Le ambiguità risolte del Romanticismo

In Musica

A superare i tormenti musicali ottocenteschi ci pensano Daniel Harding e un pianista di talento, Alessandro Taverna

Quarantenne da una settimana, il 6 settembre Daniel Harding ha diretto la Filarmonica della Scala al Conservatorio di Milano, in una domenica dal programma austroungarico – viennese di adozione Beethoven, boemo Dvorak -, incastrata tra due eventi pietroburghesi: Temirkanov il 5 alla Scala e Gergiev il 7 sempre al Conservatorio. Questo lo straordinario terzetto di apertura di MITO 2015.

Una serata che divaga attraverso l’arco intero del romanticismo ottocentesco, dall’intuizione beethoveniana del Terzo concerto per pianoforte e orchestra, all’Ottava sinfonia di Dvorak, la più slava di tutte.

Alessandro Taverna, veneto, classe ’83, è il brillante solista della prima parte, dal suono intelligente ed equilibrato. Un pianista che sa riconoscere la cifra tonda della data di pubblicazione del concerto di Beethoven: 1800, un anno che sta molto più indietro di quanto sembri, nonostante l’urgenza del compositore di mettere in discussione le tradizioni.

Insofferente alle rassicuranti forme di routine, Beethoven sa che, per citare Hölderlin, solo «dove c’è il pericolo cresce anche la salvezza»: da qui il suo coraggio della novità, del cambiamento e, perché no, della verità, come dirà Foucault nel secolo successivo.

Ed è proprio sull’ambiguità di tale capolavoro, su questo stile che è come se sintetizzasse un’indecisione sul da farsi, che si erge sicura e cristallina l’interpretazione di Taverna. Inoltre l’intelligenza interpretativa del pianista ha mostrato una straordinaria verve, in particolare nella fuga finale delle Variazioni Telemann di Max Reger, virtuosistico bis che congiunge barocco e tardoromanticismo, contrappunto e armonie estreme.

Quanto a Harding, per la prima volta pareva faticare a contenersi, e in molti dei passaggi più voluminosi il grande direttore inglese ha in parte offuscato la sua elegante morbidezza, il suo fraseggio docile e affabile. Il quale però è riemerso splendidamente nei tempi centrali della sinfonia di Dvorak, in cui Harding danzava letteralmente sul podio, in luminosa sintonia con l’orchestra. In particolare «grazioso» è persino eufemistico, se si vuole aggettivare l’Allegretto grazioso – appunto – che Dvorak ha scritto al posto del tipico Scherzo sinfonico: un oscillante ritmo di valzer con un’intrinseca inquietudine sotterranea che Harding ha smosso col suo gesto. A sorpresa, come encore, il più grande poema sinfonico italiano: l’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini.

Filarmonica della Scala diretta da Daniel Harding, Alessandro Taverna (p.) al Conservatorio di Milano 

Immagine di copertina: MiTo SettembreMusica

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