Marcello Marchesi. L’uomo che sognava le parole

In Letteratura

Il genio eclettico di Marcello Marchesi  raccontato da Michele Sancisi, uno dei curatori di Agenda Marchesi, ultima fatica della collana “Panta” Bompiani.

 

“Agenda Marchesi” è il titolo che ho proposto a Bompiani per un ricco volumone appena uscito nella serie Panta, creata e diretta da Elisabetta Sgarbi – l’ultimo da lei firmato prima di salpare su La nave di Teseo – e che ho curato insieme a Mariarosa Bastianelli. Il motivo è che l’agenda o agendina, block notes, taccuino o quaderno è stato l’oggetto più utilizzato dal vulcanico protagonista Marcello Marchesi (1912-1978) nel corso della sua non lunga ma molto operosa vita. Non ne era mai sprovvisto. Tutti quelli che l’hanno conosciuto (io non ho avuto l’onore) raccontano che circolava con tasche gonfie di carta sulla quale annotava senza posa appunti, idee, battute, incontri, progetti, frasi: parole. La vera ossessione di Marchesi. Un corpo a corpo quotidiano con le parole il suo, ma anche una simbiosi con la scrittura, che era il prolungamento naturale, automatico, del suo ribollente pensiero. Le agendine di Marchesi erano il file sempre aperto della sua produzione creativa, blog ante litteram della sua premiata ditta individuale, o semplicemente la risposta all’ansia di perdere il filo di una mente velocissima in un corpo inevitabilmente più lento. Ciò che da lì eruttava all’improvviso lui lo raccoglieva, per non sprecarlo, nella dispensa delle sue tasche: pappa buona o forse spezia interessante da usare per la preparazione dei suoi piatti prelibati. Viene da pensare alla canzone di Vasco Rossi: “Le canzoni son come i fiori, son come i sogni. Non resta che scriverle in fretta, perché poi svaniscono e non ritornano più.”

Conviene ricordare in breve, soprattutto ai lettori più giovani, chi era Marcello Marchesi. Aveva iniziato a scrivere, ancora studente, nei primi anni ’30, per la rivista satirica “Bertoldo” di Angelo Rizzoli passando poi al “Marc’Aurelio” e alla radio Eiar. Il suo ingegno umoristico fu presto ricercato dai grandi comici della rivista e successivamente del cinema, da Totò a Macario a Scotti e soprattutto Walter Chiari con il quale divenne simbiotico. Marchesi fu poi assorbito dalla nascente televisione negli anni ’50 come autore e più tardi personaggio del memorabile “Signore di mezza età”, prima di sfondare nella pubblicità con quattromila caroselli e celebri slogan; “Basta la parola!” su tutti. Tra molte decine di film, programmi radio e tv, articoli di giornale e copioni teatrali, Marchesi riuscì anche a dare alle stampe una ventina di libri, tra cui raccolte di poesie, fumetti e romanzi. Oggi è citato soprattutto per i suoi spassosi aforismi (se ne trovano a centinaia sul web) ma tra gli anni ’30 e ’70 Marchesi lasciò un segno forte nella cultura pop del dopoguerra italiano, cimentandosi in almeno sette diversi ambiti professionali: giornalismo, radio, teatro di rivista, cinema, televisione, libri, pubblicità, raccontati in altrettante sezioni del Panta anche da un coloratissimo corredo fotografico. All’inizio del nostro lavoro non è stato facile inquadrare un personaggio così eclettico. Una chiave era partire dalle sue agende, appunto, il diaframma tra l’uomo e il suo lavoro.

L’agenda per Marchesi era infatti anche lo scadenziario indispensabile per la consegna delle mille commesse che si accavallavano e si inseguivano, nella vita di uno stakanovista assoluto. La sua non era smania di arricchimento (Marchesi era comunque uno di quelli che sapevano farsi pagare, come ci racconta nel libro Enrico Vaime), né la schiavitù dettata dal bisogno, ma era semplicemente la conseguenza di un’incontrollabile patologia. Marcello Marchesi era “un malato di parole” come lui stesso si definisce nel suo fondamentale Il malloppo: le sognava come in preda al delirio, le addomesticava come animali selvatici, le frullava vorticosamente, come nel suo intricato romanzo appunto, che ha per sottotitolo “Le parole si vendicano”. Visualizzava le parole anche negli sketch che inventava per il suo pupillo Walter Chiari, non a caso considerato un logorroico. In una divertente storiella, che Marchesi scrisse per La via del successo, la spalla di Chiari, Carlo Campanini, racconta che in preda a terribili dolori di pancia va dal dottore, il quale scopre, grazie a una radiografia che dentro è tutto pieno di parole accartocciate e schiacciate. La colpa naturalmente è del Walter che non lo lascia mai parlare!

Le parole sono medium e messaggio in Marchesi, strumento e soggetto stesso di creazione. Marchesi ci lavora e ci gioca con una consapevolezza inedita nel proprio mestiere di “battutista” e “sloganaro” come amava sminuirsi. Marchesi in realtà incarnò per la prima volta nel mondo dello spettacolo e della cultura di massa il concetto di “autore”, che oggi appare scontato, ma non lo era affatto quando lui cominciò a lavorare. Scrisse dunque tantissimo, “come un pazzo” racconta ancora il suo amico regista Vito Molinari, perché aveva la frenesia dei milanesi e il gusto per la battuta che si assorbe a Roma, ma soprattutto perché intuiva chiaramente la propria identità autoriale e insieme andava costruendola. Le mitiche agendine di Marchesi, in parte ritrovate recentemente dal figlio insieme a moltissimi altri documenti, contengono anche tanto materiale inedito al quale il Nostro stava lavorando e non ha avuto il tempo di finire. Noi curatori abbiamo potuto esaminarlo solo sommariamente, mentre ci sarebbe materia di studio ancora per anni.

Con ciò torniamo alla genesi di questo libro che, com’è nella natura del Panta Bompiani, vuole essere un punto di partenza e non un’imbalsamazione. E’ l’occasione anche per spiegare cosa significa “curare” un libro antologico come questo. Quando nel 2011 pubblicai il libro Walter Chiari, un animale da palcoscenico (a tutt’oggi unica biografia di questo grande attore legato a doppio filo a Marchesi) conobbi Massimo che voleva biografare anche suo padre. Mi fece incontrare Mariarosa Bastianelli che parecchi anni prima aveva prodotto una tesi di laurea sul teatro di rivista di Marchesi. Ci mise a disposizione il suo archivio privato: una montagna di carta, ma anche alcune misteriose pellicole in cui Marchesi – maniaco pure della tecnologia – aveva ripreso con una delle prime cineprese 8 mm, il backstage di teatri e set degli anni ’40 e ’50. Un materiale rarissimo (recentemente restaurato dalla Cineteca di Bologna) perché nessuno all’epoca filmava cose di questo genere, con attori come Totò, Chiari e Dapporto dietro le quinte, durante le prove o in momenti di relax.

Una volta delineato un percorso di lettura, e steso un indice generale per il Panta (la parte “nobile” del lavoro), per i successivi tre anni noi curatori abbiamo dato la caccia a tutti coloro che potessero raccontare qualcosa di interessante, divertente e nuovo su MM (questo era il lavoro “sporco”, a budget zero). Abbiamo avuto poi l’idea di adattare in forma di articoli alcune interviste che la collega Bastianelli aveva raccolto per la sua tesi di laurea negli anni ’90. Possiamo così leggere in “Agenda Marchesi” vivide testimonianze di personaggi ormai scomparsi da tempo che avevano conosciuto bene Marcello, accanto ad altri testi scritti per l’occasione da autori che hanno di lui un ricordo più sfuocato e magari più “intellettuale”. I due piani temporali si completano a meraviglia. Del primo gruppo fanno parte, tra gli altri, gli articoli di Mity Mattoli, moglie di Mario Mattoli, grande artigiano della regia, che ci accompagna dietro le quinte di un mondo mai rievocato con tanta immediatezza di sguardo; Italo Terzoli che racconta leggendari episodi come quello della “sceneggiatura in bianco”; Gustavo Palazio che narra alcuni dettagli del rapporto misterioso tra Marchesi e Fellini (grande stima reciproca, frequentazione, ma nessuna collaborazione).

Tra gli articoli nuovi, quello dell’ultimo testimone della stagione del “Marc’Aurelio” e della satira del periodo fascista, Ettore Scola. Mentre Tatti Sanguineti scava nei retroscena del rapporto tra Marchesi e Chiari e nel periodo guerra e dopoguerra su cui ancora resistono  imbarazzi e coni d’ombra.

Alcune delle storie più godibili del volume escono dagli “album di famiglia” di congiunti, figli e parenti dei grandi protagonisti del circo Marchesi & C. Oltre all’erede Massimo, che ha avviato il motore, Delfina Metz, definita “la figlia di Marchesi e Metz”, fa il paio con Marco Giovannini, pure lui apostrofato “il figlio di Garinei e Giovannini”, entrambi testimoni di un mondo e di un lavoro artistico che si confondeva a volte con le loro fantasie infantili. Anche Enrico Vanzina “vale doppio”, avendo lui e il fratellino Carlo saltellato allegramente sulle ginocchia di papà Steno e di “zio Marcello”, oltre che di una schiera di amici di una famiglia da favola. Accanto alle sue insostituibili memorie, Vanzina ci regala anche una perla di cui siamo molto fieri: cinque-pagine-cinque del leggendario, totalmente inedito, sorprendente Diario futile che Steno e Marchesi hanno compilato insieme per anni. Un grosso zibaldone quotidiano con annotazioni, disegni, ritagli, spunti, soggetti e tutto quel cazzeggio d’autore che è alla base dell’arte. Per inciso: avendo avuto tra le mani il prezioso incunabolo faccio appello all’editoria italiana tutta perché esso venga prontamente riprodotto in patinata per la gioia dei lettori d’ogni età.

Da un versante più professionale vengono molti ricordini e affettuose effusioni per il nostro protagonista con le firme vip di Renzo Arbore (che annota un divertente episodio “domestico” di MM), Maurizio Seymandi, Marisa Del Frate, Raffaele Pisu (altra memoria “antica” del tempo di Marchesi), Pippo Baudo ed Enrico Bertolino autoproclamatisi allievi, come Massimo Emanuelli,

Michele Guardì, Maurizio Costanzo, e poi gli “scoperti” o tenuti a battesimo da MM, come Paolo Villaggio, Cochi Ponzoni (che ci riporta al Cab 64 di Tinin e Velia Mantegazza) e i “mitici” Gufi, fratelli di umorismo a oltranza, anche oltre i confini del macabro: Svampa, Brivio e Patruno. Più intimo e a tratti toccante il ricordo di Enrico Vaime, praticamente un figlio adottivo di Marchesi. Molto ricca la sezione cinema, con saggi importanti e inediti come quello di Raffaele De Berti su Marchesi e Scotti, e di Antonio Costa con un sapiente divertissement alla Marchesi, e Steve Della Casa, esperto di Mario Mattoli, il regista per il quale Marchesi lavorò di più in assoluto, tra cinema e rivista Za-Bum, creando con lui la comicità nel cinema italiano del dopoguerra.

Da citare ancora i bei saggi di Gianni Turchetta e Filippo La Porta su letture più politiche del lavoro di Marchesi e la lettera che la scrittrice Vanna De Angelis ha spedito al suo intimo amico di un tempo.

Nella sezione pubblicità (leggi Carosello) con i protagonisti dell’advertising Guido Cornara e Giovanni Nahmias, ragionano sulla figura di Marchesi copywriter d’avanguardia. Infine Umberto Eco, anche lui all’ultima firma per Bompiani, ricorda i tempi in cui, direttore editoriale della stessa casa editrice che ora ha clamorosamente lasciato, pose il “visto si stampi” sulle bozze del capolavoro marchesiano Il malloppo.

Confrontarsi con Marchesi e approfondire lo studio della sua opera e della sua biografia è stato un viaggio faticoso ma affascinante che ci ha raccontato molto dell’Italia che lui ha plasmato e nella quale noi siamo nati (io sono del ’63, l’anno del “Signore di mezza età”). Dopo quattro anni di immersione nelle sue cose e nei racconti su di lui, ci sembra quasi una presenza familiare, paciosa e simpatica perché,  a differenza di molti comici che lui serviva,  Marchesi l’umorismo lo viveva come dimensione quotidiana. Ma forse la cosa che personalmente mi resta di più è un esempio professionale molto ispirativo, non solo per il rigore e la dedizione, ma soprattutto perché Marchesi ha costruito, probabilmente a sua insaputa, un pezzo della identità che oggi sento mia, di scribacchino di cose attorno alla Cultura e al cospetto dell’Arte. Evviva Marchesi!