita che un giorno non si potrà rinviare.

Nachlass, di Rimini Protokoll, al Piccolo Teatro fino al 20 gennaio 

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