L’allegorico leone di Russell Hoban

In Letteratura

Russell Hoban nella La ricerca del leone racconta una storia di mappe che riproducono mondi fantastici e interiori, racconta il rapporto tra padri e figli come nei grandi romanzi russi, racconta di rapporti amorosi e di abbandoni, racconta di donne sottomesse, appassionate, tenaci nel voler vivere la realtà, mentre i loro uomini si perdono nelle loro mappe e nei loro sogni.

 

Russell Hoban nella La ricerca del leone racconta una storia di mappe che riproducono mondi fantastici e interiori come quelle di Borges, racconta il rapporto tra padri e figli come nei grandi romanzi russi, racconta di rapporti amorosi e di abbandoni, racconta di donne sottomesse, appassionate, tenaci nel voler vivere la realtà, mentre i loro uomini si perdono nelle loro mappe e nei loro sogni.

L’intreccio di queste storie compone una parabola, un’allegoria, come nei racconti mitici o nelle fiabe di Tolkien e di C.S. Lewis; e contemporaneamente è anche un romanzo di formazione che illustra il percorso di un giovane per diventare adulto, prove di ordinaria banalità e prove iniziatiche, con un vago sentore testamentario: pensiamo alla Bibbia quando sappiamo che i nomi dei due protagonisti di questo romanzo, Joachin-Boaz, il padre, e Boaz-Jachin, il figlio, sono gli stessi che Salomone diede alle due grandi colonne di bronzo erette davanti al vestibolo del Tempio.

Il romanzo comincia in un tempo in cui “non c’erano più leoni. C’erano stati, un tempo. Talvolta, nel barbaglio del sole cocente sulle pianure, il guizzo della loro corsa balenava ancora nel vento arido – fulvo, grande, un attimo e via.”

Il padre, Jachin-Boaz, viveva in una città lontana dal mare e commerciava in mappe. Era stata l’attività di suo padre e sarebbe stata quella di suo figlio. Vendeva mappe di paesi e ne disegnava su ordinazione. Ne aveva fatta una per un giovanotto che indicava il luogo dove trovare la sua ragazza a ogni ora del giorno. Disegnava mappe per poeti per trovare l’ispirazione, per asceti per incontrarsi col divino…

E da anni Joachin-Boaz ne disegnava una meravigliosa per il figlio attingendo a tutte le sue conoscenze, le rilevazioni di agrimensori e geofisici.

Non finiva mai di arricchirla, tornandoci sopra continuamente e facendo le necessarie correzioni per tenerla sempre aggiornata.

Sarebbe stata la sua eredità. Così quando Boaz-Jachin compie sedici anni, come nei riti di iniziazione, come nelle fiabe, il padre, Jachin-Boaz gli mostra la mappa. Il figlio è deluso, poi diventa furente: perché non compare neanche un leone?

Deluso, furente è anche il padre, come poteva rappresentarli se erano estinti? Quel figlio ingrato e ignorante non meritava niente, tanto meno la sua meravigliosa mappa.
Jachin-Boaz fugge con la mappa e metà dei risparmi della famiglia.
Al figlio non resta che continuare l’attività del padre, di cui non aveva mai voluto occuparsi, lo fa anche per consolare la madre, per farle sentire che c’è ancora un uomo accanto a lei.

Ma le sue mappe sono imprecise, assurde, il padre non gli aveva insegnato niente, e più pensava alla mappa guida che il padre aveva disegnato per lui, più si rendeva conto che “non si trattava solo di precisione e di compiutezza – ora lo capiva che la vastità della concezione superavano la sua intelligenza. Quella mappa sembrava la risposta a tutto, e suo padre gliel’ava portata via”.

Se ne stava come un vecchio nel negozio a vendere mappe per aiutare gli altri a trovare le cose, perché il padre s’era portato via la sua, per cercare col suo aiuto una nuova vita.
Cercando tra le mappe, trova un luogo dei leoni. Era la reggia dei leoni, la tomba dell’ultimo re e la sua caccia al leone era scolpita in bassorilievo lungo la sala. La reggia si trovava a tre ore di distanza dalla sua città. Doveva assolutamente visitarla.

Riesce a penetrare di nascosto all’alba nel sito archeologico e fa un calco con la carta del magnifico fregio.
Un gigantesco, fiero leone assale il carro del re, che impassibile, lo schiaccia con la ruota.
Nei giorni successivi, lavorando al calco della caccia al leone, Boaz-Jachim ha una rivelazione: il leone potrebbe essersi salvato, avrebbe potuto con un balzo evitare la ruota. Quel leone potrebbe essere sopravvissuto. Quel leone potrebbe essere vivo.

Boaz-Jachim decide di compiere il rito estremo propiziatorio o piuttosto una messa nera e brucia nella piana del tempio del leone i suoi disegni del fregio e quanto svelavano.

La sala della caccia al leone “era il suo luogo, stampato nella mappa della sua mente. Ora la sua luce e la sua tenebra erano dentro di lui…ora poteva percorrere quella strada quando voleva, dovunque si fosse trovato.”

La forza del leone è con lui, come in Star Wars, lui è il leone.
Quindi lascia il paese, la bottega, la madre e parte alla ricerca del padre.
È a questo punto che proprio quel leone, o il suo fantasma, compare e comincia a inseguire, a perseguitare il padre per la città di mare in cui s’è rifugiato e ha incontrato Gretel, una giovane, formosa, sorridente, bionda donna che lo ama e non conosce una parola della sua lingua.

La storia di Joachin-Boaz è come la trama di una fiaba: il giovane lascia la casa paterna e parte all’avventura e trova la bella principessa, ma ribaltata, qui il protagonista è un vecchio che ha abbandonato il figlio e la moglie nella cupa bottega.
È il rimorso a richiamare il fantasma del leone o la sua presenza è reale, come la forza del passato che vogliamo negare, o ancora è stato evocato dai riti di conoscenza e di vendetta del figlio?

Tra sogni truculenti, ricordi di gioventù e di affetti, avventure amorose, riflessioni sul senso della storia e della vita, i due uomini si inseguono e si sfuggono, finché si incontrano, in mezzo a loro col leone. La lotta è furibonda, mortale, la lotta diventa fusione, conoscenza, essere l’altro.
Jachim-Boaz non tremava. La sua voce era ferma. Si stupì nel sentire quanto fosse forte la sua voce, quanto fosse gradevole. Cantò:

 Leone, leone, diecimila anni,
altri diecimila anni e ancora
il guizzo della tua corsa,
fulvo, grande, il guizzo della tua corsa
stampato nell’aria.
La terra sopra i tuoi occhi d’ambra, leone,
diecimila anni, altri diecimila anni.
I re sono morti, leone,
rivestite di terra le loro ossa,
la terra sopra i tuoi occhi d’ambra,
come attraverso una finestra tu guardavi, leone.
La ruota su cui moristi gira, tu ti sollevi.
Il fiume e i ponti, leone,
continui passaggi, uccelli del mattino,
il guizzo della tua corsa,
fulvo, grande nell’aria.

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