Sesso, tennis e femminismo

In Cinema

Jonathan Dayton e Valerie Faris, già autori anni fa del delizioso Little Miss Sunshine, raccontano l’epica sfida, da 90 milioni di spettatori tv, che nel 1973 mise di fronte due campioni dalle idee e dallo stile contrapposti: la 29enne Billy Jane King (cui dà volto e anche braccio tennistico un’ottima Emma Stone) e il 55enne Bobby Riggs (Steve Carell, irresistibile gigione quanto il suo personaggio era), che come lei, ma una trentina d’anni prima, era stato eroe di Wimbledon e del Grande Slam. Non è solo una sfida tra atleti e generazioni: Billy ha sfidato con piglio femminista la federazione americana, rea di pagare troppo poco le signore del green, Bobby è il numero uno di un maschilismo già un po’ declinante, convinto di essere sempre e comunque superiore a qualsiasi donna

Visto da lEi: il coraggio di billy jean in un bel film troppo “correct”

La “Battaglia dei sessi” è una competizione di tennis che si tenne nel 1973 a Huston, in Texas, tra Billy Jean King, che aveva appena vinto l’US Open e Bobby Riggs, un campione di Wimbledon che nel ’39 era arrivato a essere il numero uno nel mondo. All’epoca del match Rings aveva 55 anni ed era un simpatico cazzone sciovinista con una forte tendenza a scommettere su qualsiasi cosa. Di contro Billy Jean King ne aveva 29, e si era scoperta una forte coscienza femminista, un’alta opinione di sé e una sessualità in divenire. Insomma, è chiaro che non potevano esistere due persone più diverse fra loro, ed è per questo che il match ebbe una così grande risonanza: 50 milioni di americani si misero davanti ai televisore per seguirlo e altri 90 milioni lo fecero nel resto del mondo.

Quarant’anni dopo su quella storia Jonathan Dayton e Valerie Faris, i registi di Little Miss Sunshine ci hanno fatto un film, intitolato pedissequamente La battaglia dei sessi, in cui Billy Jean è interpretata da Emma Stone e Bobby da Steve Carrell. E cominciamo col dire che il film è super gradevole. La Stone è brava, Carell gigioneggia ma pare che Riggs fosse proprio così e quindi c’è poco da fare. Attorno a loro una serie di attori che fanno molto bene, a partire da Bill Pullman, passando da Andrea Riseborough, Sarah Silverman e Alec Cumming, fino a una splendida Elisabeth Shue in gran spolvero. Poi c’è tutto il resto: ritmo, scene etc. Insomma, lo sapete che gli americani quando vogliono quelle cose lì le sanno fare benissimo.

Quali sono le cose che lasciano a desiderare? Bè, le stesse cose che, quando vogliono, gli americani sanno fare maluccio. E cioè, quando fanno la morale, a volte la affogano nel politically correct, e diventa scontata e superficiale. È questa la parte più zoppa del film (anche se, ripeto, non toglie niente alla sua gradevolezza). Si parla di femminismo, di disparità nei compensi, di sciovinismo, di omosessualità, ma niente è approfondito o contribuisce a dare un carattere più concreto ai protagonisti. L’intera faccenda del match nasce dal rifiuto della King e delle sue compagne tenniste di farsi pagare anche otto volte meno dei loro compagni maschi (da 12mila a 1500 dollari), con la scusa che i giocatori maschi erano più forti e garantivano maggiore spettacolo. Da questo rifiuto nasce l’Associazione di tennis femminile, e nel film assistiamo a questo cambiamento, ma paradossalmente le tenniste sono quasi trasparenti, mostrate, come sono, soprattutto dal parrucchiere o a provare divise da tennis colorate.

Billy Jean King, all’epoca sposata da quasi dieci anni a Larry King (non quel Larry King, il famoso commentatore televisivo americano) incontra appunto una parrucchiera e nello spazio di pochissimo tempo le due diventano amanti. Inutile dire che questa Marilyn, oltre che bella, è anche “libera” e comprensiva, e tutto fila liscio. Il che appare bizzarro o quantomeno inverosimile nel 1973, considerando anche che il marito della King veniva da una famiglia di rigidi metodisti. Non ne parliamo quando il personaggio di Alec Cumming, l’ovvio e stereotipato stilista gay delle tenniste, pronuncia la frase ovvia e stereotipata “I tempi cambiano. Proprio tu lo dovresti sapere, perché li hai appena cambiati. Un giorno saremo liberi di essere chi siamo e di amare chi amiamo.” Olé. Insomma, in queste cose il film non dà il suo meglio.

Rimane comunque una pellicola godibilissima, con un appassionante finale sul campo da tennis in cui alla fine ci chiediamo se sia stato davvero uno scontro fra sessi diversi o semplicemente fra età diverse, il vecchio Riggs e la giovane King. Il film sembra quasi suggerirlo, quando sottolinea che Riggs non si allenava e si calava ogni genere di pastiglia consigliata da un sedicente medico (il solito, delizioso Fred Armisen). Insomma, andate a vedere il film, godetevelo e non pensate ad altro. È un consiglio.

Visto da lui: ma in fondo Anche bobby cercava di riscattarsi

Quando sentiamo parlare di film sullo sport, ci viene da pensare soprattutto al pugilato o alle arti marziali; in pochi pensano al tennis. Eppure La battaglia dei sessi, tratto da una storia vera, dimostra che si può fare un buon racconto anche su sport poco violenti. Billie Jean King fu la prima donna a vincere oltre 100.000 dollari per una partita, ma entrò in contrasto con la federazione americana che aveva deciso di pagare le tenniste molto meno degli uomini. Assieme a molte altre atlete decise di organizzare un torneo femminile indipendente da quello ufficiale, e in questo periodo accettò anche la sfida di Bobby Riggs.

Prima però, occorre capire il contesto in cui si sono svolti i fatti: il movimento femminista era appena nato, e in America veniva approvato il Titolo IX della costituzione, che sanciva la parità di diritti tra maschi e femmine. Purtroppo, i diritti teorici e quelli pratici restavano molto distanti, poiché le donne erano ancora molto meno valorizzate degli uomini e non potevano avere una loro carta di credito. È questo il mondo in cui Billie conduce la sua battaglia per l’uguaglianza di genere, che la porterà a misurarsi con Riggs per dimostrare che le donne posso fare altro oltre a stare in cucina e badare ai figli.

Ma quello che viene approfondito in questo film non è solo lo sfondo storico-sociale, c’è anche la vita personale dei due protagonisti, entrambi personaggi a tutto tondo: Billie, infatti, nel corso della storia arriva a scoprire la propria omosessualità quando si innamora della dolce Marylin (Andrea Riseborough), il che la porterà a sentirsi in colpa verso il fedele marito Larry (Austin Stowell) e a trascurare temporaneamente i suoi obiettivi. Bobby, invece, è un giocatore d’azzardo patologico che a causa della sua dipendenza rischia di perdere la moglie e il figlio più grande; per lui quella contro la King non è una semplice partita, ma un’occasione per riscattarsi.

Vinto l’Oscar per La La Land, la Stone rimane sempre in ottima forma, come attrice e pure come tennista. Stesso dicasi per Carell, il quale interpreta al meglio un personaggio che, con i suoi difetti, è molto più simpatico dell’allenatore psicopatico di Foxcatcher. Nello stesso modo in cui i protagonisti si passano la palla, la sceneggiatura passa da momenti più a meno divertenti, mentre i coniugi Dayton e Faris, dopo una lunga carriera trascorsa a dirigere videoclip, fanno un buon lavoro anche nel loro terzo lungometraggio, e lo spettatore non si accorge dello scorrere del tempo.

Forse è da ingenui sperare che questa e altre opere possano diffondere la passione per lo sport tra i giovani di entrambi i sessi; ma se c’è una cosa che questo film insegna, è a non scoraggiarsi di fronte a una partita che sembra persa in partenza.

La battaglia dei sessi, di Jonathan Dayton e Valerie Faris, con Emma Stone, Steve Carell, Andrea Riseborough, Austin Stowell, Sarah Silverman, Martha MacIsaac, Elisabeth Shue, Natalie Morales