La musica che gira intorno/16

In Musica

I concerti in occasione del Giorno della Memoria, gli XX alla loro terza prova, la sorprendente storia di Elza Soares, il fado di Misia: queste e altre le musiche intorno a noi questa settimana

Mannarino – Roma/ Apriti cielo/ Gandhi
Il romano Alessandro Mannarino, classe 1979, con i primi tre album (Bar della rabbia del 2009, SuperSantos del 2011 e Al monte del 2014) si è imposto tra i cantautori della nuova leva più apprezzati e seguiti. Ora allarga il tiro con Apriti cielo (***1/2), canzoni per i loser e colori per esorcizzare la tristezza. Sonorità latine che sanno di Brasile, sonorità americane (ad onta dell’avversione dichiarata e un po’ stereotipa per l’universo anglosassone) che sanno di blues. Come nella stralunata invettiva Roma e nell’urticante Gandhi, sette minuti tirati sull’utilizzo del Mahatma e della sua immagine per tutti i marketing possibili e immaginabili.


Childish Gambino – Boogieman/ Terrified
“C’è qualcosa riguardo alla black music degli anni ’70 che suona come se ai tempi stessero cercando di cominciare una rivoluzione”. Donald Glover, che in musica ha adottato il moniker Childish Gambino, è attore e scrittore per la tv assai quotato: è opera sua Atlanta, la serie tv che va in onda su Fox anche in Italia proprio in questi giorni, suscitando l’entusiasmo dopo avere ricevuto il Golden Globe. Awaken my love! (***1/2), album fresco di un mese, non si limita a rendere omaggio al funky e al soul bislacco dei ’70 (Sly & Family Stone, Funkadelic, Parliament), ma lo reinventa con creatività, facendo acrobazie con la voce.

The XX – Lips/ A violent noise/ Performance
Giurano tutti sulla maturazione dei londinesi XX giunti alla boa del terzo album I see you (****), e sulla perfezione del loro pop che miscela naturalezza e artificio, campionamento, ritmica e melodia. Il suono acerbo e i contenuti emo degli esordi hanno acquistato in perizia, in solarità e in sicurezza anche nell’esibire i timori (“Vedrai che mi ferirò/ Quando avrò il cuore infranto/ Lo metterò in scena/ Esponendolo su una faccia coraggiosa”, Performance, scritta dalla cantante Romy Madley Croft). Quanto ai campionamenti, spaziano dal soul bianco di Hall & Oates (On hold) al madrigale che Paolo Sorrentino aveva utilizzato in Youth (Lips, forse la canzone più bella dell’album). Un delizioso batuffolo di ovatta.


Elza Soares – A mulher do fim do mundo/ Dança/ Solto
In Brasile, più di sessant’anni fa, una ragazzina nera e magra come uno stecco si presentò a un concorso canoro infagottata in un abito di parecchie taglie più grande, sottratto dalla montagnola di panni che sua madre lavandaia aveva in carico. Allo stupito presentatore che le chiese: “Da che pianeta vieni?” rispose, guardandolo dritto in faccia: “Dal pianeta fame”. La ragazzina magra come uno stecco vinse il concorso e cominciò una carriera oggi leggendaria. Si chiamava Elza Soares, si era sposata a dodici anni, aveva avuto il primo figlio a 13, a 21 era rimasta vedova, unendosi in seguito al calciatore-idolo Garrincha e assistendo impotente al suo alcolismo e alla sua morte. Donna di dolori, Elza Soares, che ha perso quattro figli dei cinque generati (dati in adozione, morti per malnutrizione o in qualche incidente), è il rovescio dell’idillio. Non ha niente della dolcezza che a lei deve sembrare pigra e inutile della bossa nova, poco anche della frenesia del samba. Con la sua voce di carta vetrata, la sua intonazione che sfida il mondo (viene in mente Tom Waits) e la sua band di giovani “sporchi sambisti” di Sao Paulo, che corteggiano asprezze afro e punk e rifuggono dall’idioma gentile, Elza Soares a 79 anni ha inciso un disco strabiliante, A mulher da fim do mundo (*****). Che affronta la vita come su un ring dove si danno e si prendono. Per inneggiare al piacere di scopare (Pra fuder) o raccontare la storia di un transessuale che si sta ammazzando con la droga (Benedita). Per ricordare alla gente per bene che gli umiliati e gli offesi, i gay e i neri, nel suo Brasile che imbocca la strada della recessione e di un’ovattata restaurazione, esistono. Semplicemente grande.


Echoes of Swing – Everything that was/ At children’s corner
Tedeschi uniti in quartetto (tromba, sax alto, piano e batteria), gli Echoes of Swing in questo disco felice (Bix, ***1/2) rendono omaggio al grande cornettista Bix Beiderbecke (1903-31), tra i padri fondatori del jazz. Musica fluida e ispirata, nessuna concessione alla nostalgia, basta fare un confronto con il secondo cd che offre gli originali per rendersene conto.

Dida Pelled – Five hundred miles/I’ll see you in my dreams
Chitarrista e cantante israeliana in rapida ascesa, Dida Pelled si misura in A missing shade of blue (***1/2) con il songbook americano: Hank Williams, Billie Holiday, Ray Charles, Johnny Cash e altri. Un disco morbido, uno stile chitarristico rilassato e avvolgente. La assecondano il trombettista italiano Fabio Morgera, che l’ha scoperta a New York, e Luke Carlos Realy all’Hammond B3.

Anohni – Watch me/ Execution
Che dire? L’inglese naturalizzato americano Antony Hegarty (Antony & The Johnsons) ha abbandonato l’identità maschile chiedendo, con tanto di comunicato stampa, di essere chiamata Anohni. E va bene. Meno bene va che in questo Hopelessness (***1/2) abbia scelto come confezione sonora un’elettronica invadente ed effettistica a volte di grana grossa. E che abbia deciso di “cantare politico” (contro l’Isis e contro la pedofilia, contro Obama e contro Guantanamo, contro la violenza sulle donne e contro i droni, e per carità, saremmo anche d’accordo) con una banalità di fondo che fa da zavorra a una voce che resta suggestiva come poche.

Concerto per il Giorno della Memoria – Accademia di Santa Cecilia Di Roma
Concerto per il Giorno della Memoria – Conservatorio G. Verdi di Milano
Oscar Klein – December song
Paolo Gorin – Numero quindici a mano manco da “Il barbiere di Siviglia” di Rossini
Tomaso Antonio Vitali – Ciaccona
Hermanas Serrano – Cançò amb sordina di Isko Thaler
Darius Milhaud – Ani maamin: un chant perdu et retrouvée
Dmitrij Shostakovich – Lieder su poesie popolari yiddish op. 79
Imperdibili quest’anno i Concerti per il Giorno della Memoria in programma il 26 gennaio alle 20.30 nella Sala Sinopoli dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma e al Conservatorio Verdi di Milano. Si intitola, l’appuntamento romano, Serata Colorata, ***** preventivo, lo trasmette in diretta Rai5 e racconta la storia di uno dei campi d’internamento del fascismo, quello di Ferramonti in Calabria (I campi del duce si intitola un bel libro dello storico Carlo Spartaco Capogreco, che della Fondazione Ferramonti è presidente: lo pubblicò Einaudi nel 2004). A Ferramonti transitarono, tra il 1940 e il 1943, più di tremila ebrei stranieri e apolidi. Fra loro numerosi musicisti che a fine giornata si riunivano in una baracca per dare vita alle “serate colorate”. Difficile trovare tra loro delle star, ma alcuni nel dopoguerra giunsero a qualche notorietà: per esempio il trombettista austriaco Oscar Klein, che suonò in numerose formazioni swing e dixieland, lo trovate su Spotify. Come trovate il baritono Paolo Gorin, tedesco di origine russa, buon interprete di Verdi e Rossini in Olanda (e cantore principale della sinagoga di Amsterdam). Per esempio il berlinese Isko Thaler che fu amico e arrangiatore di Kurt Weill (Opera da tre soldi) e, liberato dal campo, fu direttore musicale di Radio Bari nell’Italia liberata dai tedeschi, per scrivere in seguito canzonette per Marisa Del Frate e altri (un suo brano, Canzone in sordina, l’ho recuperato su YouTube nella versione di un duo femminile catalano degli anni ’50). Di altri, il direttore d’orchestra croato Lav Mirski tuttora onorato in patria (c’è anche un concorso a suo nome), il cantante d’origine romena Sigbert Steinfeld che ebbe una rapinosa storia d’amore e clandestinità con l’inglese Marie Corelli (temo che c’entri Il mandolino del capitano Corelli ma non ho avuto tempo e cuore di indagare) o il pianista Kurt Sonnenfeld che visse a lungo a Milano insegnando nelle scuole medie e che molti milanesi ancora ricordano (vedi le testimonianze qui), si è purtroppo persa ogni traccia sonora, ma il Conservatorio di Milano custodisce le sue composizioni. L’attività di interpreti e autori degli internati di Ferramonti (avevano in repertorio brani eterogenei, dalla stupenda Ciaccona del barocchista Tomaso Antonio Vitali all’improbabile canzoncina La balena di Sampierdarena) è stata ricostruita grazie a un appassionato lavoro di ricerca di Raffaele Deluca, musicologo del Conservatorio Verdi di Milano. E ora va in scena, in una serata che mescola klezmer e swing, classica e lirica. Voce narrante è Peppe Servillo dei rimpianti Avion Travel, nel cast ci sono tra gli altri un grande del nostro jazz come il trombettista Fabrizio Bosso, interpreti di musica ebraica come Lee Colbert, Myriam Fuks e Eyal Lerner (le prime due le trovate su Spotify, il terzo sui YouTube, e meritano l’ascolto) e strumentisti di vaglia. Una serata colorata da non perdere. Kurt Sonnenfeld, milanese di adozione, è come vedremo uno dei protagonisti del Concerto della Memoria al Conservatorio Verdi di Milano il 26 gennaio, anche qui ***** preventivo, alle 20.30, ingresso libero e trasmissione in diretta su Radio Popolare. La serata si apre con un tributo a Elie Wiesel, premio Nobel per la pace (intervengono Cristina Frosini direttrice del Conservatorio, Ferruccio de Bortoli presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, Rav Alfonso Arbib rabbino capo della comunità ebraica di Milano, la giornalista Alessandra Farkas con una testimonianza su Wiesel). In programma, nel concerto successivo (Maria Laura Bertoli soprano, Vittoria Vimercati mezzosoprano, Lucas Moreira Cardoso baritono, Alessandro Tamiozzo tenore, Giuliano Guidone pianoforte, Marco Maggi violoncello) proprio il Kaddish di Kurt Sonnenfeld: chi lo ha ascoltato dice che è bellissimo, toccante. Seguono due brani di Darius Milhaud: Ani maamin: un chant perdu et retrouvée, su testo di Wiesel, e La nuit et Dieu se tait. Conclusione con i Lieder op. 79 su poesie popolari yiddish di Dmitrij Shostakovich.


 

 

 

In Tabernae Musica – Canzona per due canti/Sì dolce è ‘l tormento/Sentirete una canzonetta
Il Rinascimento degli aristocratici e quello del popolo: arie di danza, villanelle e passacaglie, ciaccone e canzonette, sublimi o quasi pecorecce. Nella tracklist di Sentirete una canzonetta (****) figurano Frescobaldi e Monteverdi, Tarquinio Merula e Andrea Falconieri. Loro sono l’ensemble In Tabernae Musica, un nome e un programma per un’esecuzione raffinata e per una ricerca che ha il coraggio di avventurarsi oltre l’accademia.


Misia – Garras dos sentidos/ Autopsicografia/ As time goes by
Amo il Portogallo e i portoghesi. Gli scrittori, i poeti, gli architetti, i pasticceri che fanno i pasteis de nata e il bolo do rei e i cuochi che preparano il bacalau. Gli intensi musicisti e cantanti, cantantesse soprattutto, che mettono le ali al fado. Misia, con Cristina Branco (sì, ci sono anche Mariza, Ana Moura, Mafalda Arnauth, Joana Amendoeira), è la più grande interprete del Novo Fado, che ha esplorato esaltandone l’attitudine teatrale (la si guardi nei video diretti da Patrice Leconte o nel documentario di John Turturro su Napoli) e la forza della parola poetica: per lei hanno scritto il Nobel José Saramago, si ascolti in apertura del disco Fado Adivinha II, e Antonio Lobo-Antunes, e lei ha interpretato Carlos Drummond De Andrade e Agustina Bessa-Luis (lo splendido Garras dos sentidos). Nonché l’immenso Fernando Pessoa, uomo-letteratura quant’altri mai con i suoi oltre venti eteronimi: qui si possono ascoltare Dança de magoas e la celeberrima Autopsicografia, la traduzione che vi propongo è del grande e amatissimo Antonio Tabucchi:

Il poeta è un fingitore
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.

Nata a Porto nel 1955, madre spagnola e padre portoghese, attiva da un quarto di secolo e approdata tardi al fado, Misia si è confrontata con la tradizione (Lagrima di Amalia Rodrigues per esempio, in una resa emozionante), con la canzone d’autore lusitana (Libertades poeticas di Sergio Godinho) e con le musiche affini: la chanson francese (qui il duetto con Iggy Pop in La chanson d’Hélène) e quella napoletana, il tango (Naranjo en flor, Yo soy Maria di Astor Piazzolla, bellissima), con escursioni nel Brasile (qui un suggestivo duetto con Maria Bethania) e persino blitz nel rock (Hurt). I quaranta brani della recente antologia Do primeiro fado ao ultimo tango (*****) offrono un ritratto sfaccettato di una cantante magnetica dal vivo (io la ricordo in un recital milanese al Piccolo Teatro di via Rovello) e incomparabile su disco.


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