Lo scheletro della morte: Nick Cave and the Bad Seeds

In Musica

Un CD da brivido, che riesce a tracciare un confine ineffabile tra vita e morte. Con “Skeleton Tree” il grande musicista australiano, accompagnato dalla sua band, riesce a raccontare l’irraccontabile, come la morte dolorosissima e insensata di un figlio

Uno dei segni distintivi di un’opera musicale compiuta è che riesce a far sembrare semplice l’armonia più complessa, a rendere indimenticabile un’impressione, a tracciare il confine ineffabile tra vita e morte. In bilico tra la vita e la morte è da sempre l’opera di Nick Cave, mai però complessa e intensa come in Skeleton Tree, il suo sedicesimo album con i Bad Seeds.

L’epicentro della distruzione cui le otto tracce del disco fanno da testimoni è la morte, insensata e devastante, del figlio quindicenne di Cave, Arthur. La difficoltà del trattare e verbalizzare questo lutto è riflessa in ogni aspetto del disco: la breve intensità, la complessità delle influenze e delle emozioni gestite, la densità degli arrangiamenti. Il disco è tanto oscuro quanto complesso, ma in modo elegantissimo, riuscendo a sembrare formalmente e stilisticamente ristretto all’osso, dando l’apparenza di grande semplicità. Come solo un capolavoro può fare.

Sebbene sia riduttivo leggere l’album solo attraverso la lente della morte del figlio –  molte delle tracce sono state scritte in precedenza al lutto, e solo parzialmente riscritte in seguito – le sfumature più oscure del disco sono visibili e spiegabili forse solo in questa luce. I frequenti riferimenti religiosi segnano un elemento di continuità con i lavori precedenti di Cave, che ha sempre attinto da quel vocabolario, ma allo stesso tempo un’evoluzione: qui le troviamo usate come uno strumento di espressione personale, come confessione attraverso una ferita aperta.

Jesus Alone, in un quieto riverbero elettrico punteggiato da pochi tasti di pianoforte, inizia una conversazione, o meglio, un monologo straziante con l’assenza – il refrain insiste: “With my voice, I am calling you”, confrontandosi inevitabilmente con assoluto silenzio dall’altra parte. Ring of Saturn sembra uno spoken word poem, che con astrattismo sembra descrivere una sfuggente divinità che “rimane completamente inspiegata”, e inspiegabile. Girl in Amber toglie il fiato per la sua urgenza, come una ballata sul punto di morte che riprende i ricordi del figlio e si spinge a cercare la fine alla sofferenza: “if you want to bleed, just bleed”.

La calma inquieta del disco continua su Magneto, punteggiata come dal suono del cadere di gocce d’acqua costante, straziante, che riflette sulle cose che succedono senza di te, a dispetto di te.

La calma comincia a bollire, ad agitarsi, quando si fa sentire un’influenza elettronica, non lontana dagli ultimi Radiohead, in Anthrocene – brano sempre teso verso la visione della morte, della rottura, ma questa volta su scala più grande, universale: “All the things we love, we love, we lose”. Ancora più tesa è I Need You, meravigliosa elegia e momento più emotivo del canto di Nick Cave, che sembra a tratti sopraffatto dall’emozione: “Nothing really matters”, niente ha senso, mentre il sintetizzatore e la batteria creano un vuoto gravitazionale.

Distant Sky riporta ancora il motivo religioso-spirituale del disco, assumendo le sembianze di un inno ecclesiastico, con tanto di organo e voce gospel femminile di Else Torp, ma capovolgendone completamente il significato: Cave annulla qualunque speranza di salvezza divina annunciando “They told us that our gods would outlive us / but they lied”. Il brano ricerca comunque un’armonia divina, totale e trascendentale, che si trascina lenta fino al finale, Skeleton Tree, il pezzo che dà il nome all’album. Quasi a volersene auto-convincere, il pezzo si ripete in loop che “va tutto bene, adesso”, anche se continua a confrontarsi con l’incomunicabilità del dolore: “I called out / Right across the sea/ but the echo comes back empty”.

Seppur non riesca forse a comunicare direttamente con Dio, Skeleton Tree compie comunque un miracolo. Attraverso questo disco “spesso”, nel senso fisico del termine, pieno di strati di lavorazione e denso di dolore, Nick Cave riesce a raccontare l’irraccontabile, e a renderlo meraviglioso nella sua devastante complessità.

Nick Cave and the Bad Seeds, Skeleton Tree (Bad Seed Ltd.)

Immagine di copertina di NRK P3

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