La musica che gira intorno/ 55

In Musica

Al giro di boa di un anno di rubrica, “La musica che gira intorno” cambia pelle. Musica da sentire, come di consueto con i link Spotify e YouTube, ma più ancorata a eventi e spunti di attualità: concerti, libri, film, quant’altro. Insomma, meno rassegna generale e più racconti. Buoni ascolti

DA MILANO, CLINT EASTWOOD E PAM GRIER SALVANO LA TERRA
La musica che fanno, parola loro, è «la colonna sonora di un film che non è mai stato girato, in cui Clint Eastwood e Pam Grier salvano la Terra dall’invasione di robot assassini arrivati da un altro pianeta». Loro sono i milanesissimi Calibro 35, quattro più uno in formazione (Enrico Gabrielli, Fabio Rondanini, Luca Cavina, Massimo Martellotta, con Tommaso Colliva alla cabina di regia), e la musica “cinematica” che compongono ed eseguono, colonne sonore per pellicole immaginarie o per spettacoli teatrali, sfondi strumentali per le “utopie radicali” dell’architettura ’70 o jingle radiofonici, ha fatto il giro del mondo, campionata persino da pezzi da novanta dell’hip-hip come Dr. Dre e Jay-Z. Atmosfere da poliziotteschi e acri umori da spy-stories, soul-funk da blackxploitation, rarefazioni cosmiche, echi di Morricone e Bacalov ma anche di Sun Ra, insomma un retrofuturismo che incanta. Per festeggiare i dieci anni di attività, aiutati da numerosi ospiti, i Calibro 35 ispessiscono e raffinano il suono, regalandosi e regalandoci un album delizioso (Decade, ****1/2) e un concerto all’Alcatraz, domenica 11 febbraio alle 21.

IL GENIETTO CHE RESTAURA I GRANDI DEL PROGRESSIVE
C’è gente che nasce con la strada tracciata, se non proprio con il destino segnato. Che cosa fa per esempio uno che, a nove anni, riceve in regalo dal papi e dalla mami The dark side of the moon dei Pink Floyd e Love to love you baby di Donna Summer? Se sceglie di fare il musicista sarà abitato da una blanda schizofrenia che lo porterà ad allestire album con una forte impronta progressive e con saltuarie incursioni nei falsettoni e nelle sincopi della disco-music. È il caso del cinquantino inglese Steven Wilson, iperattivo ex leader dei disciolti e rimpianti Porcupine Tree, ispiratore di progetti laterali di cui si perde il conto (Storm Corrosion, No-Man, IEM, Bass Communion, Blackfield) e da una decina d’anni solista di seguito crescente e circondato dalla generale stima critica. Tutto il contrario della rockstar maledetta, Wilson: non beve, non fuma, non prende droghe, è vegetariano. Se aggiungete che è un polistrumentista (chitarra, basso, piano, tastiere e synth assortiti, autoharp e glockenspiel) e che i grandi del progressive, band come King Crimson,Yes, Jethro Tull e Gentle Giant, gli hanno affidato il restauro e la rimasterizzazione del loro catalogo, forse vi scatterà la curiosità sufficiente per andarlo a sentire venerdì 9 febbraio, ore 21, al Teatro degli Arcimboldi. In repertorio soprattutto brani dell’ultimo album, il godibile e piuttosto pop To the bone (****), dove gli fanno compagnia Andy Patridge dei meravigliosi Xtc, l’abrasiva rocker israeliana Ninet Tayeb (tutta da ascoltare, in Pariah, mentre si offre come “comfort” a un incupito Wilson che canta “I’m tired of Facebook/Tired of my failing health/ I’m tired of everyone/ And that includes myself”) e l’altrettanto incisiva rocker svizzera Sophie Hunger.

 

POP & VOGLIA DI DANZA DA GLASGOW
Sono in pista da poco più di vent’anni, esordirono nel 1996 con le melodie dolci e malinconiche di If you’re feeling sinister. Stiamo parlando dei Belle & Sebastian di Glasgow, guidati dal talentuoso neopadre Stuart Murdoch. Sul palco del Fabrique, mercoledì 13 alle ore 21, porteranno le voglie dance dell’ultimo album, How to solve our human problems (***1/2), che allo zoccolo duro dei fan è parso un po’ troppo leggero rispetto ai loro standard. Incontentabili, a me le loro melodie soffici e la gentile arte di armonizzare il canto continuano a non spiacere affatto.

 

UN VIOLINISTA VIRTUOSO DA SAN PIETROBURGO
Trentasei anni, due figli (è sposato con la violinista armena Anahit Kurtykian mentre sua sorella Olga è sposata con il violinista Maxim Vengerov, mi informa Wikipedia in vena di gossip familiare), il pietroburghese Ilya Gringolts ha fama consolidata di virtuoso, che alterna autori contemporanei ai grandi classici dei quali studia la prassi esecutiva storica (acclamata, nel 2013, la sua incisione dei 24 capricci di Paganini). Cresciuto artisticamente a San Pietroburgo ma perfezionato in America (alla Juilliard School, dove ha studiato per tre anni con il grande Itzhak Perlman), Gringolts è di casa in Italia: nel 1998, sedicenne, è stato il più giovane vincitore di sempre del Premio Paganini. Ce n’è quanto basta per ascoltarlo dal vivo il 12 febbraio, alle 20.30, al Conservatorio, dove ha in repertorio Bach e Pauset. O su disco, con la recente e scintillante interpretazione dei Trii op. 8 & 67 e della Sonata per volino op. 134 di Shostakovic (****).

 

“FOLLIA MAGGIORE”, UN NOIR MILANESE FRA LIRICA E RIMPIANTI
Alessandro Robecchi da qualche anno scala le classifiche con i suoi noir milanesi carichi di passione e ironia. Stavolta, in Follia maggiore (Sellerio), la doppia coppia di detective (i poliziotti Ghezzi e Carella, e i due amici Carlo Monterossi e Oscar Falcone) indagano sull’uccisione di un’insegnante e traduttrice, Giulia Zerbi. Al centro della scena ci sono un anziano, elegante e colto finanziere, Umberto Serrani, come cullato e assistito dai rimpianti, che ha amato Giulia tanti anni prima e vuole la verità sulla sua morte. E la figlia della vittima, Sonia, promettente tenore che sta affrontare un importante concorso a Basilea. Circola tanta musica, nel noir di Robecchi. La colonna sonora del rimpianto, che per Carlo Monterossi si incarna in Dylan (due i brani citati, Scarlet town e Idiot wind, ma in tutto Blood on the tracks i rimpianti scorrono a fiumi). Un po’ di jazz, mi pare di ricordare Charlie Mingus. E tanta lirica. Notissima (L’amour est un oiseau rebelle dalla Carmen, Un bel dì vedremo dalla Butterfly, l’aria della Regina della Notte dal Flauto magico) e più insolita: le Ariettes per voce e chitarra di Ferdinando Carulli e, soprattutto, la deliziosamente libertina Non si dà follia maggiore, dal Turco in Italia di Rossini: «Non si dà follia maggiore/ dell’amare un solo oggetto:/ noia arreca, e non diletto/ il piacere d’ogni dì». È insolito, e molto piacevole, che un romanzo abbia una playlist così raffinata. Eccovi due brani.

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