La musica che gira intorno/ 28

In Musica

Jazz, pop, rock, folk, classica, elettronica: i nuovi album, le ristampe, gli eventi musicali significativi

Samuele Strufaldi/ Ismael Circus – For Ahmed/ ATP/ Say it again/ Sul filo
Eclettico, il pianista fiorentino Samuele Strufaldi. Classe 1989, diplomato in jazz con il massimo dei voti, anche fotografo e scultore, anche funambolo (lavora come acrobata e musicista nel Magma Circus, non a caso una delle sue composizioni si intitola Sul filo), Strufaldi ha almeno tre formazioni: il classico trio jazz Ismael Circus (con lui Marco Calì alla batteria e Alessandro Cianferoni al basso), il trio con strumenti etnici Ismael Breakfast e il duo sperimentale Ruprekt. Adenosine triphosphate (****) vede il trio diventare quintetto con l’aggiunta di due sassofoni (Claudio Giovagnoli e Yuri Romboli). Musica brillante ed energica, con svolgimenti nervosi e sprazzi di aperta cantabilità melodica. Oltre ai brani di Strufaldi, notevole e ricca di originalità anche la versione di My favorite things.




 

Goldfrapp – Anymore/ Systemagic/Beast that never was/ Ocean
A quasi vent’anni dall’esordio, il duo londinese Goldfrapp (Alison Goldfrapp voce e synth, Will Gregory synth e programmazione) non lascia inesplorata nessuna delle mille diramazioni dell’electropop. In Silver eye (***1/2), settimo album in cui c’è la mano anche dell’entourage di Bjork e di Brian Eno, convivono ambient e trip-hop delle origini, propensioni danzerecce e cinematica, persino un pizzico di Depeche Mode e di Kate Bush. Piacevole.



 

Arca – Piel/ Anoche/ Desafio/ Child
Arca è il venezuelano Alejandro Ghersi, figlio di un banchiere, cresciuto nel Connecticut e oggi di stanza a Londra. Produttore per Kanye West (cinque brani di Yeezus, nel 2013) e di Bjork (Vulnicura nel 2014), fa un’elettronica di sottile qualità onirica che, muovendo da Aphex Twin, si allarga a melodie sinuose e decostruite, sempre sul punto di infrangersi. Arca (****) è il suo terzo album, impreziosito da atmosfere notturne e dalla sua voce vulnerabile.



 

CeCe Winans – He’s never failed me yet/ Hey devil!/ Lowly/ Dancin in the spirit
Gospel contemporaneo, che affida le lodi al Signore ad arrangiamenti corali infiammati e “posseduti”, ma anche a più morbide inflessioni alla Bacharach. Lo propone, in Let them fall in love (***1/2), Priscilla Marie detta Ce Ce Winans. Originaria di Detroit e di stanza a Nashville, ragguardevole carriera solista e in duo con il fratello Be Be (dieci Grammy all’attivo e più di venti milioni di dischi venduti), bella voce da soprano naturale, Ce Ce è assecondata nell’impresa da un folto stuolo di musicisti che hanno lavorato con Springsteen, Clapton, Susan Tedeschi e Billy Joel. E da due cori, le Clark Sisters (Hey devil!) e l’Ezekiah Walker’s Love Fellowship Choir (Dancing in the spirit). Apprezzabile.




British Sea Power – Bad bohemian/ What you’re doing/ Electrical kittens/ Saint Jerome
Originari di Brighton, attivi dal 2000, sette album con questo Let the dancers inherit the party (***), i British Sea Power godono fama di gruppo tra i più colti e citazionisti della scena rock del terzo millennio: Einstein e il cavallo di Troia, il Valhalla e Bohumil Hrabal, Belloc e Dostoevskij fanno capolino nelle loro canzoni, a volte anche nelle loro copertine. Quanto alla musica, li hanno paragonati ai Joy Division e ai Cure, ai Pixies e addirittura ai Radiohead. Sarà, a me sembra di sentire un onesto rock mainstream senza infamia e senza lode.



 

Half Japanese – Attack of the giant leeches/ It never stops/ The preventers/ On top
Nei secoli fedeli al punk, un punk mitigato da una punta di art rock e votato a tutte le basse fedeltà possibili, dal noise al garage. Gli Half Japanese di Jad Fair voce e chitarra e di suo fratello David alla chitarra, di Uniontown nel Maryland ma i due sono originari del Michigan, sono sulla breccia dal 1975. E hanno proseguito imperterriti a cantare, con le loro chitarre scordate, i riff abrasivi e sghembi e la voce psicotica di Jad, «love songs or monster songs». Nel corso di una carriera ostinatamente ai margini, hanno avuto anche produttori eccellenti (Moe Tucker dei Velvet Underground) ed estimatori importanti, da Kurt Cobain a Patti Smith. Per niente stanchi, offrono una prova di crepitante vitalità con Hear the lions roar (****), che mischia Stooges e blues rumoristico, power pop e, a sorpresa, fiati e violoncelli. Notevole.



 

Cesare Basile -Lijatura/ Storia di Firrignu/ U scantu/ U fujutu su nesci chi fa?
Splendido album U fujuti su nesci chi fa? (****), ovvero se esce il matto (dei tarocchi) che cosa succede? Che accade se l’ordine ingiusto di oggi va a gambe all’aria? In un folkblues scarno quanto magistrale, pieno di sottigliezze e di echi mediterranei, che odora di Sicilia e di deserto africano e alterna carezze e schiaffi, Cesare Basile, cantautore catanese che ha una sua bella storia nel rock indipendente italiano (Kim Squad, Quartered Shadows), vendica raccontandoli i poveri e gli ultimi. Gli abitanti della città di Dannata, sotto fattura e offesi ma grati a chi li offende. I vecchi pupari che portavano in piazza Orlando e l’infame Gano di Maganza, gli sfruttati che si danno fuoco, le donne delicate e invincibili. Un lavoro destinato a restare.



 

Sarah McKenzie – Tea for two/ Paris in the rain/ Little girl blue/ Embraceable you
La “new sensation” delle pianiste e cantanti jazz, la nuova candidata a competere con Diana Krall e Norah Jones viene da Melbourne, Australia, ha 28 anni e si chiama Sarah McKenzie. Diplomata al Berklee College di Boston, lanciata in pompa magna da un’etichetta storica come la Impulse, McKenzie ha una vocalità aggraziata e suadente: niente per cui gridare al miracolo, ma la sofisticatezza delle Blossom Dearie, delle Helen Merrill (già scomodare Anita O’Day sarebbe troppo). L’album Paris in the rain (***1/2), poi, ha una scaletta abile: qualche composizione sua (Paris in the rain, niente di che, ma lanciata da un video accattivante), e un collaudato blend di classici, da Tea for two a Rodgers & Hart (Little girl blue), da Jerome Kern (I’m old fashioned) a Gershwin (Embraceable you), fino a Tom Jobim (Triste). Non male.



 

IL RECUPERO
Fairport Convention – Ye mariners all/ The naked highwayman/Jesus on the main line/ Lord marlborough/ Matty Groves/ Farewell, farewell/ Tam Lin
Compiono cinquant’anni gli amatissimi Fairport Convention, pietra miliare del folk-rock inglese e, come i coevi Pentangle, fucina di talenti senza uguali. Della formazione originale che cominciò l’avventura nel 1967 è rimasto soltanto Simon Nicol, i migliori (Ashley Hutchings, Dave Swarbrick, Richard Thompson) se ne sono andati da tempo, la voce sublime di Sandy Denny si è spenta nel 1978. Anche così, però, i Fairport tengono botta onorevolmente. 50: 50@50 (***1/2), per metà album di studio e per metà live, documenta lo stato attuale della formazione, immutata dal 1998. I brani dal vivo provengono dal festival di Cropredy, il più caldo e intimo tra quelli inglesi, che i Fairport organizzano da molti anni con mercatini, banchetti e pub all’aperto. Da segnalare, live, il gospel Jesus on the main line, cavallo di battaglia di Ry Cooder, che qui è cantato da un ospite di lusso, Robert Plant dei Led Zeppelin. Il pensiero corre però ai molti capolavori della band, alla tripletta magica del 1969 (What we did on our holidays, Unhalfbricking e Liege & lief, *****). Così, ho pensato di suddividere il bottino: su Spotify le canzoni nuove, su YouTube i vecchi classici.




 

Leonardo Garcia Alarcon e Jodie Devos eseguono Mozart
Wolfgang Amadeus Mozart aveva 27 anni quando, il 23 marzo 1783, tenne la sua “grande accademia” al Burgtheater di Vienna. La ”grande accademia”, pratica che venne dilatata fino alla dismisura da Beethoven, era una sorta di concerto-esposizione, dove un musicista affermato esibiva i suoi gioielli. Per l’occasione, ne scrive entusiasta il giovane Mozart al padre qualche giorno dopo, oltre a registrare il tutto esaurito, il Burgtheater ebbe due spettatori illustri: il vecchio Gluck, al quale Mozart dedicò alcune variazioni, e l’imperatore Giuseppe II, che non abbandonò mai il suo posto e apprezzò molto il concerto. Scorciata, quella serata trionfale rivive nei due cd The Vienna concert 23 March 1783 (****1/2). Fanno la parte del leone la Sinfonia Haffner K. 385 e il Concerto per pianoforte n. 13 K. 415  (a chiudere, le posteriori overture del Don Giovanni e del Flauto magico), mentre alla giovane soprano belga Jodie Devos sono affidate due arie da Idomeneo re di Creta e da Lucio Silla, oltre a Vorrei spiegarvi, oh Dio. Dirige l’orchestra Millenium Leonardo Garcia Alarcon, quarantenne argentino che si è fatto apprezzare come specialista di partiture barocche.



 

Sentieri Selvaggi – Serata Andrea Dulbecco
I componenti di Sentieri Selvaggi hanno progetti musicali anche fuori dall’ensemble. Riportati all’interno del programma concertistico, lo arricchiscono. È il caso di Andrea Dulbecco, percussionista di Sentieri Selvaggi fin dalle origini e, per Carlo Boccadoro, «uno dei più grandi vibrafonisti d’Europa e non solo». La serata a lui dedicata vede in scena altre due formazioni in cui Dulbecco milita: il Trio Sur, che con marimba, fisarmonica e contrabbasso esplora i sud musicali del mondo, e l’Aisha Quartet, che spazia tra jazz e musica colta. Al Teatro dell’Elfo, lunedì 8 maggio alle ore 21.

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