Scrivere delle madri. Omicidio o beatificazione?

In Letteratura

Le madri del romanzo contemporaneo hanno volti più sfumati ma segni caratteriali forti. Sono lontane dalla sacralità e dalla beatitudine, e sempre più vicine al dramma.

Scrivere delle madri. Omicidio o beatificazione?

Milano le ha dedicato una mostra dal titolo La grande Madre, una rappresentazione del potere creativo della donna, della maternità e della femminilità nell’iconografia. Noi di Cultweek ci siamo chiesti come vengono rappresentate le madri nella letteratura. In tanti modi e in diversi ruoli che abbiamo provato a individuare. Le madri del romanzo contemporaneo hanno volti più sfumati ma segni caratteriali forti. Sono lontane dalla sacralità e dalla beatitudine, e sempre più vicine al dramma.
Il romanzo ha la necessità di “uccidere la madre”. Lo sostiene Colm Toíbín, autore del saggio New ways to kill your mother. Writers and their families. Lo scrittore fa notare con quale straordinaria frequenza le madri muoiano di parto nel romanzo dell’Ottocento, per lasciare spazio alle “zie”, personaggi molto più gestibili dagli autori.
Ancora Toíbín, nella sua raccolta di nove short stories -Madri e figli-, dissemina racconti di legami terribili. Sarà per questo bisogno di “uccidere la madre” che l’immaginario legato alla maternità, presente in modo assai rilevante nel romanzo contemporaneo, è complesso e pieno di contraddizioni. Tutti gli scrittori sono figli e le scrittrici, spesso, sono anche madri. Scrivere della “madre” significa scavare intorno al legame più costitutivo che ogni individuo possa sperimentare e i risultati dello scavo portano alla luce varie tipologie di madri che gli autori sentono il bisogno di uccidere.

Madri costrette ad abbandonare i figli.

Una donna di Sibilla Aleramo è un grande romanzo autobiografico scritto per il figlio, perché un giorno potesse comprendere le ragioni della madre. Ogni madre ha avuto una madre; Una donna parte dal rapporto dell’autrice con la propria. Giudicata sempre debole e sottomessa, anche dalla scrittrice stessa, la donna tenta il suicidio esasperata dalle tensioni col marito. Ma persino in questo gesto estremo la madre debole non riesce a essere: non muore e rimane in manicomio a vita, vittima di una demenza progressiva e abbandonata da tutta la famiglia. La stessa Aleramo, imprigionata in un matrimonio senza amore e pesantemente limitata nella libertà dal marito, in un momento di sconforto tenta il suicidio. Solo dopo l’esperienza emancipante della scrittura, l’Aleramo rompe il modello della sottomissione, ma la sua rivolta non ha come obbiettivo il marito quanto il modello di madre che aveva subito senza mai approvarlo.
Abbandona casa e bambino perché la propria emancipazione scatena il divieto, da parte del marito, di vedere il figlio.

Madri rifiutanti, travolte dalla propria vita sentimentale. Madri folli.

Che madre fu Anna Karenina? Càpita, nell’interpretazione di questo splendido personaggio, di leggere che l’unico affetto stabile di Anna è il figlio Serëža. In realtà, la condizione di donna e amante in Anna Karenina è così travolgente da impedire alla protagonista, nonostante tormenti e sensi di colpa, di rimanere legata al figlio prima e, infine, alla vita stessa.

Come pietre nel fiume, di Ursula Hegi, fu un grande successo in America, premio Grinzane Cavour nel 2000 in Italia.
La madre della protagonista, Trudie Montag, impazzisce poco dopo il parto, nel momento in cui si rende conto che la bambina è affetta da nanismo. Precipita nella follia e presto ne muore. La vita di Trudie, dunque, rimane segnata per sempre da una doppia ferita: l’abbandono, sostanziato nella morte, e la colpa di aver “ucciso” la madre a causa della propria “imperfezione”. Trudie crescerà forte, affrontando una vita difficile grazie a una figura paterna meravigliosa.
In Follia, Patrick Mc Grath traccia una delle figure materne più estreme della narrativa contemporanea. Madre-donna, travolta dall’amour fou, Stella Mc Gregor non soltanto si allontana da casa e abbandona la famiglia per seguire Edgard, ma quando ritorna si trasforma in “assassina” del figlio. Persa in pensieri deliranti, Stella assiste inerte all’annegamento del suo bambino quando, durante una gita, lo guarda scomparire dentro l’acqua del lago, senza tentare il minimo soccorso.
Interessante notare come queste tre figure di madri-donne che non assolvono il proprio ruolo siano state condannate dai rispettivi autori al suicidio. Non occuparsi dei figli, diventa quindi una colpa che si paga con la morte.

Madri che hanno segreti.

La ricompensa di una madre di Edith Wharton racconta la storia di Kate Clephane, messa al bando dalla buona società newyorchese per aver abbandonato il marito e la figlia piccola. Dopo aver vissuto sulla costa francese insieme a una comunità di espatriati, Kate viene richiamata proprio dalla figlia Anne, in occasione del suo matrimonio con Chris Fenno, arrampicatore sociale e uomo di scarso talento. Ciò che preoccupa Kate, però, non è la bontà del partito che la figlia sta per sposare, quanto il fatto che Chris Fenno è stato in passato un suo amante, per il quale -oltretutto- prova ancora dei sentimenti. Kate si trova di fronte al dilemma morale: confessare il segreto alla figlia, o rinunciare a tutto in nome della maternità?

Madri malvagie.

Indimenticabile la madre di Helga Schneider raccontata nel romanzo Lasciami andare madre.
E’ il 1998. Helga viene chiamata per vedere un’ultima volta la madre ormai molto anziana, ospite in una casa di riposo.
In una stanza d’albergo, Helga cerca di vincere i ricordi e il dolore di stomaco. La madre che sta per incontrare è la stessa che abbandonò lei e il fratello da bambini, per entrare a fare parte delle SS di Himmler e lavorare come guardiana a Sachsenhausen, Ravensbruck, Auscwitz-Birkenau. Dapprima affidata insieme al fratello alle cure di una zia, successivamente alle prese con una matrigna, Helga viene infine reclusa in un istituto per bambini difficili.
Quando nel 1971 Helga cerca la madre per farle conoscere il proprio figlio, tutto ciò che la donna riesce a fare è mostrarle con fierezza la sua divisa da SS, gelosamente conservata in natfalina, e le offre, con generosità raccapricciante i gioielli rubati agli ebrei destinati alle camere a gas. Nell’ultimo incontro, Helga scopre che la madre non si è mai pentita ma continua a sostenere le proprie scelte. Neanche le madri coi neonati al collo ti facevano pietà, quando entravano nelle camere a gas?, domanda Helga.. Per me doveva essere giusto ciò che era giusto per il governo e non avevo il diritto a pensieri, opinioni e sentimenti di ordine personale. Avevo invece il dovere di obbedire senza discutere agli ordini superiori, e se questi ordini prevedevano di soffocare nelle camere a gas milioni di ebrei io ero pronta a collaborare. Però, credimi, non potevo permettermi la minima debolezza nei confronti di mamme o bambini. Quando vedevo i più piccoli entrare nel bunker, l’unica cosa che riuscivo a pensare era: ecco dei marmocchi giudei tolti di mezzo, ecco dei neonati che non diventeranno mai disgustosi ebrei adulti.

Madri che pensano al denaro.

Madre coraggio di Bertolt Brecht può essere considerata l’antesignana dell’attuale “mamma in carriera”. L’indimenticabile popolana, la vivandiera Anna Fierling, si guadagna da vivere commerciando nei territori in cui si combatte. La guerra le porta buoni affari, tanto che, sempre più attaccata ai guadagni, la volontà di affermarsi finisce col prevalere sull’aspetto materno.
Anche quando la guerra l’avrà privata dei suoi figli, Anna non riuscirà a vederne il male. Continuerà, priva del lutto, a cercare nel conflitto il terreno fertile per i propri guadagni.

Madri che diventano anziane. Si ammalano. Ritornano bambine. Muoiono.

La ballata di Iza, di Magda Szabò. Iza è una donna medico, intelligente, pratica, e sempre operativa. Quando suo padre muore, Iza decide di portare la madre anziana a vivere con lei a Pest. Iza pensa a tutto e, preoccupata di risolvere ogni problema pratico, si dimentica dell’affetto e della compassione. Non comprende che la madre soffre per la mancanza della propria casa, delle proprie abitudini e dell’amore.
Iza è una perfetta calcolatrice, non tiene conto dei sentimenti dell’anziana Etelka, come se assolvere ogni dovere di figlia possa essere sufficiente a far stare bene la madre.
In questa spirale di incomprensione, le due donne, madre e figlia, fanno ognuna ciò che l’altra si aspetta. Il disagio di Etelka diventa insopportabile. Iza capirà – forse – la tristezza di sua madre solo di fronte al gesto estremo; la fuga che non prevede ritorno.
Mia madre, la mia bambina di Tahar Ben Jelloun e L’invenzione della madre di Marco Peano affrontano il tema della fragilità e della malattia della madre. Un passaggio che, a prescindere dal momento in cui ogni figlio lo affronta, lascia sempre disorientati. Tutti sono figli di qualcuno, e se l’ordine naturale delle cose non viene tragicamente sovvertito, ognuno si trova a fare i conti prima o poi con questo scambio di ruoli. Sono i figli a prendersi cura delle madri.
Ma, quali meccanismi emotivi comporta questo passaggio di vita?

Madri immensamente forti, che affrontano ogni cosa.

Indimenticabile la signora March, madre delle Piccole donne. Un marito al fronte, le ristrettezze economiche, la crescita di quattro ragazze. La forza di una madre talvolta appare infinita, si pensi alla Ida Ramundo, mamma di Useppe ne La storia di Elsa Morante. Per quel figlio, Ida sopporta il giorno del concepimento violento, sopporta le ansie e i tormenti delle proprie origini, sopporta l’epilessia del bambino, specchio della propria, sopporta la cattiveria dell’intera Storia che si accanisce sul suo destino.
Solo il sovvertimento dell’ordine naturale delle cose Ida non potrà sopportare. Impazzisce e muore quando perde Useppe, perché forse le uniche madri che davvero si stenta a concepire sono quelle che sopravvivono ai propri figli.

Madri militanti.

La categoria è ancora piuttosto scarna di opere dedicate a questa nuova figura di madre onnivora e onnipresente che abita spesso nelle grandi metropoli. Sono madri professioniste, democratiche e istruite che brillano di comicità nella commedia di Jasmine Reza Il dio del massacro portato prima in teatro e poi sul grande schermo da Roman Polanski con il titolo “Carnage”. In novanta pagine la Reza le fa parlare e straparlare per risolvere civilmente una lite scoppiata tra i rispettivi figli ma quasi subito le maschere di madri borghesi e illuminate cedono spinte da una rabbia isterica covata in anni di militanza materna. Non serve descriverle, basta ascoltarle, e l’effetto, per chi non conosce questo piccolo capolavoro, è esilarante.

VERONIQUE “E lei, non urla anche lei?! Quando dice che il suo stronzetto ha fatto bene a riempire di botte il nostro?”
ANNETTE “Sì che ha fatto bene! Almeno non è un frocetto buono solo a prenderle.
VERONIQUE “E’ uno spione, vi pare meglio?”
ANNETTE: “Andiamo via, Alain! Che ci facciamo ancora qui? (fa per andarsene, poi torna verso i tulipani e li schiaffeggia violentemente. I fiori volano in aria, si disfano e si sparpagliano dappertutto), To’, guarda, ecco che ne faccio dei vostri miserabili fiori, dei vostri orrendi tulipani! Ah, ah ah!… (scoppia in lacrime)…E’ il giorno più brutto della mia vita”.

Bibliografia:

New ways to kill your mother. Writers and their families, Colm Toíbín, Penguin Books Ltd , 2013.
Madrie figli, Colm Toíbín, Fazi, 2007.
Una donna, Sibilla Aleramo, Feltrinelli, 2013.
Anna Karenina, Lev Tolstoj, Einaudi, 2014.
Come pietre nel fiume, Ursula Hegi, Feltrinelli, 2002.
Follia, Patrick Mc Grath, Adelphi, 2012.
La ricompensa di una madre, Edith Wharton, Elliot, 2014.
Lasciami andare, madre, Helga Schneider, Adelphi, 2004.
Madre Courage e i suoi figli, Bertold Brecht, Einaudi, 2007.
La ballata di Iza, Magda Szabò, Eiunaudi, 2015.
Mia madre, la mia bambina, Tahar Ben Jelloun, Einaudi, 2007.
L’invenzione della madre, Marco Peano, Minimum Fax, 2015.
Piccole donne, Louise May Alcott, Giunti, 2010.
La storia, Elsa Morante, Einaudi, 2014.
Il dio del massacro, Jasmine Reza, Adelphi 2011

Immagine di copertina: Mother and son di Irina Patrascu Gheorghita

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