E se Misia fosse davvero la Verdurin di Proust?

In Teatro

Un nuovo ritratto femminile per la brava Lucrezia Lante della Rovere, su testo inedito del poeta Vittorio Cielo. La confezione c’è, ma tutto va un po’ troppo sopra le righe…

Si parla di donne, e di una donna in particolare, Misia Sert, in Io sono Misia,  lo spettacolo diretto da Francesco Zecca, debuttato nel 2015 al festival di Spoleto e in scena dal 19 al 23 aprile al Teatro Franco Parenti.

Di un personaggio così grande, si può dire innanzitutto il nome. Misia. Che dal suo salotto in rue de Rivoli fu epicentro dell’arte europea tra la fine dell’ ‘800 e i primi del ‘900, conobbe tutti, fu amata da tutti, fu dipinta e raccontata, si trasformò per Proust in Madame Verdurin e nella principessa Yourbeletjef che fu «madrina di tutti quei grandi uomini», fu musica per Ravel e la più grande amica per Coco Chanel; riunì i talenti, ne fu mecenate, ne fu ostetrica capace di far partorire opere grandiose. Invece di essere schiacciata, la sua immagine si rifrangeva nell’arte che indirettamente sprigionava.

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Una principessa d’altri tempi di cui, in un monologo di un’ora, Lucrezia Lante della Rovere ci restituisce un riverbero raccontandone la grandezza ma accompagnandola con l’incombere scuro della morte – cui arriverà vestita Chanel –, nell’attesa spasmodica di un nuovo inizio delle danze, del giungere della sera perché il salotto sia riaperto e tutti quei grandi uomini possano tornare a darle vita, a saziare la sua fame di vita, a farla bruciare di vita. Ma quel momento non arriva perché la morte forse è già arrivata e quel tempo è già finito. Non arriva nessuno, c’è solo il pubblico, cui per un istante si rivolge, a guardarla.

La scenografia di Amodio è un’enorme poltrona damascata, lo schienale alto quanto una persona in piedi; accanto, un tavolino con un bicchiere e dello champagne. I giochi di luce di Pasquale Mari, insieme all’abito di Misia formano un tutt’uno psichedelico di verdi e azzurri, in contrasto con l’immensa chioma rossa, e riportano a un mondo di favola, come a esser precipitati nel Paese delle Meraviglie e veder questa Misia farsi piccola, mostrarsi fragile, alla ricerca di un io che c’è e si sente – si sente nel suo bisogno di nuovo, nel suo turbamento di fronte al tempo e al passato, nel suo ricercare l’arte per aggiustare la vita ed eludere il dolore.

Le immagini che si creano nella relazione tra colori e grandezze, negli spazi creati dalle luci, circoscritti dalla musica, sembrano dipinti che prendan vita. Debole però il testo di Vittorio Cielo, a volte ripetitivo troppo limitato a un’astrattezza evocativa che non riescere a dar vita al personaggio, a metterne in luce la complessità e a farne davvero percepire la fiamma.

Anche Lucrezia Lante della Rovere rischia di imprigionare Misia in una recitazione spesso sopra le righe e in parole che non riescono ad arrivare nitide fino all’ultima fila – colpevole forse anche un acustica della sala non sempre all’altezza delle aspettative.

La confezione, be’, è innegabile : il resto, invece, meno.

Io sono Misia, di Vittorio Cielo, al Teatro Franco Parenti fino al 23 aprile 

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