Tra favola e realtà la doppia parabola del candido Lazzaro che ha conquistato Cannes

In Cinema

Quello di Alice Rohrwacher (“Le meraviglie”, “Corpo celeste”) è da sempre un cinema poetico, che si prende ogni rischio restando convincente. Stavolta ricorda Robert Bresson omaggiando Ermanno Olmi. Ma molto della riuscita del film poggia sulle straordinarie capacità dell’esordiente protagonista Adriano Tardiolo: il suo Lazzaro è così buono e paziente da sembrare santo e stupido. Lo vediamo in una realtà contadina miserabile e quasi fuori dal mondo, nelle due parti del racconto in cui la fanno da primattrici prima Nicoletta Braschi poi Alba Rohrwacher. Nel cast anche un ottimo Tommaso Ragno

Lazzaro (Adriano Tardiolo, al suo primo film, semplicemente stupefacente) ha vent’anni, o forse nemmeno, ed è talmente buono da sembrare stupido, e tanto servizievole da diventare servo dei servi, ultimo degli ultimi, all’interno del microcosmo contadino governato con pugno di ferro dalla marchesa Alfonsina Della Luna (Nicoletta Braschi), con la svagata complicità del figlio Tancredi (Luca Chikovani da ragazzo, uno straordinario Tommaso Ragno da adulto). Il quale un po’ si gode i privilegi della situazione, un po’ sogna fughe infantili organizzando finti rapimenti con l’aiuto di Lazzaro. Nasce così una stramba amicizia, fragilissima e necessaria, che corre come un filo di autenticità – forse l’unico – all’interno di un universo di bugie, segreti, mistificazioni.

In Lazzaro felice, che all’ultimo Festival di Cannes ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, sembra di essere in effetti in un mondo fuori dal mondo, dove i contadini sono ancora servi della gleba ma esistono i telefoni cellulari. E infatti è un “grande inganno” quello che si consuma davanti ai nostri occhi nella prima parte del film, una menzogna crudele che imbriglia i destini dei tanti membri di questa grande e miserabile famiglia di campagna. Talmente miserabile da non riuscire mai a liberarsi dal suo destino di sudditanza, subalternità, disperazione. Anche quando, tanti anni dopo, ritroviamo i bambini ormai cresciuti e gli adulti consegnati a una vecchiaia ottusa e senza ricordi. Un’assenza di memoria e di riferimenti che fa il paio con la totale mancanza di progetti dei più giovani.

Qui la protagonista diventa la sorella della regista, Alba Rohrwacher, ma accanto a lei c’è ancora e sempre Lazzaro. Sempre giovane, immutabile, candido, capace di assoluta sopportazione e al tempo stesso incarnazione di un sogno radicale di rivoluzione totale, quella della bontà e della felicità, quella che per brevità, in mancanza di altre parole più precise, chiamiamo a volte santità.

Lazzaro felice è un film che possiede a tratti una nitidezza assoluta che ricorda il cinema di Robert Bresson, e una capacità di mettere in scena la compassione per gli ultimi come radicale scelta di campo. Compassione nel senso etimologico di “patire insieme”, sentire la sofferenza dell’altro, il suo stordimento, la sua fragilità, e farla propria.

Una fiaba che si snoda lenta, traendo ispirazione da un trafiletto di cronaca degli anni Ottanta – quando una marchesa aveva approfittato dell’isolamento di alcune sue proprietà sperdute sull’Appennino, nell’Italia centrale, per ingannare i suoi contadini e non far loro sapere che i rapporti di mezzadria erano stati definitivamente aboliti dallo Stato italiano nel 1982 – ma facendoci soprattutto pensare alla parabola di San Francesco. E realtà e favola sono due dimensioni tranquillamente intrecciate nel nuovo film di Alice Rohrwacher, che a tratti ci ricorda le atmosfere di Miracolo a Milano, fra realismo e magia, e sicuramente deve molto al cinema di Ermanno Olmi, ma riesce comunque a trovare una propria strada, una cifra personale, frutto di un percorso creativo ambizioso, mai banale, a tratti sorprendente.

È un cinema che si prende dei rischi il suo, sempre, e proprio per questo capita che non tutto sia a fuoco o compiutamente risolto. Non è questo il caso di Lazzaro felice, un film convincente anche nelle sue divagazioni, nelle invenzioni più ardite, fino a un finale nient’affatto facile e proprio per questo ancor più apprezzabile.

Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, con Adriano Tardiolo, Luca Chikovani, Alba Rohrwacher, Nicoletta Braschi, Sergi Lopez, Tommaso Ragno

 

 

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