Kiss me, Kate a Ravenna: our heart belongs to Cole Porter

In Musica

Il capolavoro del grande compositore statunitense è andato in scena al festival ravennate come esempio sublime dell’importanza della musica americana del Novecento. Lo spettacolo prodotto da Opera North riesce a sfruttare tutto il potenziale teatrale del musical

“Brush up your Porter”, non solo “your Shakespeare”. Il Ravenna Festival, dedicato quest’anno alla musica americana, ha concesso tre giorni di ripasso, appunto, di uno dei più grandi compositori del Novecento, americani e non. Kiss me, Kate – prodotto da Opera North, già visto a Leeds e a Londra – è l’irresistibile, non incasellabile capolavoro di Cole Porter, andato in scena nel 1948 con libretto di Bella Cohen e Samuel Spewack e versi geniali dello stesso Porter, che con virtuosismi di rime e allitterazioni, oltre a sofisticati doppi e tripli sensi, rende a Shakespeare uno degli omaggi più riusciti di ogni tempo.

Punto di partenza è La bisbetica domata, commedia giovanile shakespeariana per niente politically correct, che qui si incastra in un gioco di teatro nel teatro, spettacolo nello spettacolo, musical nel musical: follia di Broadway con partitura che intreccia sacro e profano – in edizione critica a cura di David Charles Abell e Seann Alderking. Hit popolari, numeri jazz, struggimenti da operetta, citazioni verdiane – addirittura il Miserere del Trovatore, très chic – e melodie non solo orecchiabili come per un classico “standard”, ma dallo slancio inventivo shubertiano, belliniano, insomma da opera vera e propria. Basta pensare all’aderenza tra testo poetico e musicale in arie come “So in love” o “Were thine that special face”.

Altrettanto stupefacente è il divertimento metateatrale, la vivace costruzione drammaturgica a più piani del musical: dalla coppia in crisi che deve prendere parte a una commedia musicale sulla Bisbetica, alla commedia stessa – che già Shakespeare aveva pensato come rappresentazione di secondo grado davanti agli occhi sbronzi del povero Sly –, ai gangster da vaudeville che si mettono in mezzo come per Lemmon e Curtis in A qualcuno piace caldo o per tutte le pallottole su Woody a Broadway.

kiss me kate
© Silvia Lelli

Questa costruzione multimediale non dà un attimo di tregua, ma non nel senso di un facile intrattenimento. Scena dopo scena ci si accorge che Kiss me, Kate non ha nulla del musical “gastronomico”: Porter ha saputo creare uno spietato dispositivo di critica della morale borghese, solo senza mai alludervi esplicitamente, senza nessuna retorica. Dal divorzio facile, agli amori infedeli o fedeli a modo proprio (“Always true to you in my fashion”), al catalogo dongiovannesco di Petruchio, madamina, che dà nuovi, scandalosi significati “to the leaning tow’r of Pisa”: i song di Porter si rivelano tanto più raffinati quanto più si illuminano di oscenità e sconcezze. Forse solo Mozart, nelle Nozze di Figaro, era arrivato a una sfacciataggine tanto dissacrante e sublime al tempo stesso.

Insomma “My heart belongs to Porter”, soprattutto se viene presentato in uno spettacolo che sfrutta in modo intelligente il potenziale teatrale di Kiss me, Kate: le serrate coreografie di Will Tuckett che scaldano l’atmosfera in “Another op’nin, another show” e “Too darn hot”, l’accurata regia di Jo Davies che chiarisce sia intrighi di affari e cambiali falsificate sia le innumerevoli baruffe amorose.

Ottimo il cast, soprattutto l’olandese Quirijn de Lang, baritono alla Almaviva con tutti i registri interpretativi: un Petruchio sempre espressivo e se serve anche gigione, oltre che tecnicamente ineccepibile. Buona prova di Stephanie Corley, una Kate forse più corretta che bisbetica, mentre la sorella minore Bianca di Zoë Rainey è tutt’altro che dolce e tranquilla, vista la verve con cui sa gestire le continue riprese della sua aria. Le scene di Colin Richmond richiamano gli affreschi fiorentini di Benozzo Gozzoli. James Holmes dirige con brio e consapevolezza l’orchestra di Opera North attraverso gli eleganti passaggi di registro di Porter, che nel suo inarrivabile snobismo sapeva accostare e far funzionare insieme antiche pavane e rutilanti ritmi jazzistici.

Fotografie © Silvia Lelli