L’irresistibile ascesa degli impressionisti

In Arte

Da anni, le esposizioni dedicate alla pittura impressionista si moltiplicano e garantiscono ovunque notevole successo di pubblico: i nomi noti degli artisti assicurano l’alta affluenza, a prescindere dal valore e dal senso dell’esposizione. Cosa affascina tanto di questa schiera di pittori e del loro approccio artistico?

 

Quando all’indomani di quella mattina del 15 aprile del 1874, il critico Louis Leroy definì una “giornata tremenda” quella trascorsa a visionare la prima mostra di quel gruppo di giovani pittori sfidanti il Salon ufficiale, ancora non poteva sapere quanto invece circa 140 anni dopo, il solo nome di quegli artisti “impressionisti” avrebbe richiamato nei musei e nelle gallerie frotte e frotte di visitatori.

Cosa sia accaduto nella critica e nel pubblico da quel giorno in cui le tele degli impressionisti vennero liquidate negativamente come un “insieme caotico, come di indecifrabili raschiature di tavolozze”, per dirla con Ernest Chesneau, giornalista del Paris-Journal, alla metà del secolo scorso, quando un’ondata di entusiasmo ha riabilitato giustamente l’opera di questa baldanzosa schiera di artisti, è sicuramente affascinante sapere. E ancor di più lo sarebbe comprendere le motivazioni che spingono ancora oggi milioni di visitatori innamorati dei dipinti ottocenteschi ad affollare le sale delle esposizioni destinate al gruppo degli artisti francesi. In poche parole, perché le mostre dedicate all’Impressionismo rappresentano un sicuro successo di pubblico?

La locandina della prima mostra degli Impressionisti, nel 1874

Si deve partire da un dato oggettivo, anzi due. Innanzitutto va considerato come le mostre sull’impressionismo fioriscono negli ultimi anni sempre più numerose, da nord a sud dello Stivale, anche se spesso di ‘impressionista’ conservano quasi il solo titolo che con sapiente destrezza commerciale campeggia su grandi cartelloni pubblicitari. Evidentemente risulta chiaro che la sola parola di per sé già basti a chiamare a gran voce a raccolta le schiere di appassionati, studiosi, esperti, artisti, amatori e fans di ogni genere e paese, come fosse una formula magica, un incantesimo collettivo dai risultati certi.

E in secondo luogo va subito sottolineato come tali mostre in effetti sbanchino ai botteghini, brillando sui podi delle liste delle top 10 tra le esposizioni più seguite dell’anno. Considerazione che va a braccetto con la constatazione che, in generale, tra i musei più visti nel mondo, quelli che al loro interno ospitano opere impressioniste risultano sempre ai primi posti (vedi il Musée d’Orsay di Parigi, l’Ermitage di San Pietroburgo o la National di Londra).

Vignetta pubblicata sulla rivista satirica francese Le Charivari nel 1877

E allora, da dove nasce tanto sincero e diffuso trasporto per queste opere? Tentiamo una riflessione cercando di individuare alcune possibili risposte. La prima che balza immediata nella mia mente non può che essere il colore. Nelle tele impressioniste tutto è colore, anche le ombre: colori luminosi, vividi, abbacinanti, colori conquistatori. Il loro colore non lascia indifferenti, ma seduce la vista che se ne sente irrimediabilmente e perdutamente catturata. La stesura di quei colori sulla tela non nasceva del resto casualmente: gli artisti potevano contare sugli studi di Chèvreul sui complementari contrastanti diffusi già dagli anni ’60, che contribuivano a conferire ai quadri quel movimento cromatico e quell’immediatezza tanto ricercata.

In più, concorrevano a esaltare le pennellate energiche e luminose di colore anche alcune innovazioni tecniche come i nuovi pigmenti sintetici, decisamente più brillanti, e l’invenzione del tubetto di metallo, ideato nel 1841, che, sostituendo i vecchi sacchetti di vescica di maiale, permetteva di conservare i colori a olio senza che seccassero velocemente. La qual cosa ebbe immediati impatti positivi sulla possibilità di trasportare ovunque i colori fuori dall’atelier per realizzare le proprie opere a diretto contatto con la natura. Ecco perché Renoir osservò che “senza i tubetti di colore non ci sarebbero stati Cézanne, Monet, Sisley o Pisarro, niente di ciò che i giornalisti avrebbero chiamato Impressionismo”.

Di fronte a quella caleidoscopica esplosione di colore che a larghe pennellate viene sparso, non più mescolato sulla tavolozza, ma ricompattato direttamente sulla tela, ci si immerge, ci si perde, per poi ritrovarsi in una visione globale sempre accattivante e assai gradevole.

“I Turchi acquistano numerose tele all’esposizione degli Impressionisti per servirsene in caso di guerra” Vignetta pubblicata sulla rivista satirica francese Le Charivari nel 1877

E poi c’è la luce. Luce mattutina, luce calda al tramonto, luce confusa al pulviscolo del vapore di una stazione, luce che si perde nella nebbia o nelle gocce di pioggia, luce che filtra dal fogliame di un bosco, luce diffusa dalle distese di neve bianca, luce che si riflette nel mare o nei fiumi in mille iridescenze abbaglianti. Luce protagonista indiscussa di ogni opera impressionista. Quella luce che, partendo dal disco solare che sembra balzare fuori dalla tela di Monet esposta per la prima volta nello studio di Nadar, contribuisce a dare quell’impression vivida di vita che ancora oggi non smette di stupire.

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il metodo nuovo e di rottura rispetto al tradizionale lavoro in atelier messo in atto dal gruppo dei francesi, ovvero il lavoro en-plein-air, a diretto contatto con quel mondo naturale di cui si voleva catturare per sempre l’impressione. Loro, i pittori, ne erano ben consapevoli. Monet ha dichiarato: “Non ho mai avuto un atelier, e non capisco come qualcuno possa rinchiudersi in una stanza”.

Sicuramente i temi trattati giocano un ruolo molto importante sul grado di piacevolezza delle opere. Vengono ritratti temi borghesi, temi di vita quotidiana, gente comune impegnata nelle vicende quotidiane, occasioni festose, routine, svaghi, lavori e ozi, con un evidente squarcio sulla vita privata di fine Ottocento.

Pettinature, abiti, mobilio, gioielli, accessori, tutto fa bella mostra di sé. Quei pittori, poeti di un presente declinato in ogni sua forma, non tralasciano nulla al caso. Poche, rapide, essenziali pennellate riescono a ritrarre tutto un mondo di cose che essenziali non sono. Ma che permettono allo spettatore, di qualunque epoca, di immedesimarsi, di subire un istantaneo coinvolgimento, di calarsi letteralmente nella realtà del periodo.

Studiare sul posto la storia materiale di quella fase storica. O  viaggiare con la mente nella Francia di fine 800, sognare di trovarsi lì: non solo Parigi, ma anche Argenteuil, Vétheuil, Honfleur, Etretat, Le Havre, Rouen. Evasione, forse fiaba, sicuramente qualcosa che difficilmente si dimentica.

Coda alla mostra Storie dell’Impressionismo al Museo di Santa Caterina di Treviso

Ma penso che un forte effetto sul gradimento del vasto pubblico abbia da sempre giocato la nomea degli artisti, prima ancora che delle opere, che precede le esposizioni a loro dedicate. A seguito di quella prima mostra, che fece scandalo, che destò polemiche e critiche senza fine, per delle tele che apparivano incomplete, abbozzate e indecorose, i pittori impressionisti iniziarono ad essere derisi, fatti oggetto di giudizi e rimproveri di vario genere, divenendo così il simbolo stesso dell’anticonformismo e della ribellione alle ferree regole imposte dai canali ufficiali.

Sfidando il mercato e le sue rigide imposizioni, entrando apertamente e volutamente in contrasto coi dettami stabiliti dai circuiti del Salon, incarnarono per primi, e per sempre, anticipando quanto avverrà in maniera diffusa tra le Avanguardie di inizio 900, l’icona dell’artista controcorrente, in rivolta, maledetto, perché fuori dalle regole, perché fedele alle norme dettate solo dal proprio bisogno di dipingere. Sebbene sappiamo che non sempre e per tutti fu così, l’idea romantica dell’artista impressionista ha finito per sopravvivere alla realtà storica, giungendo intatta fino a noi, alimentando di fascino le loro opere, ogni qual volta vengano mostrate al grande pubblico.

Se queste caratteristiche rendano la pittura impressionista piacevole per molti, anche non intenditori o studiosi, se tale fascinazione risulti alla fine facile e poco impegnata e quindi chiaramente abbordabile per diversi tipi di pubblico, anche i meno colti, al di là della considerazione che possa essere un giudizio più o meno vero (molto ci sarebbe da rifletterci), condiviso per la verità da parte della critica, credo che nulla tolga anzi esalti le qualità direi di ‘rapimento’ collettivo di cui godono gli impressionisti.

La loro pittura piace, è un fatto incontrovertibile. E demonizzare parte dello loro scelte risulta, oltre che antistorico, anche a mio avviso immotivato. L’unica strada è, come sempre, vedere, osservare, leggere le testimonianze sempre attualissime di quella stagione artistica.

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