Liszt: ma quale virtuosismo, fu un anticipatore

In Musica

Roberto Plano, con stile asciutto e moderno, registra per Decca un importante ciclo pianistico del musicista romantico. Per rivalutare Liszt come autentico compositore innovativo e non solo virtuoso dello strumento

La Decca non registrava il ciclo intero delle Harmonies poétiques et religieuses di Franz Liszt da 50 anni, ultima registrazione quella della pianista francese France Clidat.

Un doppio cd quindi tanto inatteso quanto intrigante quello che vede oggi al pianoforte il pianista varesino Roberto Plano, vincitore del Cleveland Piano Competition 2001 e finalista al Van Cliburn 2005, al debutto assoluto con l’etichetta britannica.

Intercettato al telefono, ha raccontato molto su questa sua ultima fatica, tanti spunti interessanti di riflessione sull’opera ma anche rivelazioni a sorpresa sui suoi gusti musicali.

Perché quest’opera e non un’altra per il suo debutto?
Fin da quand’ero ragazzino sono stato affascinato da questo ciclo. Avevo 14 anni quando studiai Bénédiction de Dieu dans la solitude, uno dei brani più rappresentativi della serie, e me ne innamorai immediatamente. Mi ripromisi un giorno di studiare l’opera per intero e non appena mi hanno contattato per la registrazione di un disco, il mio primo pensiero è andato a quell’amore giovanile. Sono stato molto contento che Decca abbia subito avallato questa idea e, ammetto, anche un poco sorpreso.

Parla di sorpresa perché è un ciclo poco noto al grande pubblico?
Sicuramente. Dei dieci brani della serie gli unici davvero conosciuti ed entrati in repertorio sono Funerailles e Bénédiction de Dieu dans la solitude. Ma mi riferisco anche ad una sorta di scetticismo di fondo sulla nobiltà dell’opera. Clara Schumann stessa, grande estimatrice di Franz, non la sopportava e l’accusava di troppo sentimentalismo. Su questo però io non sono d’accordo. Liszt era un uomo dalle mille sfacettature e contraddizioni interne; fu grande amante e seduttore soprattutto durante la sua grandiosa carriera concertistica ma poi, negli ultimi anni, decise di prendere gli Ordini minori e di vivere in Vaticano. Fu uomo dai mille eccessi, guidato dall’esigenza di essere il vero eroe romantico dell’epoca, e quando parlava di Dio e del diavolo sono convinto che ci credesse profondamente.

È quindi un ciclo di stampo religioso?
Assolutamente no e lo dice il titolo stesso, preso dalla raccolta del poeta francese Lamartine, che unisce sacro e profano. Liszt ci invita semplicemente a uscire dalla dimensione terrena, a elevarci verso qualcosa di meno tangibile e concreto. E la risposta della sua musica è straordinaria perché riesce a trascendere i limiti dello strumento e ci spinge per un attimo a non ricercare il virtuosismo ma il vero significato che sta sotto le sue invenzioni sonore.

Si scardina la figura di Liszt come semplice pianista-compositore virtuoso?
La musica di Liszt, se analizzata nel profondo, mostra una lungimiranza e una genialità compositiva davvero incredibili, tra le più rivoluzionarie dell’800. Non è questa musica facile, a tratti è addirittura ostica e ha bisogno di un coinvolgimento massimo dell’ascoltatore. Apprezzare questo disco vuol dire rivalutare Liszt come compositore e togliere dal suo capo quell’aura di virtuoso capace solo di strabiliare il pubblico con nuove invenzioni tecniche. Questo ciclo tra l’altro risale solo a metà della sua vita ma vi possiamo già trovare armonie wagneriane e ai limiti del sistema tonale, per non parlare poi di strutture musicali che non si rifanno a nessuno schema dell’epoca. Sono elementi che riproporrà anche nei suoi ultimi brani come La lugubre gondola o Nuages gris. Penso che, dopo Scriabin, Liszt sia il compositore che nel corso della vita abbia avuto l’evoluzione maggiore nella scrittura pianistica.

Qual è il brano a cui è più legato?
Senza dubbio Bénédiction de Dieu dans la solitude per quanto detto prima. Ma devo dire, studiando l’intero ciclo per l’incisione, anche Pensée des mort (in memoria dei morti). Anche questo è uno dei brani più lunghi, amatissimo da Sviatoslav Richter e di difficilissimo ascolto. Sembra quasi un poema sinfonico con passaggi molto cupi, diversissimi tra loro, che sottolineano la tragicità del tema affrontato. Alla fine però, totalmente inattese, compaiono tre pagine pazzesche in cui Liszt scrive in pratica un omaggio al chiaro di luna di Beethoven: un sereno sol maggiore con andamento a terzina che è poesia allo stato puro.

Cosa ci può dire anche sugli altri brani della serie?
In generale si tratta di musica a programma la cui “fiamma” iniziale è data dalle poesie di Lamartine. Nei brani più lunghi sembra di essere di fronte a improvvisazioni scritte in cui Liszt si dimentica della forma e intraprende viaggi verso mete sconosciute. Ma sono presenti episodi anche più corti, come l’Ave Maria ad esempio, dove sembra di ascoltare musica minimalista con la ripetizione di una semplice melodia in varie tonalità scaturita dalla ripetizione iniziale quasi ossessiva di un fa. Per non parlare di pagine totalmente scarne come il Pater noster dove troviamo una scrittura più da inno per harmonium che per pianoforte. Insomma, una grande varietà di stili con il comune denominatore del carattere spirituale che dà unitarietà al ciclo.

Ascoltando il suo disco, si nota un approccio più asciutto rispetto a registrazioni del passato. Come spiega questa scelta?
Per quanto sembri quasi musica improvvisata, questa partitura è comunque scritta con gran precisione e chiarezza d’intenti. Io ho cercato di lasciarmi guidare da Liszt pianista e compositore e ho creduto fermamente che quello che è scritto fosse anche quello che suonasse, anche se non lo possiamo sapere con certezza. Questo non vuol dire che mi sono limitato a essere un mero traspositore: conosco e tengo ben presente sempre il mio desiderio di interprete ma cerco di non lasciarlo vincere rispetto alle indicazioni scritte. Ritengo invece che in passato si sia esagerato sull’importanza data al musicista rispetto alla partitura e questo ha portato a molti eccessi. Ad esempio in Funerailles penso che storicamente si sia esagerato a velocizzare così tanto l’ultima parte virtuosistica; quello che ho cercato di fare in questo caso è di ritrovare la tragicità e il dolore presenti nel brano ispirato da una riflessione sui moti rivoluzionari dell’epoca e quindi non adatto all’apoteosi dell’interprete.

Quali sono i suoi punti di riferimento tra i pianisti del passato e del presente?
Tra i pianisti del passato metterei in cima Claudio Arrau. Il mio maestro all’Ecole di Parigi, Nelson Delle Vigne, fu suo allievo da ragazzino e ho sentito molto questa vicinanza. Per quanto il suo modo di suonare fosse a tratti un po’ strano e per oggi anacronistico, trovo in lui quello che cerco di esplorare nel pianoforte: una grande naturalezza, mai una forzatura o un attacco del tasto violento ponendo la musica sempre prima dell’elemento tecnico. Per quanto riguarda invece il presente direi Andras Schiff, a mio parere il più grande pianista e artista vivente. Trovo nel suo modo di suonare estrema eleganza, intelligenza e una cura del suono e di ogni particolare che rasenta la perfezione.

Decca sta investendo molto negli ultimi anni sui pianisti italiani. Qual è la vostra carta in più?
La scuola pianistica italiana è di altissimo livello e forse il suo maggiore punto di forza è la varietà e l’originalità. Basta mettere a confronto i nostri due più grandi pianisti, Pollini e Michelangeli, e vediamo uno stile completamente diverso. Se poi aggiungiamo anche Ciccolini e Fiorentino, rileviamo una singolarità incredibile che forse nella scuola russa è un po’ meno presente. Quando facevo i concorsi, ho sempre sentito poi associare il pianismo italiano a uno stile elegante, raffinato, con grande attenzione al pedale, mai esagerato e sempre forbito e attento ai minimi particolari. Ed è l’approccio che cerco di avere io in prima persona e lo spirito che spero di trasmettere ai miei studenti: puntare a essere più musicisti e meno pianisti ovvero usare le mani e la tecnica al servizio di un pensiero musicale profondo senza diventare però cerebrali.

Franz Liszt Harmonies Poétique et Religieuses, Roberto Plano pianoforte (Decca)

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