Non si può abbattere il capitalismo? Rapiniamo almeno la mafia

In Cinema

Il canadese Denys Arcand torna quindici anni dopo “Le invasioni barbariche” sul luogo del delitto (è il caso di dirlo): perché in “La caduta dell’impero americano” racconta come un dottore in filosofia, autista di camion per sopravvivere, metta da parte ogni scrupolo filosofico-politico fuggendo con due valigie di banconote sottratte alla criminalità. A metà tra noir e pamphlet sociale (e socialista), il film mescola suspense, ironia e impegno grazie a un cast collaudato, in testa Pierre Curzi e Remy Girard

Carico di cinismo sardonico, spirito ironico, idealismo con sfumature socialiste, a metà tra un film noir e una commedia, La caduta dell’impero americano di Denys Arcand è una divertente riflessione sugli eccessi e l’amoralità del capitalismo. Nonostante il titolo, il nuovo film non ha nulla a che fare con il declino dell’impero americano, il film che nel 1986 ha reso famoso Arcand al pubblico internazionale, mentre condivide alcune tematiche col successivo suo Oscar, Le invasioni barbariche (2003), nel suggerire per esempio come, in tempi di crisi, anche un socialista irriducibile possa apprezzare l’idea di avere un grande somma di denaro a disposizione.

La caduta dell’impero americano è un lavoro incentrato su preoccupazioni contemporanee, come il divario in continua espansione tra ricchi e poveri, gli sforzi delle reti di sicurezza sociale e la corruzione o l’incompetenza della polizia, dei leader politici e degli altri difensori dello status quo. All’inizio è difficile “scaldarsi” con il protagonista Pierre-Paul Daoust (Alexandre Landry), che si presenta insoddisfatto contro la stupidità di chiunque: quando gli viene chiesto di spiegare l’elezione di Donald Trump risponde con: «Gli imbecilli adorano i cretini». E quando si lamenta che, nonostante abbia un dottorato di ricerca in filosofia, è (sotto)occupato come autista per un servizio di corriere di Montreal, non si può fare a meno di chiedersi quanto poco accattivante sia stato durante i colloqui per altri lavori.

Eppure Pierre-Paul beneficia enormemente di essere nel posto sbagliato al momento giusto: quando, durante uno dei suoi turni di consegna, si presenta durante una rapina in un negozio dove i soldi della mafia vengono depositati in una cassaforte sul retro. Dopo la sparatoria, ma prima dell’arrivo della polizia, Pierre-Paul riesce a rubare, da solo, due borsoni pieni di soldi e a lanciarli nel suo furgone. Tutto ciò può sembrare un’impostazione tipica da film noir, impressione rafforzata dall’introduzione di altri due personaggi chiave, Aspasie (Maripier Morin), una prostituta che Pierre-Paul chiama principalmente perché il suo annuncio online sfoggia una citazione di Racine – sì, è così snob – e Sylvain (Remy Girard, abituale collaboratore di Arcand), un robusto motociclista che ha studiato l’alta finanza durante un suo periodo in carcere, comprensibilmente sospettoso quando viene avvicinato per un consiglio d’investimento da un uomo che cita filosofi e ha una pila di contanti enorme.

A poco a poco, tuttavia, i tradizionali elementi del genere sono oscurati e La caduta dell’impero americano emerge come una parabola sul fare le cose sbagliate per le ragioni giuste, in un mondo così corrotto che persino i potenziali santi e angeli scelgono di trarre profitto (materialmente e spiritualmente) dall’essere peccatori. Come spesso accade, tutto si riduce ad avere amici nei posti “giusti”. In questo caso, i tre personaggi principali fanno affidamento su Wilbrod Taschereau (Pierre Curzi), uomo di finanza altamente rispettato e spacciatore assolutamente privo di scrupoli; in poche scene, che descrivono l’abilità esercitata da Taschereau nello spostare il denaro qua e là attraverso i continenti senza essere tracciato, Curzi, attore abituale di Arcand, conquista senza sforzo il controllo del film con molta sicurezza.

Il tutto, inciampa un po’ mentre si avvicina al traguardo. Con un piede bloccato nella realtà e l’altro in una fiaba socialista in cui tutti sono felici di condividere la ricchezza e risolvere i loro problemi, è inevitabile che La caduta dell’impero americano sia un po’ traballante: non è abbastanza stilizzato per essere un noir di rapina, né abbastanza serio per essere una condanna furiosa del capitalismo. Ma le prestazioni degli interpreti sono così piacevoli che è facile perdonare questa ricerca di compromessi. Anche perché il film riesce comunque a conservare il suo equilibrio nel camminare sulla linea sottile tra speranza e ingenuità. Un cucchiaio di zucchero aiuta la medicina a scendere, e mentre il regista non ha necessariamente una cura per ciò che affligge il Canada moderno, La caduta dell’impero americano fa almeno un buon lavoro di diagnosi dei suoi mali.

La caduta dell’impero americano, di Denys Arcand, con Alexandre Landry, Maripier Morin, Remy Girard, Louis Morissette, Maxim Roy, Pierre Curzi, Vincent Leclerc, Yan England, Anoulith Sintharaphone, Florence Longpré

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