La provincia di Vanni Santoni

In Letteratura

È in provincia che Vanni Santoni ambienta “L’impero del sogno”. 1997, Federico ha vent’anni, è un universitario (un esame in tre anni), vive con i suoi genitori a Figline (diciassettemila abitanti), ha il cuore spezzato e così poche speranze per il futuro che la cosa migliore è non pensarci. Ma inizia a fare un sogno strano e ricorrente e, da questo momento, realtà e sogno inizieranno a confondersi, e Federico si troverà al centro di una lotta cosmica.

Vivere non è mai semplice. Figurarsi poi farlo nella provincia.

C’è un qualcosa di ambivalente nel crescere in un luogo in cui tutto è conosciuto: strade, luoghi e persone. Da una parte ci sta il senso di prigionia e di soffocamento. Dall’altra – e questo viene sempre ammesso con un po’ di reticenza da chi riesce ad andarsene – la sensazione di stare a casa. Vivere nella provincia, insomma, è un po’ come avere la Sindrome di Stoccolma.

In Italia, ci sono quasi ottomila comuni. Nei centoquaranta con più abitanti, vive un terzo della popolazione italiana. La nostra situazione demografica può essere mostrata anche graficamente così. Eppure, non sono molti gli autori che riescono a raccontare la provincia italiana, evitando gli stereotipi e i cliché di un luogo al di fuori dal tempo, o peggio fermo folkloristicamente al 1950. L’Ischiano Scalo di Ammaniti in Ti prendo e ti porto via rimane, per me, un modello ancora insuperato.

È in questa provincia che Vanni Santoni ambienta il suo nuovo libro, L’impero del sogno. Siamo alla fine degli anni ’90, Federico ha vent’anni, è un universitario (con un esame all’attivo in tre anni), vive con i suoi genitori a Figline (Toscana, diciassettemila abitanti), ha il cuore spezzato e così poche speranze per il futuro che la cosa migliore è non pensarci. Però, poco dopo capodanno – passato ad anfe(tamine), tra l’altro -, inizia a fare un sogno strano e ricorrente, in cui si ritrova durante un congresso con tutta una serie di creature sovrannaturali. Da questo momento, realtà e sogno inizieranno a confondersi, e Federico si troverà al centro di una lotta cosmica.

 

CON UN DECA NON SI PUÒ ANDAR VIA
L’impero del sogno è suddiviso in due parti. La prima è dedicata alla descrizione della vita di Federico, con le sue sempre più frequenti e pressanti incursioni nel sogno del congresso; la seconda, una sorta di on the road lungo l’Italia, è la risposta alle ansie e alle angoscie della sua vita.

Santoni, facendo raccontare tutto da Federico stesso in prima persona, e soprattutto al tempo presente, riesce a calare senza filtri il lettore nella disperazione, malamente celata, del ragazzo. Tutta la prima parte è un accumularsi di fallimenti: universitari, famigliari, sentimentali. La sensazione dominante è quella di essere prigionieri con Federico non soltanto in una vita che non sa minimamente gestire (e che è consapevole di non saper minimamente gestire), ma di un mondo limitato, i cui orizzonti sono strettissimi. La provincia, appunto. La necessità di evadere, di fuggire, di andarsene prima di impazzire si fa sempre più pressante, grazie anche a una scrittura serrata.

Se la prima parte è una narrazione fondamentalmente realistica, dove la frustrazione di Federico risulta tanto dolorosa quanto comprensibile e vicina a noi, la seconda parte, invece, si apre alla fantasia, alla realizzazione dei desideri (e paure) più profonde del ragazzo. Innanzitutto, tanto era infantilizzata la sua vita reale, a casa con i genitori, privo di qualsiasi responsabilità (non senza sue colpe, sia chiaro), tanto ora si trova, prima a essere delegato dell’intera umanità, e poi a dover difendere la creatura più potente e al contempo indifesa di tutti gli universi, non a caso incarnata in una bambina.

Ma soprattutto, i confini di Figline, chiusi e asfissianti, in cui si svolge la prima parte, qua si aprono in un viaggio che porta Federico, la bimba e Livia (la risposta onirica al cuore spezzato del ragazzo) lungo tutta l’Italia e poi anche oltre. La voglia di fuga si fa concreta e letterale. Questo dualismo si riflette anche nelle scene: cupe e chiuse quelle della prima parte; luminose, aperte e solari, quelle della seconda.

L’impero del sogno è, quindi, prima di tutto il racconto di formazione di un ragazzo, di una provincia deresponsabilizzante e della necessità di affrontare questa angoscia per poter finalmente crescere (come viene esplicitato diverse volte in dei passaggi inutilmente didascalici del racconto).

 

ADESSO VANNO IN GIRO A FARE GLI EROI
Santoni, nella costruzione della realtà onirica, si rifà dichiaratamente al bagaglio culturale di Federico. E’ da lì, infatti, che il ragazzo attinge per popolare il mondo del suo sogno. I delegati, per esempio, che sono con lui durante il congresso richiamano personaggi dei cartoni, come Alice, o delle fiabe, come Dorothy o l’Uomo di Latta, ma anche quadri (De Chirico) o invenzioni personali (gli Inventigatori). Tra l’altro, questi ampissimi riferimenti sono racchiusi nella meravigliosa copertina di Vincenzo Bizzarri.

Il legame fra sogno e bagaglio culturale permette anche di delineare ancora più in profondità la psicologia di Federico. Innanzitutto, i suoi richiami circoscrivono perfettamente i consumi culturali di un ventenne, un po’ nerd, appassionato di fumetti, videogame e Dungeon & Dragons, ma anche di letteratura e di cinema (horror specialmente). In secondo luogo, poi, emergono, trasfigurate e ingigantite, le sue paure, quelle di essere schiacciato, per esempio dai suoi genitori, vere e proprie divinità ancestrali, o dalla società, con le sue logge e il suo conformismo di cui Federico non riesce e non vuole far parte. Le sue paure, vero, ma pure i suoi desideri, le sue speranze: dolcissima è, in questo caso, la seconda parte, nei momenti in cui il viaggio di Federico, Livia e la bambina pare meno un viaggio disperato e più una scampagnata di famiglia. Proprio quello che Federico non riesce ad avere nella realtà.

Sta proprio in questo la pericolosità del sogno: nella sua desiderabilità. Lo aveva percepito già Gogol nel XIX secolo, quando racconta la storia di Pìskarëv (“La prospettiva Nevskij”), che, dopo aver scoperto che la donna di cui si era invaghito era una prostituta, inizia a farsi di oppio per poter amarla nei suoi sogni. Federico, nella prima parte, allo stesso modo, cioè facendosi proprio di oppio, cerca di sfuggire alla realtà di Figline, all’università sconclusionata, alla delusione della propria famiglia, al cuore spezzato e agli amici che sono più conoscenti che altro, rifuggiandosi nel sogno del congresso, là dove rappresenta addirittura l’umanità tutta. Lui, universitario fallito, abitante della piccola provincia toscana, è il più importante fra gli uomini. E’ difficile resistere. Così come era difficile per Pìskarëv accettare che la sua amata era una prostituta, finendo poi con il suicidarsi malamente, così il rischio per Federico è quello di alienarsi definitivamente dalla realtà.

Se fino a questo momento la fuga di Federico verso un mondo onirico può sembrare distante o perfino irreale, si provi a sostituire il sogno con un qualsiasi altro mondo di fantasia, sia esso un libro, un film, un videogioco. Quante volte, la foga con cui divoriamo libri su libri, serie tv su serie tv, più che interesse, è disperazione?

 

VERITÀ PER SOFIA TONINI
L’impero del sogno è un libro che diverte, la cui scrittura è fresca e veloce. Gli scambi di battute fra Federico e Livia sono gestiti benissimo ed è impossibile non sorridere leggendoli battibeccare mentre lottano contro divinità, spiritelli e armature. La malinconia di Federico non soffoca mai la storia, che scorre a una velocità folle per tutto il romanzo. Per questo, la comparsa di Sofia Tonini è un vero pugno nello stomaco.

Federico, nel suo vagare a metà fra sogno e veglia drogata, si imbatte in “uno striscione di carta gialla per quella studentessa ammazzata in Egitto, VERITA’ PER SOFIA TONINI […]”. Da qui in poi, il richiamo a Giulio Regeni si fa sempre più esplicito, diretto e duro, man mano che la storia va avanti.

(A proposito, qua la cronologia di Valigia Blu e qua il reportage del New York Times, che, se non li avete letti, quest’articolo può aspettare.)

Il personaggio di Sofia è così aderente alla vicenda di Regeni – anche lei torturata, seviziata, uccisa e il corpo abbandonato in un fosso – che è impossibile separarla e farla vivere di una vita letteraria propria. Santoni stesso non è intenzionato a permettere al lettore questa separazione. Già la scelta stessa di inserire un richiamo così forte e preciso a una vicenda contemporanea in una storia ambientata nel 1997 rende difficoltosa l’assimilazione. Ogni volta che si parla di Sofia, la storia di Federico, dai contorni di solito malinconici, ma piacevoli, toglie il fiato per la sua durezza. Lungi dall’attutire il colpo, anzi, proprio il contrasto fra i diversi toni, lo rende ancora più doloroso.

Il personaggio di Sofia, però, non vuole essere un ricordo fine a se stesso di Regeni. Nonostante il suo stagliarsi sempre come fatto extra-letterario, Sofia svolge una funziona narrativa precisa. Sofia, proprio come Federico e Livia, viene coinvolta nella lotta fra i diversi universi, ma in una fase preliminare. La ragazza, infatti, viene torturata, seviziata, uccisa e il corpo abbandonato in un fosso, mentre sta svolgendo delle ricerche riguardo le creature che poi Federico e Livia si troveranno ad affrontare. Proprio come loro, Sofia è una ragazza che, messa di fronte al male del mondo, non si è tirata indietro, ma ha deciso di lottare.

Nella seconda parte, quella più esplicitamente onirica, la tortura e la morte di Sofia vengono ricondotte all’interno della guerra fra universi. Questa è probabilmente un’aggiunta di Federico, dopo aver visto i manifesti che chiedevano verità per Sofia. Se quindi la storia di Sofia in sè provoca angoscia, è ancora più doloroso e rabbioso per il lettore rendersi conto che la spiegazione per la sua scomparsa è frutto della rielaborazione onirica di Federico, perché “alla fine un mondo in cui Sofia Tonini è stata ammazzata dai delegati della Loggia o dagli Dei dell’antichità, invece che da qualche figlio di puttana di sbirro o di agente dei servizi egiziani… Be’, è rassicurante, ecco”.

 

 

 

 

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