Ecco “Metro Manila”, il viaggio all’inferno di Oscar il mite, premiato al Sundance

In Cinema

Regista britannico (l’ex fotografo Sean Ellis) e attori, molto bravi, tutti filippini, per un melodramma sociale rinforzato da una robusta, ben congegnata struttura poliziesca, con più di un’efficace svolta del racconto. In fuga dalla verde, bellissima campagna, una famiglia cerca nella brutale megalopoli la via della sopravvivenza. Ma la legge del più forte e del più spietato riesce a contagiare anche i migliori sentimenti. Ottimo l’equilibrio tra la forza delle immagini e la qualità del testo e degli interpreti

Grazie agli dei del cinema per il Sundance Film Festival. Fin dalla sua prima edizione, nel 1978, il festival ideato nello Utah e subito promosso da Robert Redford e soci ha sempre fatto da fiero contraltare alla pioggia sul bagnato dei premi Oscar, preferendo alla sponsorizzazione di kolossal di sicuro successo la ricerca di perle cinematografiche indipendenti ma capaci di incantare il pubblico americano (e alla lunga non solo) con stile e convinzione. È il caso, per esempio, del buon Metro Manila, che difficilmente lascerà il segno a lungo nelle sale italiane d’inizio estate, tra chiusure per ferie e cinemostri in arrivo, ma che meriterebbe comunque qualche onesta chance tra cineclub, arene estive e circuiti “off”.

In effetti la pellicola dell’ex fotografo britannico Sean Ellis (già nominato all’Oscar nel 2006 per il corto Cashback) si presenta agli spettatori con un curriculum di tutto rispetto, dal premio del pubblico al Sundance 2013 a tre riconoscimenti ai British Independent Film Awards (miglior film, regia e produzione), ma le prospettive al botteghino restano quelle di un film-kamikaze: ambientato nel caos di una delle megalopoli simbolo del sudest asiatico, è girato interamente in filippino, interpretato esclusivamente da attori locali (gli ottimi Jake Macapagal, Althea VegaJohn Arcilla) e ha in apparenza un taglio freddo e intriso di realismo, con un ritmo costante ma lento e cadenzato.

 

Soltanto in apparenza, però. Perché se è vero che Ellis prende una lunga rincorsa per raccontare la sua storia, è altrettanto vero che una volta partito non si ferma più. Avvenimenti che sembrano poco importanti si susseguono e accumulano senza sosta, componendo il ritratto di una metropoli più simile a un girone dantesco che a una terra promessa: dalla splendida campagna delle prime inquadrature ai coloratissimi, tumultuosi e insieme claustrofobici slums di Manila, è infatti soprattutto la potenza delle immagini a tenere lo sguardo dello spettatore incollato allo schermo, senza un attimo di sosta. Il che non vuol dire che non succeda nulla, o che la fotografia la faccia da padrona a scapito di vicenda e personaggi. Al contrario: sospeso tra il poliziesco e il dramma neorealista, Metro Manila riesce a dipingere con cura e affetto i propri protagonisti in ogni fotogramma, senza mai sconfinare nella banalità o nel virtuosismo fine a se stesso.

Anche la gestione della trama non è affatto banale, dividendo la pellicola in due metà ben distinte, separate da un cambio netto di rotta, destinato a sorprendere lo spettatore ormai convinto di aver già capito direzione e punto d’arrivo. Comincia come la semplice storia di Oscar Ramirez, giovane contadino costretto dalla miseria a lasciare le risaie del Nord delle Filippine per trasferirsi con moglie e figli nella immensa capitale, simbolo di speranza o più precisamente unica chance di sopravvivenza. Ma la sua odissea si tramuterà in un viaggio all’inferno senza ritorno: la famiglia si accorgerà ben presto di non avere lo stomaco per reggere la legge del più forte che governa una delle giungle urbane più violente al mondo, e Oscar capirà che situazioni disperate richiedono gesti ancora più disperati.

In definitiva, con Metro Manila Sean Ellis si rivela ottimo direttore d’orchestra, capace di combinare trama, recitazione e fotografia in un insieme armonico, delicato, originale e senza sbavature. Al di là della bravura dei suoi interpreti, è soprattutto il suo tocco a dare qualità al film: quello di un regista capace di spaziare con disinvoltura dalla durezza del Denis Villeneuve di Sicario alla poesia del Terrence Malick di Tree of Life, e già più che pronto per opere e palcoscenici di maggiori dimensioni, e forse considerazione.

Metro Manila di Sean Ellis, con Jake Macapagal, Althea Vega e John Arcilla

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