L’islam del futuro

In Letteratura

La Francia ospita una delle più grandi comunità islamiche d’Europa, e non è un caso che due fra i romanzi più controversi e discussi degli ultimi tempi siano stati pubblicati proprio presso i nostri vicini d’oltralpe: “Sottomissione” di Michel Houellebecq e “2084: La fine del mondo” di Boualem Sansal.

L’Islam, l’integralismo, i suoi rapporti con la cultura e con la società occidentale: esiste forse oggi un argomento più controverso e discusso? Non affrontano la questione solo politici e giornalisti, ma sono sempre di più gli scrittori che decidono di confrontarsi con essa. Michel Onfray e Oriana Fallaci sono i nomi più noti al pubblico, ma è sufficiente entrare in libreria per rendersi conto di quanto la religione del profeta Maometto sia diventata materiale appetibile per l’industria editoriale.

La Francia ospita una delle più grandi comunità islamiche d’Europa, e non è un caso che due fra i romanzi più controversi e discussi degli ultimi tempi siano stati pubblicati proprio presso i nostri vicini d’oltralpe: parlo di Sottomissione di Michel Houellebecq e di 2084: La fine del mondo di Boualem Sansal. Sebbene entrambe mettano in scena un futuro distopico dove l’Islam è al potere, queste opere battono strade molto diverse.

Il romanzo di Houellebecq è stato pubblicato in Francia il 7 gennaio 2015, il giorno dell’attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, la cui prima pagina, quella mattina – come per un crudele scherzo del destino – era dedicata proprio a Sottomissione. Una tragica fatalità che ha puntato i riflettori su un libro che, in ogni caso, avrebbe fatto discutere.

 

La prima pagina di Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015 titolava: «Le previsione del mago Houellebecq. “Nel 2015 perdo i miei denti… nel 2022 farò il ramadan!»

 

La trama ordita da Houellebecq si sviluppa attorno alle elezioni presidenziali francesi del 2022, che vedono la leader del Front National Marine Le Pen sconfitta dal candidato della Federazione musulmana Mohammed Ben Abbes. In una Francia scossa da attentati e scontri a fuoco tra fanatici nazionalisti e integralisti islamici assistiamo, attraverso gli occhi del protagonista François – professore universitario esperto di Huysmans, cinico, disilluso, maschilista, col chiodo fisso del sesso – all’ascesa di un Islam moderato. Ben Abbes è infatti descritto come «un uomo politico estremamente abile, senz’altro il più abile e il più scaltro che abbiamo in Francia dopo François Mitterand», la cui «vera ambizione […] è diventare a suo tempo il primo presidente eletto dell’Europa – di un’Europa allargata, che includa i paesi del bacino mediterraneo». Un obiettivo tanto ambizioso non può essere raggiunto attraverso la jihad; in un occidente immerso in un profondo declino culturale, la strada da percorrere è quella della conversione. L’uomo europeo ritratto da Houellebecq si trascina stanco tra casa e lavoro, alcool e pornografia, nel grigiore di un mondo alienante, senza convinzioni profonde, senza ideali; anche l’esistenza di Dio sembra diventare una questione di poco conto in un’Europa dove il discrimine fra cristianità e ateismo sembra esaurirsi nella partecipazione alla messa domenicale.

Emblematico è un passo del discorso con cui Robert Rediger, rettore della nuova Sorbona islamica, cerca di convertire François: «la maggior parte della gente vive la propria vita senza preoccuparsi troppo di tali questioni, le ritengono troppo filosofiche; ci pensano solo quando si trovano di fronte a una tragedia –  una malattia grave, la morte di una persona cara. Cioè in realtà questo è vero in Occidente; perché nel resto del mondo è in nome di tali questioni che gli esseri umani muoiono, si uccidono, scatenano guerre sanguinose, e questo sin dalle origini dell’umanità: è per questioni metafisiche che gli uomini si battono, non certo per punti di crescita demografica, e nemmeno per la spartizione dei territori di caccia.»

Quello descritto in Sottomissione è un Islam sibillino, che tenta l’uomo occidentale coi petroldollari arabi, con la poligamia, con la promessa di una vita più piena e autentica grazie alla rivalutazione dell’istituto della famiglia, che torna a svolgere un ruolo centrale sia a livello individuale che sociale ed economico. È sempre Rediger a ipotizzare che «il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta»: a un assunto tale si può giungere solamente se si considera la società moderna occidentale – erede di quel “liberté, égalité, fraternité” che si irradiò proprio a partire dalla Francia – un fallimento, l’esito aberrante di un sogno. Se cade la fiducia nell’uomo si può trovare rifugio solamente nella religione e, appunto, nella sottomissione a essa. Per capire quanto pessimisticamente e provocatoriamente Houellebecq prospetti un futuro del genere, è sufficiente ricordare che nel 2001 affermò che «la religione più stupida è l’Islam. La lettura del Corano lascia prostrati».

Il romanzo di Houellebecq, pur senza ipotizzare un futuro di morte e desolazione, può essere considerato distopico dal punto di vista della società e del modo di vivere occidentale, poiché ne descrive la crisi, la caduta e l’assorbimento da parte di una cultura radicalmente diversa.

Più tradizionalmente distopico è invece 2084: La fine del mondo dello scrittore algerino Boualem Sansal, apertamente ispirato a 1984 di George Orwell. Il romanzo è ambientato nell’Abistan, una nazione immaginaria in cui vige un regime totalitario e repressivo modellato su quello dell’Oceania orwelliana: al posto del Socing c’è però il culto di Yölah, e al posto del Grande Fratello c’è Abi, il Delegato della divinità. La vicenda si apre all’interno di un sanatorio, una sorta di lazzaretto per tubercolotici, isolato sulle alte vette di una catena montuosa. Il protagonista del romanzo è proprio uno dei malati: Ati è sempre stato un credente devoto e un cittadino modello. Su quelle montagne sperdute, però, sente nascere dentro di sé una curiosità che è del tutto incompatibile coi dettami di cieca obbedienza e devozione richiesti dall’assolutismo teocratico dell’Abistan. Yölah è onnipotente, non c’è nulla al di fuori dell’Abistan e nulla esisteva prima della sua fondazione: chiunque sia anche solo sospettato di mettere in dubbio i dogmi della religione è un nemico da eliminare. È questa la forma mentis del popolo abistanese, plagiato a tal punto da essere privato di tutte le libertà, anche quella di pensiero.

Sebbene l’Islam non sia mai nominato apertamente, le allusioni non lasciano spazio a dubbi. «Yölah è grande e Abi è il suo fedele delegato»: questa professione di fede, che si ripete ossessivamente nel libro come un ritornello, non può non ricordare la shahada musulmana. Nel finale si dice addirittura che il culto di Yölah e il suo libro sacro, il Gkabul, sarebbero nati «dalla degenerazione interna di una religione antica che un tempo poteva essere stata fonte di onori e fortune per molte grandi tribù dei deserti e delle pianure». Si tratta però di indizi quasi superflui; per associare il regime di 2084 all’Islam basta conoscere la storia personale dell’autore. Sansal, algerino, si dichiara ateo, e durante la sua carriera si è più volte schierato contro la religione del suo paese. Un atteggiamento, questo, che gli è costato frequenti minacce e una vita da “prigioniero in casa propria” avendo più volte ribadito la volontà di non abbandonare l’Algeria.

Con 2084 Sansal si scaglia contro l’integralismo islamico: quel mondo devastato dalle guerre, in cui il pensiero critico è estinto, in cui le persone non sono altro che burattini nelle mani di Yölah, sarebbe la diretta conseguenza del prosperare dell’IS, della jihad, dell’intolleranza.

Toz, curioso studioso di antichità protetto dal suo potente clan familiare, con cui Ati si troverà ad aver a che fare, pone un quesito delicato: «Come dire anche soltanto ai propri contemporanei che, di questo passo, le sventure di ieri li colpiranno presto? Come convincerli se la religione proibisce loro di credere alla propria morte, se sono persuasi di avere un posto prenotato in paradiso pronto per loro come una suite in un hotel di lusso?». Il romanzo di Sansal, con questo Grande Fratello in salsa teocratico-mediorientale, può essere considerato la risposta dell’autore algerino a questa domanda. Egli concretizza i pericoli del fondamentalismo islamico enfatizzandoli e collocandoli in un futuro non troppo lontano: l’intento è quello di sottolineare la fondamentale importanza dello spirito critico, della libertà di opinione, della curiosità. Come Orwell, Sansal porta i lettori a riflettere sul presente, rievocando l’illustre predecessore ma senza risultare banale e ricalibrando l’immaginario di 1984 su un tipo di assolutismo per molti versi simile, ma allo stesso tempo diverso.

Anche Sottomissione può essere considerato una risposta alla stessa domanda. Mentre Sansal critica l’estremismo islamico, Houellebecq ne sfrutta una versione scaltra e non violenta per puntare il dito contro una civiltà occidentale stanca, schiacciata da quelle stesse libertà per cui ha lottato nei secoli, pronta a una sottomissione alla divinità che sa di resa, di rinuncia a ogni responsabilità. Dietro al cinismo e al pessimismo di Houellebecq, però, si intravedono lo stesso spirito critico lucido e pungente e la stessa volontà di risvegliare le coscienze che troviamo anche nell’autore di 2084. Le opere di Sansal e Houellebecq, insomma, possono essere considerate due facce della stessa medaglia: entrambe di valore letterario, entrambe in grado di far riflettere seriamente il lettore, affrontando di petto argomenti troppo spesso banalizzati dal giornalismo e dalla politica.

Si tratta di romanzi, insomma, che vale la pena leggere, senza pregiudizi o preconcetti, ma con apertura mentale e spirito critico. Come vorrebbero, ne sono convinto, gli stessi Sansal e Houellebecq.

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