Alla larga da quel motel

In Cinema

motel

Regista esordiente, script traballante, incaute citazioni hitchcockiane. Un thriller con vista palude che, oltretutto, spreca Bob De Niro e John Cusack

Certe notti esci da un cinema e rimani spiazzato, certe altre invece rimani spiazzato appena entri. Perché l’effetto sorpresa scatta subito, e quando i pesanti maniglioni antipanico si sono chiusi alle tue spalle, è troppo tardi, non puoi più scappare. Questo è il caso di Motel, thriller del francamente sconosciuto David Grovic, alla sua prima regia.

Ma partiamo dall’inizio. Su un aereo privato due misteriosi personaggi stanno cenando. Uno spiega all’altro la missione che dovrà portare a termine, e onde evitare di essere frainteso si spiega con il pezzo di carne che ha nel piatto. Taglia un boccone di controfiletto: rappresenta una borsa, da non aprire mai, e che una persona di assoluta fiducia deve prelevare trasportare e proteggere a tutti i costi. Se il compito verrà eseguito il boss, una patata al forno di contorno, riavrà il suo bocconcino di manzo, e l’agente prediletto riceverà cinque milioni di dollari, rappresentati da un verdissimo broccoletto.

Fin qui più o meno tutto bene, forse un po’ didascalico ma efficace. Ma dopo questa brevissima scena introduttiva ti viene da chiederti se sei davvero al cinema o davanti a una fiction mattutina di Raidue. Inizia infatti una lunghissima serie di cliché “noir” che il regista immagina di poter chiamare film.

Il prescelto per la missione, John Cusack, incontra Rivka (Rebecca Da Costa, bellezza tenebrosa brasiliana di cui è difficile rintracciare altre imprese cinematografiche), che lo distrae dall’obiettivo. La donna è inseguita da due loschi figuri, un gigante nero con una benda sull’occhio e un nanetto pelato vestito come Eminem. Sembrano usciti da un delirante remake di Freaks di Tod Browning. Il nostro eroe si barrica dentro un angusto motel immerso nella nebbia, e controlla i movimenti degli scagnozzi sbirciando dalle veneziane. C’è anche un tocco di classe: per raggiungere il motel lui s’è ferito a una mano e ora beve rum a go-go per non sentire dolore. Ma lei si rivela chirurgo ortopedico e lo medica con amore. Così lui scopre che “oltre le gambe c’è di più”.

Dopo un’estenuante attesa arriva il boss a riprendere la misteriosa borsa. Sparatoria finale, proiettili che trafiggono centinaia di volte i tre personaggi fino a che l’unico che ci lascia le penne è proprio, il cattivo, davvero fuori fase, Robert De Niro. Il killer dal cuore dolce e la femme fatale, feriti nel corpo ma liberati interiormente, scappano insieme con il bottino. Ma poi….

Il film allinea una serie di luoghi comuni uno più scontato dell’altro, e allo sbigottimento si aggiunge molto presto la noia. E  quando l’incapacità degli sceneggiatori arriva a citare spudoratamente Hitchcock, cercando di ricreare la suspense del Motel di Psycho, allora si tratta di sfregio artistico e non resta che appellarsi al “codice penale cinematografico”.

Motel di David Grovic, con Robert De Niro, John Cusack

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