Manuale per scrittori di successo/3

In Letteratura, Weekend

Vi bacchetteranno, vi diranno di mettere la testa a posto, di tornare con i piedi per terra. Ci sarà sempre, com’è accaduto a Stephen King, una signorina Hisler che ‘proverà a rovinarvi la festa’ perché avete osato scrivere. Terzo consiglio: siate coraggiosi, è un mestiere pericoloso

Nel 1961 Stephen King ha quattordici anni e vive con la madre Nellie e il fratello maggiore Dave a Durham, paesino nel Maine che non arriva a mille abitanti. Adora i film dell’orrore. Passa al cinema interi sabati pomeriggio, tra cadaveri, sangue e squartamenti, e senza neanche il conforto dei popcorn, perché non se li può permettere.

Un pomeriggio vede Il pozzo e il pendolo: titolo e situazione da Edgar Allan Poe, regia di Roger Corman, sceneggiatura di Richard Matheson (quello di Io sono leggenda). Per gli appassionati, un capolavoro; per il giovane King, la folgorazione.

 

Tornato a casa, ignaro delle sottigliezze del copyright, decide di trarne un racconto. E’ già bravino, con le parole. Insieme al fratello Dave, che fa il liceo, il piccolo Stevie scrive, stampa e vende un bollettino in paese: notiziole, aneddoti, freddure, enigmistica e sport, tirato in qualche decina di esemplari grazie a un trabiccolo sistemato nello scantinato di casa King. Si chiamava Dave’s Rag – ll giornaletto di Dave – e naturalmente è un’idea di Dave.

Il pozzo e il pendolo, invece, è una cosa tutta sua. Dio quanto gli è piaciuto quel film! Si mette di buzzo buono e in un paio di giorni riscrive Poe-Corman-Matheson in otto pagine a interlinea singola. Disegna anche una copertina con un pendolo insanguinato. Col trabiccolo nello scantinato stampa una quarantina di copie, le rilega con la pinzatrice, le infila nello zaino e il giorno dopo va a scuola intenzionato a venderle ai compagni. Venticinque centesimi a fascicolo, niente sconti. Se non hai neanche i soldi per le patatine, impari alla svelta. Conta di piazzarne una decina: al netto delle spese per matrici, inchiostro e carta, si pagherà un sabato al cinema. Se va bene, anche la Coca Cola. E va alla grande: prima che finisca la mattinata, Stevie King ha venduto più di trenta copie e possiede la mirabolante somma di nove dollari in monetine. «Il mio primo bestseller» commenta a p. 37 di On writing.

Finisce male. Convocato in presidenza, ad accoglierlo la sua insegnante, la signorina Hisler. Ha in mano una copia de Il pozzo e il pendolo by Stephen King, la usa come un’arma, al modo in cui si brandisce un giornale arrotolato per punire il cane che ha fatto pipì sul tappeto: «Proprio non capisco, Stevie, come ti sia saltato in testa di tirare fuori una porcheria simile. Sei un ragazzo di talento. Perché vuoi sprecarlo così?».

Ora, immagino che King adolescente scrivesse meglio dei compagni. Temi, riassunti, sintesi, raccontini. Le cose che si fanno a scuola. Altrimenti l’insegnante non avrebbe parlato di talento. Ma perché umiliarlo? Forse nei primi anni Sessanta, nel Maine, funzionava così: veniva scoraggiata l’iniziativa personale (possibile?). E forse la signorina Hisler non conosceva il racconto di Poe (possibile?) e certamente non amava l’horror. Però non mi torna. La signorina Hisler, prototipo imperituro di insegnante coi paraocchi, è una spiegazione che non spiega, secondo me, la reazione esagerata. Restituisci i soldi ai tuoi compagni! Sì, hai capito bene, a tutti! Anche a quelli che non vogliono ridarti il racconto perché gli è piaciuto! Non spiega la durezza, ecco. Che ha fatto di male questo ragazzino? «Da allora ho passato parecchi anni, forse pure troppi, a vergognarmi del mio mestiere. Verso i quaranta mi sono reso conto che qualsiasi autore di prosa o poesia, colpevole di aver pubblicato anche un solo verso o una sola riga, è stato accusato di sprecare il suo dono divino. Se scrivi (o dipingi o balli o scolpisci o canti, probabilmente non esiste molta differenza) ci sarà sempre qualcuno che proverà a rovinarti la festa».

Non c’è scampo, secondo King. Pubblichi un racconto e sei fregato: lo stesso se canti o danzi o reciti su un palco. Colpevole di aver osato. Stevie, ragazzo, hai talento: perché non continui col Dave’s Rag? Tuo fratello è un geniaccio, lo sanno tutti, perché non segui le sue orme? Non ti va? Perché allora non ti impegni nel giornalino della scuola? E’ un passatempo così intelligente, e tutti ti loderanno. Perché non sei più il bravo studente che eri? Perché sei uscito dai binari? E dimmi, non pensi al futuro? Non vuoi diventare un operaio coscienzioso, un impiegato zelante, un insegnante, un medico? Perché mai, vivaddio, ti sei messo in testa di fare lo Scrittore?

Ti attaccheranno, dice King. E’ un mestiere pericoloso. Scrivi quel che ti piace davvero, che ti fa battere il cuore e ti colma di emozione, e ti attaccheranno. Quindi non basta essere uno sgobbone (vedi qui la prima puntata). Non basta neanche essere autorevole (qui la seconda). Se vuoi essere uno scrittore di successo, preparati a combattere.

MORALE Qualche mese dopo, durante le vacanze estive, Stevie King scrive il racconto The invasion of the Star-Creatures, ne stampa una cinquantina di copie e le vende quasi tutte. Nel 1974, a ventisette anni, pubblica il suo primo romanzo, Carrie. La versione economica arriva al milione di copie. La critica lo bastona senza pietà durante tutti gli anni Settanta e Ottanta. Intanto lui pubblica, tra gli altri, Le notti di Salem (3 milioni di copie), Shining (4 milioni), L’ombra dello scorpione, It e Misery. Secondo Wikipedia negli anni Novanta i critici cominciano a cambiare idea. Arriveranno a paragonarlo a Dickens. Le signorine Hisler, alla fine, perdono.

 

Stephen King, On writing. Autobiografia di un mestiere, Frassinelli, 2015

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