Miseria e nobiltà, scalata alla comicità

In Teatro

Nuova edizione di Sinisi della classica farsa resa celebre dal film di Mattoli con Totò, in partecipazione straordinaria

Niente è più comico dell’incomprensione, come dimostrano le risatine/risatone – sulle prime sparse ma esplosive – che il pubblico milanese si lascia scappare nel corso delle vorticose tirate dei personaggi del super-classico Miseria e Nobiltà, scritto nel 1887 da Eduardo Scarpetta e portato in scena da Michele Sinisi al Teatro Sala Fontana (dove lo spettacolo resterà fino al 20 dicembre per riprendere dal 26 fino al 3 gennaio).

Le inestricabili perorazioni di Felice Sciosciammocca e della sua brigata – formulate in un misto di dialetti che comprendono pugliese ed emiliano – si accavallano a velocità supersonica, e sottopongono lo spettatore a una specie di waterboarding verbale: gli danno la sensazione di annegare in un vortice di suoni dinamici e inafferrabili. Lo spettatore “profano” non può far altro che emettere qualche risata compulsiva e quasi animalesca, sintomatica del suo timore di lasciarsi sopraffare dal flusso apparentemente disordinato di sillabe. Solo la mitologica gestualità partenopea si offre come salvagente, ma non basta…

Quando il filo sembra ormai perduto, arriva – con puntualità studiatissima – una parola finalmente riconoscibile dall’unanimità del pubblico, e basta quel pugno di innocenti sillabe a suscitare l’ilarità collettiva, in cui si ricongiungono tutti quei ghigni stonati e quasi isterici che prima si erano librati a sprazzi dai punti più disparati della platea. Giusto un attimo di respiro, e poi il waterboarding ricomincia in tutta la sua scientifica brutalità.

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Il regista Michele Sinisi sa avvantaggiarsi delle astuzie sopraffine del testo di Eduardo Scarpetta e il suo spettacolo è indubbiamente una festa per le orecchie, con gli attori che si alternano o si sovrappongono in una rocambolesca arrampicata che li obbliga a mettere in gioco tutta la loro estensione vocale. Se il lato sonoro si lascia gustare dall’inizio alla fine, l’aspetto visivo non è altrettanto accattivante.

Okay, la miseria dev’essere misera, e tale risulta sul palco del Teatro Sala Fontana (i devastanti leggings della moglie di Pasquale ‘o Salassatore rendono perfettamente l’idea). Ma la nobiltà – anche se simulata dalla scalcagnata combriccola di Felice Sciosciammocca & Co – deve dare qualche prova tangibile di sé. Prendersela però con la magrezza del reparto costumi è un segno di imperdonabile superficialità, tanto più che il vero problema è un altro.

Alcune soluzioni sceniche – con cui si vuol fare della povertà un fiore all’occhiello – sono perfettamente accettabili (Sinisi appare sul palco assumendo, quando serve, la personalità del figlio di Felice Sciosciammocca, mentre altrove è uno spettatore/regista che rimbrotta gli attori). In altri casi però quelle soluzioni danno l’idea di essere un vistoso ripiego. È proprio quello che succede nel finale, in cui – data l’impossibilità degli attori di interpretare contemporaneamente più personaggi – si ricorre a una manovra un pochettino sleale, una grimaldellata che velocizza la calata del sipario (che non c’è). Si riutilizza infatti la voce del Felice Sciosciammocca più celebre di sempre, cioè quella del Totò dell’omonimo Miseria e nobiltà, diretto da Mario Mattoli nel 1954.

L’intento è quello di attivare la memoria del pubblico che, per mezzo della voce di Totò, dovrebbe chiudere gli occhi e ripassare mentalmente le coloratissime immagini del film di Mattoli. Ma se lo spettatore – per disgrazia – non avesse voglia di chiudere gli occhi o di ricordarsi il film, si troverebbe davanti uno spettacolo con un finale un po’ smozzicato.

Ma queste sono sottigliezze: Miseria e nobiltà è una goduria uditiva e le pecche visive sono emendate dal dinamismo degli attori, tra cui è doveroso menzionare Ciro Masella, che fa sì che il personaggio di Pasquale o’ Salassatore sia protagonista al pari del celebratissimo Sciosciammocca.

 

(Per le foto: © N.C.)

 

Miseria e nobiltà, di e con Michele Sinisi, con Gianni d’Addario e Ciro Masella, fino al 20 dicembre e poi dal 26 dicembre al 3 gennaio al Teatro Sala Fontana

 

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