La musica che gira intorno/ 19

In Musica

Ritorna De Gregori con un doppio, Iggy Pop addirittura con due cd e un dvd, e Stevie Nicks in versione deluxe con tre cd. Ma c’è anche chi si accontenta e in un solo album riesce a produrre meraviglie: vedi l’incantevole Katie Melua o in tutt’altro genere un fuoriclasse come George Coleman

Francesco De Gregori – Titanic/ Fiorellino #12&35
Dal 2011 Francesco De Gregori non faceva album live, rimedia adesso con il doppio Sotto il vulcano (****), venti brani registrati al Teatro Antico di Taormina lo scorso agosto, a conclusione del tour “Amore e furto”. I dischi dal vivo, lo dice lo stesso De Gregori, sono per lui come una sorta di discografia parallela. Frutto di narcisismo forse, ma anche testimonianza di come cambia la voce, di come mutano nel tempo le sonorità e l’approccio alle canzoni. Chi ascolta Sotto il vulcano troverà un campione rappresentativo di tutta la parabola artistica del cantautore romano, dai quasi esordi di Rimmel alle splendide e recenti cover dylaniane. Qui ho scelto, dopo l’assaggio di 4 marzo 1943 che vi avevo offerto nelle scorse settimane, una Titanic che gioca con il ragtime e una divertita Buonanotte fiorellino che si contamina con Rainy day women 12&35 di Bob Dylan.

 

Gianni Iorio & Pasquale Stafano – Volver/ Le lanterne di Phuket
Argentini di Puglia e coetanei, sono entrambe del 1972 e foggiani, il bandoneonista Gianni Iorio e il pianista Pasquale Stafano hanno fondato nel 1999 il Nuevo Tango Ensamble. Nocturno (****), il loro quinto album pubblicato da un’etichetta prestigiosa come la tedesca Enja, fa i conti con la tradizione con un lirismo controllato e senza sbavature (Volver e El dia que me quieras del grande Carlos Gardel, La Yumba di Osvaldo Pugliese) e con il nuevo tango dell’altrettanto grande Astor Piazzolla (Verano, Invierno porteño e Adios Noniño). Delicate e brillanti le due composizioni di Iorio e Stafano, Le lanterne di Phuket e Sagra d’estate.

 

Gord Downie – The stranger/ I will not be struck
Lo scorso ottobre il cantautore canadese Gord Downie eseguiva dal vivo il suo ultimo album, Secret path (****1/2). Ogni tanto dimenticava le parole e doveva ricorrere al gobbo: ha un tumore al cervello in fase terminale che spesso gli causa amnesie. Mentre il pubblico lo incoraggiava (in televisione il concerto è stato ascoltato da 11 milioni di spettatori), Downie a un certo punto ha smesso di cantare e, individuato fra il pubblico il primo ministro Justin Trudeau, lo ha invitato a mettere rimedio agli errori e agli orrori della politica secolare contro i nativi americani. Perché Secret path, con le sue sonorità scheletriche che evocano distanze e fantasmi, parla di una storia orribile e rimossa, come lo erano in Irlanda le “Magdalene laundries” e in molti paesi dell’Occidente (non stiamo parlando dei nazisti, ma di Austria, Svezia e altri) le politiche eugenetiche nei confronti dei disabili. La storia delle “residential schools” gestite dai religiosi e finanziate dal governo, che dall’800 agli anni ’60 del secolo scorso ospitavano bambini nativi strappati alle famiglie per “take the Indian out of the child”. Una politica brutale che, stimano gli storici, ha fatto oltre seimila vittime, morte di malattia o suicide. Secret path racconta la storia di Charlie, come lo avevano ribattezzato i bianchi. Di Chanje Wenjack, un ragazzino di dodici anni che negli anni ’60 morì assiderato, dopo essere scappato da una residential school per tornare dai genitori che stavano a 400 miglia di distanza. Un mese fa, in una cerimonia emozionante, Gord Downie è stato premiato dai nativi canadesi riuniti per la sua opera di riconciliazione, ricevendo il nome indiano Wicapi Omari, Cammina con le Stelle.

 

Iggy Pop – Sixteen/ The passenger
Due cd e un dvd appassionati per dare conto del rock più viscerale e al calor bianco che, ancora oggi, sia possibile vedere in circolazione. E pazienza se Iggy Pop si ostina a restare a petto nudo dalla prima canzone all’ultima: anche se le devastazioni del tempo si vedono, l’energia selvaggia da animale da palcoscenico non lo ha abbandonato. Nella scaletta di Post depression pop – Live at the Royal Albert Hall (****), registrato live lo scorso maggio, assieme ai nuovi brani ci sono tutti i suoi classici. Grande band capeggiata da Josh Homme dei Queens of the Stone Age.


 

Paolo Simoni – Io non mi privo/ Ho conosciuto l’amore
Paolo Simoni da Comacchio, Romagna, intorno ai trent’anni e sulla scena da dieci, tre album all’attivo (nel secondo, Ci voglio ridere su, c’era Lucio Dalla a duettare con lui), in Noi siamo la scelta (***1/2) canta dei suoi coetanei, «quelli che non hanno voglia di arrendersi e, senza scappare altrove, hanno deciso di rimanere per tentare di cambiare le cose». Proposito lodevole, belle canzoni che forse dovrebbero osare un po’ di più, una voce che ricorda quella di Dalla, ma non è una colpa.

 

Ben Glover – The parting glass/ The emigrant/ And the band played waltzing Mathilda
L’odissea che tra la metà dell’Ottocento e l’alba del secolo breve portò tre milioni di irlandesi, in fuga dalla carestia e dalla fame, in America. Dal bicchiere della staffa della canzone iniziale (la bellissima The parting glass, già cavallo di battaglia dei Pogues), passando per la nostalgia, il lavoro duro, le bevute, la guerra. The emigrant (****) è il disco vibrante, a cavallo fra Irlanda e America, tra vecchie ballate e nuove composizioni, che il cantautore Ben Glover, irlandese della contea di Antrim da qualche anno di stanza a Nashville, ha dedicato alle traversie degli antenati. Cantato e suonato assai bene, ha gemme come Moonshiner (la distillazione clandestina di cui gli irlandesi furono maestri), la delicata From Clare to here del grande Ralph McTell, la ribelle The auld triangle dello scrittore e attivista dell’Ira Brendan Behan (lui si definiva “a drinker with writing prtoblems”, in Italia lo tradusse Luciano Bianciardi) e l’antimilitarista And the band played waltzing Mathilda di Eric Bogle, eseguita fra gli altri anche da Bob Dylan.


 

Katie Melua – The little swallow/ River/ All night vigil-Nunc dimittis
Nata a Tblisi in Georgia nel 1984, emigrata a Belfast dopo la guerra civile georgiana al seguito del padre cardiochirurgo, cittadina inglese dal 2005, Katie Melua è una cantautrice da primo posto in classifica in patria. In winter (****) è il suo settimo album, dedicato allo stesso tempo all’inverno e al ritorno a casa. La accompagna infatti il meraviglioso ensemble georgiano Gori’s Women Choir (venticinque voci). Qui la ascoltate in un canto ucraino, in una bella cover di Joni Mitchell e in una composizione di Rachmaninov (Nunc dimittis) che, dice lei, «mi ha riportato alla mia infanzia, perché con questa melodia ho rivisto la foresta russa, il gelo, il paesaggio ricoperto di neve e i racconti di mio nonno in fuga da un campo di lavoro siberiano».


 

Cabeki – Disgelo/ Affiora/ Ultima luce
Il chitarrista e polistrumentista veronese Andrea Faccioli, dopo aver messo la sua maestria strumentale al servizio di Baustelle e Luci della Centrale Elettrica, da qualche anno è impegnato nel progetto solista Cabeki, giunto al terzo episodio. Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge (****), a dispetto del titolo, propone musica obliqua e rasserenante, acquarelli acustici con discreti inserti elettronici e scelti ospiti (violoncello, vibrafono), camerismo neoclassico che abbraccia il folk, il post-rock, il cinematico. E che mi fa venire in mente musicisti molto amati come Brian Eno, John Fahey, Penguin Cafe Orchestra, Tin Hat Trio, in qualche caso Nino Rota. Raffinato.


 

Jack White – Apple blossom/ Top yourself/ Machine gun silhouette
Tra i musicisti rock più rilevanti del nuovo millennio, con il duo dei White Stripes, con i progetti laterali dei Raconteurs e dei Dead Weather, oppure come in questo caso in perfetta solitudine, Jack White ha sempre creato una musica asciutta e senza fronzoli, di nervosa contemporaneità, con i piedi ben saldi nella tradizione blues e folk. Lo testimonia il notevole doppio Acoustic recordings 1998-2016 (****), la cosa più simile a un’antologia (ma niente greatest hits, Seven army nation proprio non c’è) che il nostro abbia mai realizzato.


 

Andrea Bacchetti – Piano concerto BWV 1054 e 1055 di Johann Sebastian Bach
A suo agio con il repertorio barocco (Mozart, Cherubini, Hasse) e con quello contemporaneo (Luciano Berio), il pianista genovese Andrea Bacchetti si cimenta con Bach nella doppia veste di interprete e di direttore dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Keyboard concertos (****), due cd pubblicati da Sony Classic, affronta, con l’esclusione del 1057, tutto il corpus dei concerti per pianoforte di Johann Sebastian. Fluido e raffinato.

 

George Coleman – Invitation/ The shadow of your smile
Di lui Miles Davis diceva che è «anche troppo perfetto». Sassofonista di rilassato slancio lirico, noto oltre che per i quintetti con Davis per le collaborazioni con Herbie Hancock, Chet Baker, Charlie Mingus e altri illustri, a 82 anni George Coleman si prende il lusso di incidere un disco, A master speaks (****) che lo vede assecondato da un quartetto hard bop di buon livello: suo figlio George Coleman jr. alla batteria, Mike Le Donne al piano e Bob Cranshaw al basso (in un brano, Blues for B.B., c’è alla chitarra Peter Bernstein). Grande sempre, Coleman è speciale negli standard classici del songbook americano: The shadow of your smile, per esempio. Ma anche Darn that dream e These foolish things.

 

Stevie Nicks – Stop draggin’ my heart around/ After the glitter fades/ Edge of seventeen
Riappare in versione deluxe, gonfiato a tre cd con demo, tracce alternative e versioni live, il classico Bella donna (****), esordio solista del 1981 di Stevie Nicks, grintosa e bellissima cantante dei Fleetwood Mac. Assai lontano dalle sonorità dei Fleetwood e più vicino a un rock con venature country, l’album schizzò al primo posto negli Usa e altrove, conquistando cinque dischi di platino. Merito della bionda con il pappagallo in mano che appare in copertina, autrice di quasi tutti i brani. E anche degli ospiti di lusso di cui riesce a circondarsi: Tom Petty che le regala la trascinante Stop draggion’ my heart around e produce il disco con Jimmy Iovine, il suo tastierista Benmont Tench, Roy Bittan della E-Street Band di Springsteen e Don Henley degli Eagles.


 

Leon Redbone – If I had possession over judgement day/ Sweet mama hurry home or I’ll be gone
Uno dei segreti meglio custoditi della musica americana è quello di Dickram Gobelian in arte Leon Redbone, canadese di origine armena trapiantato negli Stati Uniti, classe 1949, esordio nei primi ’70 a Toronto. Leon Redbone è, se mi volete passare l’approssimazione, il Paolo Conte americano. Fermo alla prima metà del ‘900, con il suo repertorio di blues, country (l’adorato Jimmie Rodgers), ragtime e motivetti di Tin Pan Alley. La maschera di scena poi fa il resto: abiti di lino chiaro, panama, cravatta nera e occhiali da sole. Sornione, enciclopedico, incantevole dal vivo, Redbone ha inciso sedici dischi che sono una delizia. Ora Jack White (sì, quello dei White Stripes) ristampa per la sua etichetta Third Man Records diciotto canzoni degli esordi, registrate fra il 1973 e il 1974 in caffetterie e radio di Buffalo. Titolo Long way from home – Early recordings (****). Splendido, anche con sola chitarra, kazoo e armonica.

 

Picciotto – Amarcord 2.0/ Santo
Bel lavoro, album ambizioso questo Storyborderline (****) del palermitano Christian Paterniti in arte Picciotto. Niente stereotipi da gangsta rap con droga, abiti firmati, lust for good life e misoginia. Al contrario, un riassunto da cantastorie dei nostri anni zero (Amarcord 2.0) e poi tante storie di ragazzi di periferia, dirigenti, operai, poliziotti, escort, coppie arcobaleno, calciatori e attivisti. Appassionato, realizzato in crowdfunding con Music Raiser, tra gli ospiti anche il bravo rapper-professore reggiano Murubutu.

 

Chouchane Siranossian – Sonata n. 12 op. 6 di Pietro Locatelli/ Sonata “Il trillo del diavolo” di Giuseppe Tartini
Aspetto e ascolto tutte le novità discografiche dell’etichetta francese Alpha Classics, tra le più innovative e intelligenti di questo repertorio. Stavolta mi tocca, per mia delizia, L’ange et le diable (*****), sonate barocche di Pietro Locatelli, Jean-Marie Leclair, Antoine Forqueray e finale travolgente con Il trillo del diavolo di Giuseppe Tartini. Li esegue la stupefacente violinista Chouchane Siranossian, nata a Lione nel 1984, studi in patria e in Svizzera e perfezionamento in musica antica al Mozarteum di Salisburgo. La affianca al clavicembalo Jos von Immerseel. Tra i dischi più emozionanti degli ultimi mesi.