Internet ha 30 anni e l’autore muore (beh quasi…)

In Letteratura, Weekend

Da Paulo Coelho a Wu Ming, dalle molteplici gemmazioni di Matrix alla fandom di Star Wars, da Michela Murgia a Tommaso Pincio come si ampliano, si modificano, interagiscono gli universi narrativi, gli autori e i fruitori ai tempi della rete e dei social. Tra brand e attivismo, l’intellettuale se la vedrà sempre di più con l’algoritmo

Il 30 aprile 1986 a Pisa partì il primo collegamento internet d’Italia. Quello stesso pomeriggio qualcuno, in America, stava probabilmente leggendo Count Zero di William Gibson, secondo volume della Trilogia dello Sprawl, caposaldo cyberpunk. Qui si connettevano i primi cavi, lì degli hacker combattevano per il controllo di una nuova, potentissima tecnologia. È il Matrix prima delle sorelle Wachowski.

Un paio di anni dopo, Casaubon, protagonista de Il pendolo di Foucault di Eco, ha una relazione non del tutto pacifica con il nuovo calcolatore elettronico della casa editrice con cui collabora. Mai avrebbe immaginato che, un giorno, gli autori pubblicati da quella stessa casa editrice (e da tutte le altre) sarebbero finiti proprio dentro quella strana macchina. Figuriamoci se qualcuno gli avesse detto che avrebbero iniziato anche a parlare con i propri personaggi: la Cabala e i Rosacroce gli sarebbero sembrati cose abbastanza ordinarie.

Se Michela Murgia con il suo Chirù non interagisce, il rapporto fra Tommaso Pincio e Ligeia Tissot ha un vago sentore d’incesto. Ligeia Tissot è la protagonista femminile di Panorama, l’ultimo romanzo di Pincio. E il profilo facebook di questa ragazza sembra quasi una protesi del libro: Ottavio Tondi e Ligeia hanno una virtuale storia d’amore per quattro anni, attraverso le onde invisibili di un social network, che dà il titolo al romanzo. Dal Panorama a Facebook, Ligeia continua a mettersi a nudo, racconta di sé, del suo ultimo tatuaggio, le sue riflessioni sulle relazioni di coppia. E con lei interagisce Pincio, i lettori, ma anche altri scrittori, fra i like di Giuseppe Genna e i commenti di Paolo Sortino.

Questo che potrebbe sembrare soltanto un gioco (o un esperimento commerciale) è in realtà il sintomo di una più diffusa tendenza della letteratura al tempo di internet e dei social network. L’opera non si esaurisce più in se stessa, continua una vita, spesso propria, per mano dei fan. E autori, persone reali e personaggi arrivano spesso a mescolarsi in uno strano Matrix.

«Questo entra-e-esci dalla realtà alla finzione», scrive Stefano Calabrese in Anatomia del best-seller, «è favorito attualmente dai social». Mai come in questo momento gli autori pretendono di mescolarsi con i personaggi delle loro finzioni o mimetizzarsi nel pubblico dei lettori, nella misura stessa in cui i lettori divengono a propria volta autori e danno luogo a fan fiction e contribuiscono a continuare a espandere e tenere in vita l’universo narrativo.

Se non è l’autore a muovere come un burattinaio il proprio personaggio virtuale, il lettore al tempo di internet si riserva il diritto di far parlare da solo i personaggi dei suoi romanzi preferiti, con fan-fiction e spin-off. Henry Jenkins in Cultura Convergente sostiene che oggi gli autori concepiscono la narrazione in termini di creazione di aperture alla partecipazione dei consumatori. I consumatori, da parte loro, rivendicano il diritto di partecipare alla definizione della loro cultura nei loro termini e nelle loro modalità.

Alcuni critici – gli “apocalittici” – lamentano la poca attenzione alla scrittura che i prodotti delle fandom fanno circolare sulla rete, la sgrammaticatura delle frasi, la morfologia sbagliata, la sintassi non sempre corretta. Certo, rispondono gli “integrati”, ma la rete fa sviluppare la capacità di problem solving collettivo, il dibattito pubblico e la creatività grassroots.

Forse sarebbe più giusto dire che nella rete si trovano tanto esempi virtuosi, quanto viziosi. The Sugar Quill è uno dei più importanti siti di fanfiction su Harry Potter, ogni storia pubblicata viene prima sottoposta a beta-lettori per un processo di revisione fra pari: i fan chiedono consigli sulle bozze dei loro lavori quasi completi in modo da migliorarne la stesura finale. Il sito nasce proprio con lo spirito di creare un posto dove gli autori di fan fiction possano confrontarsi e crescere assieme per migliorare il proprio modo di scrivere.

Al di là dei risvolti pedagogici, interessa notare come l’opera non sia più strettamente legata al suo autore, ma si presta a rielaborazione e ampliamenti da parte dei fruitori: Cinquanta sfumature di grigio è uno spin off di Twilight pubblicato in una prima versione su un sito di fan fiction.

Pensiamo al caso di Sherlock Holmes: la sua storia e il suo personaggio sono il frutto di un universo narrativo che si è allargato nel corso di decenni grazie a quelli che, prima ancora di essere autori, sceneggiatori, registi, erano in primo luogo dei fan.

Grazie a Internet questo processo si è incredibilmente velocizzato e bastano pochi mesi perché si crei una fandom che inizia ad appropriarsi dell’opera. Entra, così, in crisi il concetto stesso di autore, che diventa così un soggetto plurimo e partecipativo, cade la barriera classica che separa autore e lettore. Alla fine degli anni ’60 Roland Barthes sanciva la morte dell’autore. A dargli il colpo di grazia, però, sono stati il franchising e Internet.

Con il franchising nasce un modello autore di co-creazione, più partecipativo. L’universo narrativo di Matrix si amplia e approfondisce anche attraverso i corti animati di The Animatrix, serie di corti di novanta minuti realizzati da famosi autori giapponesi, americani e sudcoreani come Peter Chung, Yoshiaki Kawajiri, Koji Morimoto. Ci sono i fumetti di The Matrix, scritti e disegnati da autori del calibro di Dave Gibbons, Peter Bagge e Paul Chadwick (che ha anche co-sceneggiato il video gioco massive multiplayer basato sulla saga). David Perry ha prodotto Enter the Matrix. Possiamo ancora dire che gli autori di The Matrix sono le sorelle Wachowski?

Prendiamo ora Star Wars: George Lucas in Love (1999) – forse la parodia più nota della saga – ha venduto, nella prima settimana di uscita, più del DVD di Star Wars Episode I: The Phantom Menace. Il mito di Star Wars nasce, insomma, grazie al lavoro dei fandom nel processo di ampliazione dell’universo narrativo.

È chiaro che non si può sottovalutare e non considerare l’importanza del fruitore nel processo di costruzione di un’opera. All’inizio, il computer si limitava ad accrescere le opportunità di interazione degli utenti con i contenuti. In seguito il web è divenuto uno spazio partecipativo per il pubblico, comprendente anche approcci non previsti e non autorizzati verso i contenuti. Secondo il teorico Pierre Lévy, la distinzione fra autori e lettori, produttori e spettatori, creatori e interpreti si confonderà, per formare un circuito di espressione, in cui ogni partecipante è impegnato a sostenere l’attività degli altri. L’opera diventa un “attrattore culturale”, un prodotto che unisce diverse comunità, stimola attivamente alla sua interpretazione, esplorazione ed elaborazione.

Se quello che qualifica un autore è la sua opera, e questa è percepita come il suo patrimonio, l’opera compartecipativa, appropriata dai suoi lettori, modificata, ampliata, riscritta, estesa, mina lo statuto della sua autorialità alle basi. È così che l’autore tenta di riappropriarsi del proprio statuto, della propria opera, affermando con forza la propria presenza, la propria individualità. Nel momento in cui l’opera si trova a vivere di vita propria, l’autore inizia a vendere se stesso. È affetto dalla sindrome di Belen, in un sistema di marketing del sé, si fa auto-imprenditore, aspirando alla conquista dell’aura, dell’autenticità del Soggetto in quanto creatore di se stesso, merce circolante sul mercato dove collocare il nome, marchio, brand o logo.

Nel suo recente rapporto dal titolo L’écrivan Social, Frédéric Martel sostiene che lo scrittore sociale è quello che costruisce attorno a lui una comunità, ingaggia la conversazione con i suoi lettori grazie ai social media. Diventa un brand. Quella di Martel però non è una critica: le sue sono piuttosto delle ipotesi su come rendere sostenibile il lavoro di scrittore, e sfruttare i social media per la creazione di un brand fa parte di queste.

Paulo Coelho rappresenta il tipo di autore esemplare che si sta delineando in queste righe: da un lato ha fatto di tutto per imporsi come Autore con la A maiuscola, dall’altro ha fatto in modo che i suoi lettori si sentissero anch’essi autori con la minuscola e rendendoli partecipi di quella che Stefano Calabrese chiama la “SPA che la sua opera costituisce”. Il brand Coelho non ha nulla da invidiare a Madonna: semmai il contrario. La pagina Facebook dell’autore sudamericano conta circa 28milioni di like, ben 10.000.000 in più di quelli della Material Girl.

Uno scrittore che inneggia dall’inizio alla fine della sua carriera alla “condivisione emotiva” non poteva non fare dei social media una risorsa di mercato, e in effetti utilizza il web in modo straordinariamente efficiente, talvolta mettendo on line gratuitamente i propri libri, per consolidare il mito della condivisione emotiva: una perdita economica iniziale sul cartaceo degli editori, ma recuperata subito in termini di brand autoriale.

Certamente non si esaurisce qui la tipologia dello scrittore al tempo dei social network. Ci sono anche quelli che cercano di usare questi nuovi mezzi di comunicazione per costruire un discorso di tipo culturale e non semplicemente per vendere libri. Penso per esempio all’uso che fa di Twitter la Wu Ming Foundation dove davvero cerca di instaurare un dibattito costruttivo e serio con i lettori (non tanto dei loro romanzi, quanto del loro blog): sono ritwittati anche i commenti degli utenti su Giap, per proporre un’idea di cultura partecipativa e dialettica, nonché un uso dei social media virtuoso.

Il rapporto dello scrittore con la realtà di internet si fa davvero uno dei terreni su cui confrontarsi nell’immediato (e su cui ci si sta confrontando). Se, come dice Martel, il rapporto con gli algoritmi è quello che condizionerà la vita intellettuale del futuro prossimo, auspicando a un modello collaborativo fra uomo e algoritmo (che chiama “smart curation”), non stupirà se nei prossimi giorni, mesi e anni ci saranno sempre più personaggi di finzione fra i nostri contatti facebook, e potremmo interagire sempre di più con gli autori che leggiamo quotidianamente. Speriamo solamente di incontrare più Ligeie Tissot e meno alchimisti.

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