L’Eco della Rosa

In Teatro

Imponente e dichiaratamente colossal, ma l’allestimento teatrale del best-seller di Eco, diretto da Leo Muscato e adattato da Stefano Massini, sa di già visto…

Era una bella mattina di settembre del 1980 quando per i tipi Bompiani usciva il romanzo d’esordio di quello che fino ad allora era stato un semplice (si fa per dire) semiologo e saggista.

Pochi avrebbero dedotto, gettando uno sguardo a quel tomo di cinquecento pagine farcito di citazioni e latinorum più di un manuale di letteratura italiana, che il bestseller fosse dietro l’angolo e che il romanzo giallo avesse trovato un nuovo paradigma e invece…

E invece a più di un anno dalla scomparsa di Umberto Eco, eccoci ancora a celebrare la sua opera più fortunata nella riscrittura che Stefano Massini fa de Il nome della Rosa per la regia di Leo Muscato. Sul palco del Teatro Franco Parenti tredici attori, una scenografia imponente firmata Margherita Palli e un allestimento che, autoproclamandosi “Colossal” fin dal programma di sala, dichiara da subito il suo debito con la versione cinematografica del 1986. Lì erano Sean Connery e Christian Slater a vestire la tonaca (francescana) di Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk, investigatori positivisti ante litteram alla maniera di Sherlock Holmes e del fidato Watson; qui sono Luca Lazzareschi e Giovanni Anzaldo a ricevere questa gravosa eredità.

Già, perché se portare in teatro un romanzo stratificato come il Nome della Rosa è di per sé un’impresa ardua, figuriamoci se quell’opera ha già conosciuto i fasti del grande schermo: il rischio è quello di replicare magari il successo commerciale (su piccola scala, s’intende) senza però aggiungere molto a quanto già detto in parole e immagini dai propri precursori.

Un pericolo che lo spettacolo di Muscato non riesce a sventare del tutto. Nonostante l’intelligente riduzione di Massini, capace di restituire la giocosa ironia di cui è intrisa la quest postmoderna di Eco, e al netto della regia di Muscato, funzionale e ritmata al punto giusto da non far soffrire allo spettatore le quasi tre ore di rappresentazione, la sensazione è di trovarsi di fronte a qualcosa di già visto.

Ma il postmoderno, si obbietterà, non è forse riuso di materiali già confezionati da mani altrui? Certo, ma qui, anche la rielaborazione, il ‘montaggio’, risultano più votati alla ‘divulgazione del verbo’ che a una vera reformatio ecclesiae. Poco male: il tasso di intrattenimento standard è garantito da un cast di esperienza e dall’uso delle proiezioni che sovra-incidono la scena (unico espediente a rinverdire l’intento polisemico dell’originale) e già si immaginano stuoli di scolaresche dirottate verso questa vulgata teatrale. Se la affronteranno con spirito sacrificale – il “Peniteziagite!” di Salvatore è abbastanza in voga tra certi insegnanti consacrati all’iper-tradizione drammatica – o se invece lo troveranno un utile strumento didattico, è difficile pronosticarlo.

Certa invece la notizia che presto sugli schermi RAI arriverà una serie dedicata al romanzo, il cui adattamento è stato supervisionato nientemeno che da Eco stesso e che vedrà protagonisti John Turturro nei panni di Guglielmo e Rupert Everett in quelli di Bernardo Gui.

Un dato che, benché non abbia nulla a che spartire con lo spettacolo in sé, inasprisce l’aura commerciale di questa operazione teatrale, quasi fosse un’involontaria azione di product placement. A essere invece meno sofisticati di così, si può fruire questa versione come un piacevole, linearissimo, compendio, uno stimolo, per coloro che ancora non l’hanno fatto, a prendere in mano il libro e addentrarsi nel labirinto di segni e rimandi tracciati da Eco. Occhio soltanto a non inumidirvi troppo le dita, tra una pagina e l’altra.

foto tratte da sezione Fotogallery su www.teatrofrancoparenti.it

Il nome della Rosa, al Teatro Franco Parenti fino al 12 novembre 

(Visited 1 times, 1 visits today)