Varsavia: nelle cantine dello zoo, per sfuggire ai nazisti

In Cinema

Gran prova d’attrice di Jessica Chastain nel ruolo di Antonina Zabinski, che col maritò Jan trasformò (sono personaggi storici) le cantine del giardino zoologico della capitale polacca in un rifugio per donne e ragazzi ebrei in fuga dal Ghetto di Varsavia occupato dai tedeschi. Accanto a lei Daniel Bruhl, scienziato nazista dalla faccia “perbene”. La regia del film è della brava neozelandese Niki Caro

Varsavia, settembre 1939. La Seconda Guerra Mondiale è iniziata da poche settimane e l’esercito tedesco ha preso possesso della capitale polacca, dove il dottor Jan Zabinski (Johan Heldenbergh) e la moglie Antonina (Jessica Chastain) gestiscono il giardino zoologico, subito devastato dall’ingresso delle truppe e trasformato in un laboratorio militare. È lì che Lutz Heck (Daniel Bruhl, nazista un po’ ragazzino dal volto dolce e perbene), scienziato in divisa nominato dal Reich, vuole condurre un esperimento di allevamento selettivo legato all’ambiziosa idea di riportare in vita una razza estinta. Un tentativo prevedibilmente fallimentare che in qualche modo richiama la stessa idea fondante della parabola del Terzo Reich.

Jan e Antonina, protagonisti di questo La signora dello Zoo di Varsavia diretto da Niki Caro (brava regista e sceneggiatrice neozelandese vincitrice nel 2002 di molti premi internazionali grazie al suo La ragazza delle balene) sono personaggi storici e dopo il conflitto mondiale lo stato di Israele li ha onorati nominandoli “giusti tra le nazioni”: e questo perché, in quei drammatici frangenti, persi gran parte degli adorati animali rischiarono la vita loro e dei figli Rys e Teresa (i quali hanno collaborato a realizzare il film) per nascondere nelle cantine del giardino un gran numero di ebrei, soprattutto ragazzi e donne, che erano riusciti a far fuggire dal Ghetto della citta già da prima della rivolta del ’43 e fino a quando venne distrutto.

Soprattutto tra la “signora” (lui entrerà più energicamente nelle file della Resistenza) e i disperati fuggitivi, che riempiono le pareti del loro rifugio di strazianti pensieri e graffiti – e forse va qui rintracciato un riferimento umanitario ai profughi e ai fuggitivi di ogni guerra e disgrazia, fino ai giorni nostri – si crea prima un rapporto di fiducia poi una complessa complicità: finché, grazie a lei, 300 e più di loro riusciranno a mettersi in salvo, utilizzando tunnel costruiti per mettere in salvo gli animali, anche senza aspettare la definitiva cacciata della Wermacht dalla città.

Sceneggiato da Angela Workman a partire dal romanzo Gli ebrei allo zoo di Varsavia, che Diane Ackerman aveva scritto sulla base sul diario della vera signora Zabinski, La signora dello zoo di Varsavia è un film di stampo e stile molto classici, ma che sa star bene in equilibrio tra il dramma sociale di impianto etico, una quota di commedia sentimentale (Heck si innamora di Antonina e la corteggia con eleganza lungo tutto il film, concedendole ciò che mai avrebbe dovuto un ufficiale nazista a una signora di un paese occupato, mentre lei lo respinge con grazia stando attenta a non insospettire il marito), e più di uno spunto da thriller d’avventura. Riuscendo così a tenere a lungo il pubblico sulla corda.

Va da sé che il film è anche il veicolo messo a disposizione della sempre efficace Jessica Chastain, donna e attrice impegnata, politicamente e professionalmente, nonché animalista convinta (ha dichiarato entusiasta : «Vivo con un cane salvato dalla strada che ho battezzato Chaplin, in onore del Vagabondo, e girare questo film è stato bellissimo. Tutti animali veri, scene girate dal vivo, senza controfigura. Non ho avuto paura un solo istante»), per disegnare con Antonina una figura di donna in grado di ammansire qualsiasi predatore, sia esso umano o belluino, nazista o elefante.  “Applicando in un certo senso la stessa psicologia a uomini e animali”, come ha osservato con arguzia Diane Miller Levin, co-produttrice, con la stessa Chastain, del film.

Nota finale. A parte le parodie (tipo Bastardi senza gloria), la distanza storica, comprensibilmente e giustamente, propone al cinema sempre più spesso nazisti dalle caratteristiche psicologiche sfaccettate, non più solo feroci e monolitici seguaci del Fuhrer ma uomini colti, perfino dubbiosi a volte, con più di un punto di sintonia con le vittime. In questa galleria si iscrive anche Heck, ufficiale che fino all’ultimo resta fedele all’idea della vittoria tedesca anche se si concede, per amore di Antonina, momenti di umanità fuori ordinanza. A volte viene il dubbio che passioni e ideologie (qui l’amore per gli animali) possano narrativamente avere perfino forza di coesione superiore a conflitti ontologici come quelli tra nazisti e anti-nazisti. Per fortuna in “La signora dello zoo di Varsavia” (ha dichiarato ancora la Chastain: “la distruzione dello zoo di Varsavia, con gli animali in parte massacrati e deportati, va in parallelo con l’uccisione degli ebrei, il loro essere relegati nel ghetto, caricati verso i campi di sterminio. Prima di girare ho voluto andare ad Auschwitz, sentire il dolore che lì ancora si respira») la storia dice, come è giusto, una parola definitiva.

La signora dello zoo di Varsavia, di Niki Caro, con Jessica Chastain, Daniel Bruhl, Johan Heldenbergh, Tomothy Radford, Efrat Dor 

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