Tu chiamale, se vuoi, reunion

In Musica

Guns ‘n Roses, ma anche i Pooh, i Bluvertigo, gli Scisma. Anche nel 2016 le reunion non mancheranno, ma perché hanno tanto successo? Effetto nostalgia, recupero di una giovinezza perduta?

Quello del 2016 si annuncia come un ennesimo anno del “a volte ritornano”.

Ultima, in ordine di tempo, la reunion dei Guns ‘N Roses, pronti per ricalcare i palchi (almeno quelli del Coachella di Indio in California, che si terrà a fine aprile). Ma non sono solo Axl Rose e Slash a essersi fatti prendere dalla sindrome della nostalgia canaglia: nell’anno appena iniziato sono previste le esibizioni delle Spice Girls (senza Victoria Beckham) per il ventennale di Spice, dei Bluvertigo, con il nuovo album Tuono – Tono, tempo, suono e la partecipazione al Festival di San Remo. È poi altissima la febbre per il tour-addio dei Pooh, con la line-up storica (Riccardo Fogli e Stefano D’Orazio inclusi), e il ritorno degli Europe con The Final Countdown.

Intendiamoci: a nessuno dispiace l’idea che, dopo anni di silenzio o di separazione, la storica line up di una band torni sulle scene e sia ancora capace di riempire gli stadi. Anche perché questi concerti non sono semplici raduni di nostalgici: spesso buona parte del pubblico è composta da spettatori che non erano nemmeno nati all’epoca della pubblicazione di un album del gruppo. E non vogliono perdere l’occasione di sentire live i pezzi che ascoltano in streaming o sullo smartphone.

Che sia per un’occasione speciale (pensate all’ultima volta dei Pink Floyd, tutti insieme, al Live Eight del 2005), per la celebrazione di un anniversario importante (come, per esempio, i 25 anni di Epica Etica Etnica Pathos dei CCCP), oppure semplicemente per la voglia di far vedere alle nuove leve che la classe non è acqua, da tempo band simbolo della storia della musica risorgono dalle proprie ceneri.

Ma per quanto possa essere stupendo il pensiero di poter cantare – ancora una volta – Wannabe o Welcome to the Jungle, le reunion hanno ancora senso? E fanno bene a chi? Ai fan, ai gruppi? A entrambi?

Quanto ai primi nessuno, credo, rinuncerebbe alla possibilità di riascoltare, anche 50 anni dopo, quella canzone che fotografava uno spaccato della propria vita. Ma i capelli si sono ingrigiti, magari è cresciuta la pancia, appare qualche ruga, l’estensione vocale non è più quella di una volta. C’è solo voglia di rivivere un momento? O magari constatare che il tempo passa… anche sul palco?

E i gruppi? Gruppi spesso sciolti per “insanabili fratture”, “divergenze d’opinione”, o perché qualcuno ha deciso di cambiare. Gruppi che ora si riformano, certamente, perché ancora pervasi dal sacro fuoco della musica. Che, sicuramente, hanno ancora voglia di divertirsi, perché è bello rimettersi in gioco e ritrovare quell’alchimia speciale sul palco e in studio. Ma che, probabilmente, nonostante prove soliste, side-project, comparsate in album di altri gruppi, hanno ancora da pagare il mutuo della villona o l’ennesimo ingresso in rehab. Nell’epoca dello streaming musicale, vendite dischi e merchandising non bastano a guadagnare il paradiso. Ma un tour ancora sì.

Prospettiva tutt’altro che sentimentale, ma quando davanti agli occhi brillano cifre a sei zeri, è difficile storcere il naso. Pensiamo solo a due grandi ritorni negli anni scorsi: il Police Reunion Tour, tra 2007 e 2008, ha fruttato a Sting e soci la bellezza di quasi 250 milioni di euro.

I Genesis, nella formazione Rutherford, Banks e Collins, con il Turn it On Again Tour del 2007 si sono portati a casa 100 milioni di euro di incassi. Anche se Phil Collins, sul tema, aveva dichiarato: «Non suoniamo per soldi. Siamo ricchi abbastanza da non doverci preoccupare per tutta la vita e anche per quella dopo».

Nonostante questo cinico affresco del music business, la coerenza e il cuore esistono ancora: Robert Plant, anche davanti ai 500 milioni di sterline offerti dal patron di Virgin Richard Branson, ha detto no al ritorno dei Led Zeppelin (se si esclude il concerto benefico del 2007 per Ahmet Ertegϋn, fondatore della Atlantic Records). Perché senza John Bonham, i Led Zeppelin, semplicemente non esistono più.
E senza Freddie Mercury, non esistono più nemmeno i Queen. Non la devono pensare così Brian May e Roger Taylor, che portano ancora avanti il marchio di fabbrica accompagnati da nuove voci.

Ma dov’è finito il carisma della band? E, soprattutto, dov’è finita l’anima? L’anima forse ce l’ha ancora il bassista John Deacon: dopo il Freddie Mercury Tribute Concert del 1992, l’esecuzione di The Show Must Go On con Elton John alla voce per l’apertura del Ballet Bejart nel 1997 e la partecipazione al brano No-One but You, incluso in Queen Rocks sempre del ‘97, ha deciso di abbandonare il progetto.

L’ultimo romantico del rock? Chissà. Di certo sarebbe ipocrita non ammettere che è bello essere ancora pagati per il proprio giocattolo. Ma è anche onesto riconoscere quando il giocattolo non funziona più.

 

LE REUNION del 2016 nel mondo
In Italia: Pooh (Stadio San Siro, 10 e 11 giugno. ), Bluvertigo e  Scisma (date e luogo non indicati)

In europa: Spice Girls, All Saints (teaser apparso sul profilo Twitter con l’hashtag #2016), LCD Soundsystem (Coachella)

Extraeuropee: Guns’N Roses (Coachella), Chicago (Rock Hall of Fame)

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