La musica che gira intorno / 45

In Musica

Pop, elettropop, rock, rock ’n’roll, blues, country, etnica, folk, roots music, jazz, free jazz, classica: i nuovi album, le ristampe, gli eventi musicali significativi

GLI APPUNTAMENTI
Jazz e classica, con i due festival JazzMi (dal 2 al 12 novembre) e Milano Musica, offrono un programma ricco per la settimana. Che vede anche buoni appuntamenti rock.
Mercoledì 1, al Magnolia di Segrate, è di scena alle ore 21 l’inglese Fink.
Giovedì 2, alle 21, la cantante Stacey Kent si esibisce al Blue Note.
Venerdì 3. JazzMi esplode: i De La Soul all’Alcatraz (ore 20), Lee Konitz al Triennale Teatro dell’Arte (h.21), Al Di Meola al Blue Note (h. 21, repliche il 4 e il 5). Chi ama il rock può andarsi a sentire i Kasabian al Live Forum di Assago (h.21), chi preferisce la musica colta si dia appuntamento all’Auditorium San Fedele dove, alle 20.30, Quatuor Diotima e Ircam (elettronica) offrono musiche di Sciarrino, Posadas, Lanza e Fure.
Sabato 4. Il jazz continua a fare la parte del leone. Con Miles Ahead (Anteo, h. 11), Enrico Pieranunzi (Triennale Teatro dell’Arte, h. 12), Stefano Bollani (Auditorium di Milano, h.21), Andrea Motis (Triennale Teatro dell’Arte, h.21) e la Sun Ra Arkestra (Santeria, h. 22.30). Alla Scala va in scena il Nabucco di Verdi, con l’orchestra diretta da Nello Santi.
Domenica 5. Ancora jazz con Gaetano Liguori (Triennale Teatro dell’Arte, h. 12), Paolo Fresu (Pirelli Hangar Bicocca, h.18) e Mulatu Astatke (Alcatraz, h. 21). Chi ama l’elettronica sperimentale vada al Magnolia di Segrate (h. 21.30) ad ascoltare Carla Dal Forno, giovane australiana di origini italiane che vive a Berlino. Mentre per la classica al Conservatorio Verdi l’Ensemble di Musica Contemporanea esegue (h. 18) il Satyricon di Bruno Maderna.
Lunedì 6. Jazz, classica e rock se la giocano quasi alla pari. Per il rock c’è uno degli appuntamenti della stagione: Nick Cave & The Bad Seeds al Live Forum di Assago (h. 21). Per il jazz il chitarrista dei Wilco, Nels Cline, suona al Triennale Teatro dell’Arte (h. 21). Per la classica, la pianista Elisso Versaladze esegue brani di Mozart, Prokofiev, Schumann, Liszt (Conservatorio Verdi, h. 20.30). Duo con la violinista Gaia Trionfera e il pianista Kasumi Yui Invece all’Auditorium Giorgio Gaber (h. 21), in programma musiche di Brahms, Schumann, Yaÿe, Prokofiev. Per Milano Musica infine, al Teatro Elfo Puccini (h. 20.30) Mariangela Vacatello al pianoforte e Ircam (elettronica) eseguono musiche di Lorusso, Aperghis, Palumbo, Beethoven.
Martedì 7. A tutto jazz, con tre concerti in contemporanea alle 21: Donny McCaslin (Triennale Teatro dell’Arte), Mike Stern & Dave Wecki (Blue Note) e Bill Frisell (Anteo).

POP & ROCK
Lucinda Williams – Six blocks away/ Something about what happens when we talk/ Pineola/ Drivin’ around a dead end street/ Hot blood
Ha la mia età e il mio segno zodiacale, l’Acquario, Lucinda Williams, grande musicista e interprete con una voce roca ed espressiva da Johnny Cash al femminile e un cuore inquieto. Nelle sue canzoni di erranze e ferite – l’esordio avviene nel 1979, gli album realizzati sono finora quindici – una robusta scorza rock incorpora blues e country. Per l’ultimo This sweet old world (****) le è venuto in mente di rifare uno dei suoi primi lavori, Sweet old world del 1992. Il risultato è notevole e originale: nei suoni, sfrondati dai fronzoli country degli esordi e più elettrici e scabri; nella band, dove svetta alla chitarra Stuart Mathis; nella voce affilata dal tempo; nelle stesse canzoni, spesso profondamente modificate; nell’aggiunta di quattro brani inediti. Un ottimo ritorno, con il consiglio, per chi non conoscesse Lucinda Williams, di andarsi ad ascoltare il capolavoro Car wheels on a gravel road (*****) del 1998.


https://www.youtube.com/watch?v=mQLgbKm_OEY

Robert Plant – The May Queen/ New World…/ Carving up the world again/ Carry fire/ Bones of saints/ Bluebirds over the mountain
Gente che non riposa sugli allori. Robert Plant, 69 anni, voce leggendaria degli altrettanto leggendari Led Zeppelin, non culla la nostalgia e nelle sue scelte solistiche preferisce un percorso lontano dalle vie maestre. Ne è una conferma questo Carry fire (****) di pasta dolce ma con impennate di rabbia (New world… con la scoperta dell’America diventata genocidio, Carving up the world contro i costruttori di muri). A intessere trame sonore tra folk, roots music ed echi etnici da desert blues provvede la sua band, i Sensational Space Shifters. Nel disco anche ospiti di lusso come Seth Lakeman (violino in The May Queen) e Chrissie Hynde leader dei Pretenders, che duetta con Plant nella classica Bluebirds over the mountain.


Gianna Nannini – Cinema/ Fenomenale/ Amore gigante/ Tutta mia/ Non è vero/ L’ultimo latin lover
La capacità di scrivere melodie avvolgenti, di sbozzare crescendo quasi pucciniani, Gianna Nannini ce l’ha sempre avuta. Nel corso della sua carriera le melodie sono state imbozzolate in un rock grintoso che le faceva tendere la voce allo spasimo, da qualche anno sono al servizio di un pop-rock che ha ammorbidito i toni. Nell’appena uscito Amore gigante (***1/2), il suo diciottesimo album, c’è un’accentuazione elettropop (ai due produttori di fiducia Wil Malone e Alan Moulder si è aggiunto, per dare una buccia più brillante e sintetica ai primi brani, Michele Canova). Tema del disco l’amore in tutte le sue sfaccettature, che nella title-track diventa elogio della diversità («Io non sono il tuo riflesso/ l’amore non ha sesso»). L’ironica L’ultimo latin lover che chiude l’album, scritta con Francesco Bianconi dei Baustelle riecheggiando Latin Lover del 1982, è dedicata ad Alessandro Nannini, il fratello pilota di Gianna.




Bruce Cockburn – States I’m in/ Stab at matter/ 40 years in the wilderness/ Bone on bone/ False river/ Twelve gates to the city
Grande ritorno dopo sei anni di silenzio, questo di Bruce Cockburn. Non lo conoscete? Nato a Ottawa nel 1945, è uno dei grandi della canzone d’autore canadese, uno che non sfigura accanto a mostri sacri come Leonard Cohen, Joni Mitchell, Neil Young e Gordon Lightfoot. Io l’ho ascoltato per la prima volta negli anni ’70 con un album splendido come Joy will find a way (1975, *****), e non ho più smesso. Cristiano e “francescano” nell’ispirazione che si è in seguito arricchita di temi politici antimperialisti e leftist (il canadese è molto attivo con Amnesty International), Cockburn è anche un virtuoso della chitarra e un compositore che all’iniziale vena folk ha sovrapposto echi blues ed etnici e arrangiamenti che profumano di jazz. Come in questo essenziale e ispirato Bone on bone (****) che lo vede assecondato da Colin Linden alla slide, dal nipote John Aaron alla fisarmonica e da Ron Miles alla cornetta.





Colapesce – Pantalica/ Ti attraverso/ Totale/ Vasco de Gama/ Decadenza e panna/ Maometto a Milano
Cantautorato del terzo millennio: testi d’autore che hanno rotto i ponti con la tradizione nostrana, come la musica del resto. Densi e precari al tempo stesso, tra l’egotico e l’incerto (Totale, Decadenza e panna), tra la memoria attraversata da cortocircuiti (Pantalica, l’antica necropoli di Hybla vicino a Siracusa) e l’irrisione a mezza bocca (Maometto a Milano). Un po’ Battiato, un po’ Battisti e molto di suo, Lorenzo Urciullo in arte Colapesce, siciliano di Solarino, 34 anni, Targa Tenco per il miglior esordio nel 2012, con Infedele (***1/2) veste i suoi brani onirici e concisi – l’album dura mezz’ora e poco più – di scarni tocchi chitarristici e pianistici, oppure con ilustrini dell’elettropop e dell’eurodance, concedendosi anche incursioni da free jazz (l’assolo sax di Gaetano Santoro in Pantalica). Un talento indubbio ma forse troppa carne al fuoco. L’eclettismo, malattia infantile del cantautorismo.





MUSICHE RITROVATE
Fairport Convention -Who knows where the time goes?/ Matty Groves/ Farewell farewell/ Tam Lin/Lord Marlborough/ Reynard the fox/ Solo/ Knockin’ on heaven’s door
Abbiamo già parlato dei cinquant’anni dei Fairport Convention, la più longeva tra le band inglesi di folk-rock. Strepitosa fucina di talenti (nel corso di mezzo secolo si sono avvicendati nel gruppo fra gli altri Richard Thompson e Sandy Denny, Ashley Hutchings e Dave Swarbrick, Simon Nicol e Dave Pegg), dopo aver festeggiato con un discreto album live (50: 50 @50), i Fairport vengono ora festeggiati dalla loro prima casa discografica, la Island, con il sontuoso cofanetto di sette cd Come all ye – The first ten years (****1/2). La prima decade del gruppo, che va dal 1968 al 1978, è quella magica in cui si formano lo stile e il lessico del folk-rock britannico, fondendo ballate e musiche della tradizione con un songwriting originale e con scelti omaggi (il nume tutelare è Bob Dylan) e imponendo il genio autoriale e l’inconfondibile chitarrismo di Thompson, il violino spumeggiante di Swarbrick e la voce incantatoria di Sandy Denny. Più e oltre che un’antologia (è anche questo), il cofanetto Island è uno scrigno dei tesori, con 121 brani di cui ben 55 inediti, e due album live che vedono la formazione brillare alla londinese Fairfield Hall nel 1973 e soprattutto, con Sandy Denny in stato di grazia, al L. A. Troubadour.







Fats Domino – Ain’t that a shame/ Blueberry Hill/ Jambalaya (on the Bayou)/ I’m walkin’/ I want to walk you home
Se n’è andato, a 89 anni, Antoine “Fats” Domino, tra i pionieri del rock ‘n’roll. Nato a New Orleans, città da cui non era riuscito a cacciarlo neppure l’uragano Kathryna – in quell’occasione lo salvò la Guardia Costiera -, esordì nel 1949 e a metà degli anni’50, con Ain’t that a shame, uscì dalle classifiche dei “race records”, i dischi per i neri, per imporsi in quelle rock del pubblico bianco. Placido e pachidermico – The fat man si intitolava, non a caso, il suo primo successo – influenzò una generazione di musicisti con il suo pianismo martellante di ascendenza boogie, e vendette fino ai primi anni ’60 circa 65 milioni di dischi. Andò in classifica per l’ultima volta nel 1968 con un cover di Lady Madonna: Paul McCartney – che, come il John Lennon che ascoltate in Ain’t that a shame, gli rese omaggio – l’aveva scritta ispirandosi proprio a lui.




IL JAZZ
Fabrizio Bosso Quartet – Minor mood/ Rumba for Kampel/ The nearness of you/ Misty/ Dizzy’s blues
Lo sapevo raffinato e intenso, lo scopro anche generoso e irruento, in grado di trascinare i partner nei tempi veloci. Lui dice che è il contrario, che sono i compagni d’avventura a trascinarlo (l’ottimo Julian Oliver Mazzariello al piano, Nicola Angelucci alla batteria, Jacopo Ferrazza e Luca Angelucci che si avvicendano al basso), che grazie a loro la sua musica si veste di colori nuovi, e che lui potrebbe anche non suonare, tanto la musica funzionerebbe ugualmente. Lui è Fabrizio Bosso, torinese, classe 1971, da tempo nella mia personale shortlist dei trombettisti. Il grande pubblico lo ha visto, negli anni, accompagnare – anche a Sanremo – Sergio Cammariere, Nina Zilli e Renato Zero. Il doppio live State of the art (****1/2), registrato durante i concerti di Roma, Tokyo e Verona, ne conferma la caratura di compositore (cinque dei dieci brani, tra i quali Minor mood e Rumba for Kampel, sono suoi), il piglio energico con cui conduce le danze (lo si ascolti in Dizzy’s blues) e il magistero nell’interpretare gli standard, come dimostrano The nearness of you di Hoagy Carmichael e Misty di Errol Garner. Gran disco.


LA CLASSICA
Olga Peretyatko interpreta il repertorio russo
Che meraviglia, la soprano russa Olga Peretyatko. Nata a San Pietroburgo 37 anni fa, sposata con un nostro giovane e affermato direttore d’orchestra, Michele Mariotti, l’avevo ascoltata finora soprattutto alle prese con il repertorio italiano, Rossini in primis, e con Mozart. Al suo quarto album per Sony Classical, Russian light (****1/2), si misura sfoggiando invidiabile maturità interpretativa – la asseconda la a me sconosciuta ma eccellente Ural Philharmonic diretta da Dmity Liss – con il repertorio della madrepatria. In scaletta una cavatina da Ruslan e Lydmila di Glinka, cinque brani di Rimsky-Korsakov (scelgo l’Inno al sole del Gallo d’oro per la sublime delicatezza del canto, e la meravigliosa ninna nanna di Volkhova nel Sadko), quattro di Rachmaninov (scelgo il pezzo di bravura Vocalise, affrontato con smagliante souplesse), per concludere con due maestri del’ 900: la sublime canzone di Le rossignol di Stravinskij e le due melodicissime canzoni da Moskva Cheryomushki di Sostakovic. Incantevole.