La musica che gira intorno/ 34

In Musica

Avant-garde, pop, rock, indie rock, new wave, funky, country, progressive, elettronica, rinascimentale, barocca, caraibica: i nuovi album, le ristampe, gli eventi musicali significativi

GLI APPUNTAMENTI
Grande settimana rock a Milano e dintorni. Si comincia mercoledì 14 (Parco di Villa Tittoni, Desio) con Xavier Rudd, cantautore e one-man-band australiano. Reduce da un buon Live in Netherlands (***1/2), Rudd propone il suo folk sporcato di reggae e suoni etnici e le sue tematiche ambientaliste e vicine agli aborigeni. Giovedì 15 (Live Club di Trezzo d’Adda) è la volta del rock sudista dei Gov’t Mule (****), attivi dal 1994 e costola della Allman Brothers Band. Sempre giovedì, all’Autodromo di Monza, appuntamento con il punk americano anni ’90 dei Green Day (***1/2). Il meglio della settimana arriva, sempre all’Autodromo, con i grandissimi Radiohead (*****). Dopo, la kermesse di Monza si fa trascurabile: si possono saltare tranquillamente i Linkin Park sabato 17 (l’ultimo album, il recente One more light, **, è talmente moscio e brutto che mi ha fatto passare perfino la voglia di stroncarlo) e Justin Bieber (**1/2) domenica 18. Si torna a volare lunedì 19 (al Magnolia) con i californiani Bellrays (****), potente miscela di garage e soul. Chiusura con il botto mercoledì 21 con la Festa della Musica: concerti gratuiti delle band emergenti italiane in Piazza Affari, Piazza XXV Aprile, Piazza Castello e alla Darsena.

 

I DISCHI
Beate Bartel & Gudrun Gut – Avant-garde/ Do U Do
Qualcuno si ricorda gli Einstürzende Neubaten, il nome significa “nuovi edifici che crollano”? Erano (meglio dire sono: esistono ancora, anche se un po’ reduci) un gruppo sperimentale di Berlino. Rumoristi, brutalisti a oltranza, all’inizio degli anni ’80 facevano musica con seghe circolari, martelli, trapani, spranghe che percuotevano tubi, blocchi di cemento e lamiere metalliche, e si spingevano a “suonare” il riverbero di un ponte del quale prendevano d’assalto i piloni. Del gruppo faceva parte Blixa Bargeld, che in seguito sarebbe diventato il chitarrista dei Bad Seeds di Nick Cave. E, come chitarrista e bassista, Beate Bartel, che assieme a Gudrun Gut aveva dato vita nel 1979 anche all’esperienza avant-garde Mania D e in seguito avrebbe fondato le Liasons Dangereuses. Le due musiciste si ritrovano a distanza d’anni, spartendosi equamente cinque tracce di Instrumentals for sirens (****). Elettronica analogica, drum machine vintage, nastri trattati, tanta creatività e neppure un’ombra di nostalgia. A me piace molto ma l’avviso è d’obbligo: non è per tutte le orecchie.

Brokeback – Ride away and light the way for me/ Cairo levee/ Spanish venue/ On the move and vanishing
Con il suo barbone bianco Douglas McCombs, illinoisiano di Peoria, classe 1962, non passa certo inosservato. Chitarrista e bassista dei Tortoise (ma lo è stato anche degli Eleventh Dream Day e dei Pullmann), McCombs trova tempo anche per altri progetti laterali, come il gruppo strumentale Brokeback, con cui è al secondo album. Bell’oggetto sonoro, Illinois river valley blues (****), che il blues richiama soltanto di sfuggita. Piuttosto, in questa elegia dell’Illinois rurale, altri sono gli echi: la chitarra twangy degli anni ’50, certe trame alla Pink Floyd, certo post-rock cinematico e morriconiano alla Calexico. Affascinante.



Jamiroquai – Shake it on/ Summer girl/ Nights out in the jungle/ Dr Buzz
Il disco giusto per l’estate alle porte. A sette anni di distanza dal precedente Rock dust light star, tornano gli Jamiroquai di Jay Kay in forma smagliante. Puro edonismo musicale: Automaton (***1/2) ripesca il vecchio funky-electro-disco con velluti vocali alla Stevie Wonder e lo aggiorna guardando ai Daft Punk. Leggero, frizzante, contagioso.



Alison Krauss – Losing you/ Gentle on my mind/ Poison love/ You don’t know me
La migliore voce femminile del country odierno per me è lei, Alison Krauss. Nata nel 1971, in pista dal 1987, 28 Grammy vinti finora (più di ogni altra artista country), nota anche da noi per la partecipazione ad alcune colonne sonore (Fratello dove sei? dei Coen, Ritorno a Cold Mountain) e per uno strepitoso album di duetti con Robert Plant, voce dei Led Zeppelin (Raising sand del 2007). Il suo ultimo lavoro, Windy City (***1/2), offre dieci cover degli anni ’50 e ’60, pescate dal repertorio di Brenda Lee, Willie Nelson, Bill Monroe, Eddy Arnold, Glen Campbell e altri. Non solo country, con classe.



Nadia Reid – The arrow and the aim/ Richard/ I come home to you/ Reach my destination
Neozelandese di Port Chalmers, poco più di vent’anni, secondo disco, Nadia Reid entra a vele spiegate in quella tradizione di cantautorato femminile introspettivo e diaristico che ha avuto in Joni Mitchell la capostipite. Ci sono anche curiose analogie onomastiche: le cantautrici “blue”, vedi appunto Nadia e Joni, hanno o hanno avuto amori che si chiamano o si chiamavano Richard. Preservation (***1/2) inanella, tra toni folk e tracce di bolero, incursioni elettriche e punte di nostalgia, fogli di diario emotivi, confessioni private fatte in pubblico. Ci si muove nei dintorni di Laura Marling, Cat Power e Mimi Parker dei Low, anche se l’eroe musicale di Nadia Reid è Rufus Wainwright. Musica per brokenhearted, come è forse giusto che sia nella prima giovinezza.

 

Dorian Gray – Dimenticare Burroughs/ Quasar/ Resta a vederlo morire/ Kali Yuga
Gruppo storico dell’indie rock italiano, i cagliaritani Dorian Gray di Davide Catinari sono sulla scena dal 1989 e detengono un singolare primato: quello di essere stati la prima formazione europea a esibirsi in Cina, in un tour di sei date, nel 1992. Sciolti e riformatisi negli anni, con numerosi cambiamenti di formazione e uno spostamento verso una canzone d’autore innervata di psichedelia e memore della lezione new wave, tornano ora con Moonage mantra (****). Album diviso in due che lo stesso Catinari definisce “schizofrenico”. Una prima parte, più riflessiva, in italiano e una seconda, più acida, in inglese, accreditata al gruppo avatar Golem in Love. Suono raffinato, umori notturni e decadenti, echi di elettronica, l’inserto di pianoforte, flugelhorn, tromba e archi. All’avventura partecipano ospiti di rango come Blaine Reininger (Tuxedomoon), Luca Masseroni (Tre Allegri Ragazzi Morti) e Sebastiano De Gennaro (Calibro 35, Luci della Centrale Elettrica). L’album è illustrato da alcuni dei migliori esponenti della nostra graphic novel: Davide Toffolo, Ausonia, Andrea Bruno, Gildo Atzori e Marino Neri.


 

Novi – Senza i denti/ I tuoi vestiti da cosplay/ Non me lo levate il computer/ Bacio a frigo aperto
Novi ovvero Tommaso Novi, pisano, musicista, compositore e musicoterapista. Al suo attivo, prima dell’esordio solista Se mi copri rollo al volo (****), una lunga militanza nel duo I Gatti Mezzi, e collaborazioni importanti (Dario Fo, Paolo Fresu, Stefano Bollani, Ascanio Celestini). Testi ironici e stralunati per raccontare, senza vittimismi, di precarietà e smarrimento esistenziale. Il resto la fanno le musiche e la voce: a metà fra il prog inglese più surreale, quello canterburiano dei Soft Machine e di Kevin Ayers, e la lezione, assimilata senza imitazioni e scorciatoie gregarie, di Lucio Dalla: quello del sodalizio con il poeta Roberto Roversi e quello della fase electro con Mauro Malavasi.


 

Le Bang Bang – Darn that dream/ Nature boy/ You send me/ San Diego serenade
Duo di voce e contrabbasso come i nostri Petra Magoni & Ferruccio Spinetti di Musica Nuda, Le Bang Bang sono la cantante tedesca Stefanie Stoltz e il bassista Sven Faller. Nella copertina di Pure (****) posano nudi come a suo tempo John Lennon e Yoko Ono, ma senza ostentazione. L’immagine rimanda a un’altra nudità: la “purezza” della loro proposta musicale, in grado di catturare estraendo emozione dall’essenzialità. In repertorio standard ben noti a chi ascolta jazz (Darn that dream, Nature boy, My old flame, Harlem nocturne, Makin’ whoopee, persino The old country di Nat Adderley), ma anche classici del soul, del pop e del rock d’autore: Time after time di Cyndi Lauper, già ripresa da Miles Davis, You send me di Sam Cooke e la magnifica San Diego serenade, capolavoro giovanile di Tom Waits.



 

Nova Ars Cantandi – Jesu, dum te contemptor/ Luce serena lucent/ Plorat amare
La musica profana che diventa sacra, la musica di corte che diventa musica di chiesa, i “madrigali amorosi e guerrieri” che indossano la tonaca. Miracoli della Controriforma. Accade a Claudio Monteverdi (1567-1643) di vedersi mutati i versi del quarto e del quinto libro dei madrigali in testi latini a carattere spirituale da Aquilino Coppini (?-1629), maestro di retorica alle università di Milano e Pavia. Pare che all’epoca fosse pratica corrente, e che comunque attestasse la grande popolarità di Monteverdi. Fama discussa, la sua: enfant prodige che pubblica le prime composizione (sacre) a quindici anni, grande innovatore delle forme rinascimentali che traghetta verso il barocco, creatore di quel dramma scenico che diventerà melodramma (L’Orfeo, L’incoronazione di Poppea), Monteverdi compone nel 1603-1607 il quarto e il quinto libro dei madrigali. I tradizionalisti gli muovono attacchi feroci: la “seconda prattica” del cremonese al servizio dei Gonzaga, così detta per distinguerla dalla “prima” di Palestrina, viene ritenuta audace e cacofonica rispetto alle regole del “dilettevole”. È semplicemente, e Monteverdi lo rivendica, musica al servizio dell’orazione, sono note che si piegano alle esigenze del testo. Trasposti dall’italiano in latino, i madrigali di Monteverdi non perdono in forza drammatica. Lo testimonia questo bellissimo Monteverdi: Contrafacta (****1/2) inciso per la tedesca Archiv dall’italianissima Nova Ars Cantandi.
Dirige l’ensemble uno dei nostri maggiori specialisti di musica rinascimentale e barocca, Giovanni Acciai (Albisola, 1946), che è studioso e docente universitario apprezzato anche fuori d’Italia ed è stato direttore dei cori da camera della Rai.


IL RECUPERO
Harry Belafonte – Jump in the line/ Banana boat/ Matilda/ Jamaica farewell
Ha compiuto 90 anni in marzo Harry Belafonte (*****), cantante, attore (magnifico quanto il cantante: vedetelo o rivedetelo, se vi capita, nel tesissimo Strategia di una rapina di Robert Wise, 1958, o nel più recente Il rovescio della medaglia, 1995, dove tiene testa a John Travolta), uomo di sinistra e campione dei diritti civili. Nato a New York nel 1927 da madre giamaicana e padre martinicano, Belafonte fu immensamente popolare fra il 1955 e il 1965 con un repertorio folk in qualche modo “globale”, in cui larga parte avevano il calypso, il mento e altri ritmi caraibici. Gli rende omaggio la Rca/Sony con l’antologia The legacy of Harry Belafonte: When colours come together (****), che è bella e sarebbe ancor più bella se concedesse meno spazio agli standard americani come Scarlet ribbons e On top of old Smokey (c’è però una versione appassionata e mossa di Pastures of plenty di Woody Guthrie) per includere i suoi memorabili duetti con Miriam Makeba o i brani incisi con Hugh Masekela. Ma non si può avere tutto, accontentiamoci.

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