L’Italia secondo Emma Hart

In Arte

Emma Hart è una giovane artista britannica. Nel 2015 ha vinto il Max Mara Art Prize for Women: in palio c’era anche una residenza di sei mesi in Italia. Ora l’artista ha provato a raccontare quell’esperienza in una bella mostra.

Escludendo forse le varie parolacce, si potrebbe dire che Mamma Mia! sia l’esclamazione italiana più famosa all’estero, abbastanza buffa e conosciuta da essere utilizzata come titolo di una delle più celebri canzoni pop degli anni Settanta e in seguito di quello che possiamo considerare forse il musical inglese per antonomasia. Mamma Mia! è anche la mostra, in corso alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia (fino al 18 febbraio), con cui culmina la residenza italiana dell’artista inglese Emma Hart (Londra, 1974) a seguito dell’assegnazione nel 2015 del Max Mara Art Prize for Women.

Hart è la vincitrice della sesta edizione del premio, conferito ogni due anni dalla Collezione Maramotti e dalla Whitechapel Gallery di Londra a un’artista donna residente nel Regno Unito, la quale ottiene la possibilità di trascorrere sei mesi in Italia per approfondire qui i propri interessi e produrre, grazie al generoso sostegno delle due istituzioni, una nuova serie di opere da esporre in una prima personale italiana, al termine del periodo di residenza.

Emma Hart, Mamma Mia!, 2017. Veduta della mostra alla Collezione Maramotti. © Emma Hart
Ph. Dario Lasagni

A cominciare dal titolo, la mostra di Emma Hart sembra prendere spunto da alcuni degli immaginari collettivi più diffusi sull’Italia, scomposti e ripensati dall’artista in un lavoro che racchiude alcuni dei temi essenziali della sua ricerca. Alcune tra le tradizioni e le tecniche artistiche più antiche del nostro paese, l’egemonia della famiglia, il caldo, i colori e la luce, sono gli elementi dell’italianità che hanno maggiormente colpito lo sguardo della Hart durante la sua permanenza in Italia. Vivendoli e studiandoli da vicino l’artista è riuscita a intrecciarli alla sua personale esperienza biografica, in un percorso partito dalla scoperta di un diverso contesto ambientale e dalla lontananza da casa.

Emma Hart, Tram, Milano. 2016. Ph. Emma Hart. Courtesy of the Artist

L’interesse verso le dinamiche e le relazioni che si stabiliscono all’interno di un nucleo familiare, le abitudini e i modelli di comportamento, sono il punto di partenza di questo progetto che prende avvio nei primi mesi di residenza dell’artista a Milano, alla Scuola di Psicoterapia Mara Selvini Palazzoli (pioniera dell’approccio sistemico-relazionale e della terapia della famiglia in Italia), per poi continuare nella città di Todi e concludersi a Faenza con l’approfondimento di tecniche legate alla produzione della ceramica e della maiolica.

In mostra, capovolgendo un punto di vista tradizionale, Hart sceglie come palcoscenico dell’azione il soffitto della stanza. Una famiglia di undici grosse lampade in ceramica, ciascuna a forma di testa umana, pende dall’alto sopra gli spettatori, proiettando sul pavimento i contorni luminosi di alcune nuvolette fumettistiche. Varcando l’ingresso della stanza sembra così di irrompere in un ritrovo privato, quasi cogliendo di sorpresa il gruppo e interrompendo una discussione in corso.

Emma Hart, Mamma Mia!, 2017. Veduta della mostra alla Collezione Maramotti. © Emma Hart. Ph. Dario Lasagni

L’interno concavo di ciascuna testa, una sorta di calotta cranica scavata nell’argilla, è dipinto a mano dall’artista con forme vivide e smaltate, ispirate alla maiolica e alle decorazioni tradizionali della ceramica italiana. Disegni a tutto tondo esemplificano attraverso motivi simbolici – quasi dei “geroglifici moderni” fatti di corpi, mani, occhi, seni colorati, bocche che si toccano e braccia aggrovigliate – la rappresentazione di alcuni dei tratti psicologici più diffusi, che suggeriscono allo spettatore la personalità e lo stato d’animo di ciascuna testa-lampada.

Emma Hart, I WANT WHAT YOU’VE GOT, EVEN WHEN I AM ASLEEP, 2017. © Emma Hart

Questi personaggi sembrano così proiettare sullo spettatore la luce della propria coscienza, quasi a indicare un gruppo di idee platoniche, immagini archetipiche dei caratteri umani, che dall’alto illuminano ciascun individuo. Disposte in maniera apparentemente casuale nello spazio, risultano in realtà sospese a un’intricata massa di fili rossi che le uniscono e le allontanano allo stesso tempo, esemplificando la fitta rete di relazioni e ascendenze che definiscono l’esistenza di ciascun individuo e la percezione di sè in relazione al gruppo.

Mamma Mia! rientra nel tentativo costante di Emma Hart di catturare l’essenza, la confusione e la frustrazione del quotidiano, in una mostra che racchiude il risultato di una lunga ricerca in cui l’artista ci parla dell’essere umano come animale sociale, guidato dalle emozioni, dall’esperienza del reale e dal rapporto con l’altro, e in cui l’arte diviene strumento, ancora una volta, per decodificare la complessità del reale, rivelando allo spettatore il sistema apparentemente invisibile di cui tutti noi facciamo parte.

 

Emma Hart,  “Mamma Mia!”, Reggio Emilia, Collezione Maramotti, fino al 18 febbraio 2018

Immagine di copertina: Emma Hart. Ritratto scattato al Museo Carlo Zauli di Faenza, 2016. Ph. Andrea Piffari, Courtesy Collezione Maramotti

 

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