Il cuore segreto di una donna che visse due volte

In Musica

Niente a che vedere con gli incubi di Hitchcock. Qui si parla della compositrice Melanie Bonis, orgogliosamente donna-artista

Andare alla scoperta di personalità artistiche del passato dimenticate può generare delle attese che possono essere deluse, soprattutto se alla base vi è un progetto forte come quello de L’altra metà della musica, che ha «lo scopo di presentare e diffondere la musica creata e composta da donne in epoche e paesi diversi»: il rischio è quello di promuovere, pur per una giusta causa, opere d’arte di basso profilo artistico. Fortunatamente non è stato il caso della conversazione-concerto La donna che visse due volte, che ruotava intorno alla figura di Mélanie (Mel) Bonis (1858-1937), compositrice francese che pochi eletti hanno avuto la fortuna di scoprire sabato 2 maggio alla Palazzina Liberty, grazie alle Cameriste Ambrosiane in versione da trio d’archi (Eleonora Matsuno, violino; Claudia Brancaccio, viola; Martina Rudic, violoncello), assieme alla pianista Maria Semeraro e al compositore Giovanni Albini per quanto riguarda il profilo storico-critico della compositrice.

Certamente la natura femminile di Mel Bonis ha ostacolato il pieno riconoscimento del suo talento; certamente la sua vicenda travagliata, quasi da romanzo – di donna, madre, amante, musicista – è toccante e per certi versi esemplare di un clima sociale e culturale che, si spera, sia oggi tramontato (andate a leggerla sul sito a lei dedicato, ne vale la pena). Ma la scoperta più interessante, in sintesi, è stata semplicemente questa: Mel Bonis è una compositrice vera, che merita di essere rivalutata, eseguita, ascoltata.

C’è un pensiero compositivo chiaro, infatti, che traspare anche a un primo ascolto delle sue composizioni, che mostra l’assimilazione di un modello che potremmo chiamare per comodità classico, unito a una sensibilità musicale che l’accomuna ai musicisti più significativi del tardo Ottocento francese, da cui era, a loro modo, rispettata e ammirata. Dico a loro modo perché, per esempio, Saint-Saëns dopo aver ascoltato il suo Primo Quartetto per pianoforte e archi in si bemolle maggiore op. 69 (interpretato con passione dalle interpreti durante il concerto dell’altra sera) disse: «Non avrei mai creduto che una donna potesse scrivere qualcosa del genere», complimentandosi suo malgrado.

E il Quartetto, al di là del fatto che a scriverlo sia stata una donna o un uomo, è veramente notevole. Tutto sgorga, in ogni movimento, da idee musicali essenziali, che vengono costantemente sviluppate in un dialogo continuo e mai scontato tra pianoforte e archi, creando sonorità che trascolorano continuamente da paesaggi idilliaci a oniriche visioni, sia nel primo movimento, Moderato, forse il più tradizionale dei quattro, sia nel misterioso Intermezzo, ma anche nel più lirico terzo movimento, Andante; anche se è nel Finale che la Bonis sprigiona tutta la sua creatività e il suo lato drammatico.

E alla fine dell’ascolto, come per ogni artista di un certo spessore, viene spontaneo domandarsi: cosa ha ispirato quelle note? cosa c’è dietro quella vita? E se la musica non ci può dare le coordinate biografiche (che alla fine non sono poi così significative) certo può suggerirci la traiettoria di un cuore e del suo desiderio: e il cuore segreto di Mel Bonis ancora palpita nelle sue note.

Alla Palazzina Liberty, La donna che visse due volte, Musiche di Mel Bonis, Le cameriste ambrosiane

Foto: Giovanni Boldini, Donna al piano, 1871-1879